Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-06-2011) 04-07-2011, n. 26075

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 13 dicembre 2010, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Firenze, sez. distaccata di Empoli, con cui B.P. è stato condannato alla pena di mesi 9 di reclusione, perchè responsabile del delitto di cui all’art. 572 c.p.. La Corte, preso atto che il provvedimento impugnato era del tutto privo di motivazione, non depositata dal primo giudice, che si era limitato alla redazione del dispositivo, non riteneva ricorrere la invocata ipotesi di nullità e valutata nel merito gli elementi raccolti in prime cure, ribadendo la responsabilità dell’imputato.

2. Ricorre il condannato e denuncia erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione e violazione di norme costituzionali, in quanto la pronuncia di primo grado era radicalmente inesistente e la Corte non avrebbe potuto sostituirsi al primo giudice, privandolo di un grado di merito. Rileva che la pronuncia richiamata dal giudice distrettuale, ossia la n. 3287/2009 delle sezioni unite non si attaglia al caso in esame, posto che il difetto di motivazione non era originato da un impedimento fisico del giudicante, ma da una sua grave manchevolezza disciplinare, cui non si era supplito con la redazione da parte di altro giudice ad hoc incaricato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e quindi da rigettare con condanna del ricorrente al pagamento delle ulteriori spese processuali.

Per una maggiore chiarezza dei fatti occorre chiarire che il Giudice monocratico del Tribunale di Firenze, Sezione Distaccata di Empoli, ha pronunciato solo il dispositivo di condanna del B., omettendo di redigere la motivazione, sicchè con provvedimento di carattere generale, datato 16 novembre 2005 ed avente ad oggetto:

"Deposito fascicoli rinvenuti nell’ufficio della dott.ssa (…) relativi a procedimenti penali, cause di lavoro, cause di locazione in cui è stato letto il dispositivo ma non depositata la motivazione", il magistrato responsabile del Tribunale di Firenze, Sezione distaccata di Empoli, in esecuzione di delibera del Consiglio Superiore della Magistratura, ha ordinato "alla cancelleria penale il deposito dei fascicoli penali già deliberati relativi al ruolo della dott.ssa (…) ma privi di motivazione"; ha ordinato, altresì, "la formazione di un documento contenente l’intestazione della sentenza, le generalità degli imputati, l’imputazione, l’indicazione delle conclusioni delle parti e la fotocopia del dispositivo conforme attestandone la conformità all’originale", disponendo, infine, che "detto documento sarà depositato in cancelleria e considerato come sentenza a tutti gli effetti.

2. Avverso tale provvedimento, così formato, ha proposto appello il difensore, avente ad oggetto, come si legge testualmente in atti, sia la nullità della sentenza, per mancanza di motivazione, sia la assoluzione del B. ed in linea graduale la eccessività della pena. La Corte, escluso che si dovessero rimettere gli atti al giudice di primo grado, ha deciso nel merito.

3. Il punto decisionale, oggi sottoposto a questo collegio, che tuttavia deve tener conto di quanto sin qui esposto in premessa, rilevante anche ai fini dell’interesse della parte – che non ha sottoposto ad alcuna altra censura la decisione – è se la assenza di redazione della motivazione, comporti una ipotesi di inesistenza ovvero di nullità della pronuncia, con le consequenziali statuizioni, posto che, nel primo caso, si tratterebbe di un provvedimento abnorme con rinvio al primo giudice e nel secondo caso, invece, di un vizio censurabile, nei limiti degli ordinari mezzi di impugnazione, di merito e di legittimità. 4. Ritiene il collegio di aderire alla seconda ipotesi: punto di partenza è la decisione n. 3287/2008 delle sezioni unite di questa corte, cui il giudice distrettuale si è richiamato, che ha affermato appunto, seppure nel caso di mancata estensione della parte motiva della decisione per impedimento fisico del relatore, che "la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante". 5. La Corte, in particolare, e per quel che qui interessa, ha sottolineato che il principio della immutabilità del giudice espresso dall’art. 525 c.p.p., – che potrebbe rilevare nel caso del B., che sostanzialmente invoca la coincidenza tra il giudice redattore e quello che ha deliberato il dispositivo, per inferirne che è venuto a mancare un grado di giudizio, – non entra in giuoco nella fattispecie, poichè esso è rispettato ogni qualvolta l’organo giudicante sia lo stesso che ha partecipato interamente al dibattimento, svolgendo la relativa attività di formazione della prova; ha poi precisato che la ""deliberazione", testualmente menzionata dall’art. 525 c.p.p., viene ad esaurirsi nella redazione e nella successiva lettura del dispositivo (quale atto che, per primo, "esteriorizza" il dictum giurisdizionale), senza che lo stesso possa essere modificato (per il principio della prevalenza) attraverso la redazione della motivazione non contestuale". Ha negato, poi, la condivisibilità della interpretazione estensiva del disposto dell’art. 525 c.p.p. – volta a ricomprendere nel momento della "deliberazione" anche la fase della redazione non contestuale della motivazione (art. 544 c.p.p., commi 2 e 3), con conseguente affermazione della necessità di una coincidenza della persona fisica del giudice pure rispetto a tale ultimo momento in quanto la redazione dell’apparato giustificativo ha la funzione di rendere conoscibili alla collettività le ragioni logico-giuridiche che hanno condotto alla decisione, permettendo, in pari tempo, alle parti del processo di dedurre ed esporre eventuali motivi di impugnazione e l’incombente motivazionale è contemplato dal codice di rito negli "atti successivi alla deliberazione". Ha pertanto concluso che appare legittimo ritenere che il principio di immutabilità, in sostanza, non si estende al di là dell’atto del decidere, che è cosa diversa dall’atto di spiegazione della decisione.

6. Ha ritenuto,ancora, che non può prospettarsi una radicale "inesistenza della sentenza priva di motivazione (affermata da Cass. pen.: Sez. 3, 13.7.2007, n. 27965, Butera; Sez. 3, 28.4.2004, n. 35109, P.G. in proc. Basile e Sez. 2, 17.10.2000, n. 5223, Pavani;nonchè da Cass. lav., 8.10.1985, n. 4881; Monacelli contro Inps), poichè il concetto di inesistenza, quale categoria dogmatica, elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ben distinta da quella della nullità assoluta per il fatto di travalicare lo stesso giudicato, appare rimandare essenzialmente ai casi talmente gravi da far perdere all’atto i requisiti "geneticamente" propri dello stesso (nei quali, ad esempio, la sentenza promani da organo o persona privi di potere giurisdizionale o nei confronti di imputato inesistente), sì da porlo quale strutturalmente inidoneo a produrre alcun effetto giuridico nel processo e fuori di esso (vedi Cass., Sez, Unite pen.:

24.11.1999, n. 25, Di Dona e 9.7.1997, n. 11, P.M. in proc. Quarantelli)" specificando che – anche a fronte del deposito del mero dispositivo della sentenza pronunciata dal G.I.P. – la corte territoriale (in fattispecie, dunque, perfettamente analoga a quella che ci occupa, essendo investita una pronuncia di un giudice monocratico) avrebbe comunque potuto decidere nel merito e, nel rispetto dei limiti del devoluto e del divieto di reformatio in peius, procedere addirittura alla redazione integrale di una motivazione mancante, utilizzando le prove già legittimamente acquisite nel precedente grado di giudizio nel contraddicono delle parti (in tal senso Cass., Sez. 5, 25.3.2005, n. 11961).

7. Dalla richiamata decisione può, dunque trarsi, il principio che è il dispositivo che esternalizza o manifesta la decisione, che esso è immutabile, anche in caso di redazione consentita ex artt. 426 e 599 c.p.p., per l’impedimento del giudice, che la redazione delle ragioni può mancare e che ad esso sopperisce l’ordinamento nei casi codificati, altrimenti dovendosi fare ricorso ai principi generali, ossia agli ordinari rimedi di impugnazione, con conseguente sollecitazione dei poteri di integrazione di merito propri del giudice della seconda istanza.

8. Nè dalla formazione grafica del provvedimento, nel caso in esame composto da una intestazione, riferibile ad opera della cancelleria, e dal dispositivo, atto proprio del decidente, può discendere una abnormità del provvedimento tale da porre l’intero procedimento in posizione di stallo e di irrilevanza dei suoi effetti; ciò in quanto, da un lato la epigrafe non incide sugli elementi essenziali della sentenza, poichè la validità giuridica della sentenza non dipende dalla presenza sul documento della stessa, ma solo dalla effettiva provenienza da un organo legittimato ad adottarla, nel rispetto delle regole che presiedono alla sua emanazione e dall’altra che, per come sopra cennato, la formulazione del dispositivo è esteriorizzazione del dictum giurisdizionale, senza che esso possa essere modificato attraverso la redazione di una motivazione non contestuale.

9. Ciò non vuoi dire che la pronuncia non sia nulla, ma lo sarebbe egualmente laddove il giudice, anzichè omettere del tutto la motivazione, la avesse espressa con una frase apodittica, quale il semplice richiamo alla categoria della colpevolezza, senza indicazione di alcun elemento a sostegno. Si tratterebbe, in tal caso, di una motivazione apparente, equiparata alla mancante, ma non perciò rientrante fra quelle indicate dall’art. 604 c.p.p. e perciò importante la relativa pronuncia con rimessione degli atti al primo grado da parte del giudice di appello.

10. Ricorrerebbe, infatti, una nullità ai sensi dell’art. 125 c.p.p., comma 3, alla quale, il giudice di appello può rimediare in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto assegnatogli dalla legge.

11. Tanto basterebbe per escludere, poi, che il difetto motivazionale del primo giudice comporti la mancanza di un grado di giudizio: in realtà, quello di primo grado si è regolarmente svolto e concluso, con la emissione di una decisione, di cui il dispositivo costituisce il compendio, e la statuizione del giudice di appello, conseguente al gravame, non è influenzata tanto dallo sviluppo motivazionale del primo giudice quanto dal devolutum, che importa comunque approfondita conoscenza degli atti.

12. La prospettazione poi che il giudice di secondo grado avrebbe una cognizione cartolare degli atti non ha pregio, per la decisiva considerazione che l’ordinamento processuale conosce molte ipotesi in cui il giudizio è sostanzialmente assunto sulla base della mera lettura di atti formatisi dinanzi ad altri, come appunto, oltre che il giudizio abbreviato nella forma non condizionato, il giudizio di appello. Un rilievo di tal fatta significherebbe vanificare del tutto il secondo grado, posto che comunque la decisione sarebbe basata sempre su dati di merito non acquisiti direttamente dal giudicante.

13. La soluzione adottata dalla corte di appello fiorentina che ha deciso per la non rilevanza della nullità, ed esaminato il gravame nel merito, si condivide ed appare, peraltro, la più conforme ai principi costituzionali, in specie a quello della ragionevole durata del processo; nè lede il diritto di difesa, posto che l’imputato è, comunque, in base al tenore della decisione desunto dal dispositivo in grado di denunciare gli elementi essenziali – di cui egli è a conoscenza – che escludono la "giustezza" della stessa: come nella specie avvenuto, essendo stati appunto i temi di merito enunciati e pertanto esaminati dalla Corte.

14. Vero è che precedenti pronunce di questa corte, risalenti a data anteriore alla pronuncia della corte a sezione unite n. 3287 del 2009 hanno ritenuto la inesistenza delle sentenze, alla cui lettura del dispositivo non sia seguito il deposito della motivazione nel caso si rifiuto del giudice, in fattispecie quindi sostanzialmente analoghe a quella in esame, ed hanno affermato la non praticabilità di un’applicazione analogica delle norme che consentano che la motivazione venga redatta da un giudice diverso dal componente del collegio. (così sez. 6 sent. n. 916 del 2004 e Massime precedenti Conformi: N. 21659 del 2004 Rv. 229197, N, 42379 del 2004 Rv.

230362).

15. E’ però da osservare – e ciò comporta, a parere del collegio, la diversa soluzione adottata – che i precedenti arresti sono stati incentrati sulla considerazione che il dispositivo, pur se espressione irretrattabile del potere autoritativo dello Stato, sia privo di efficacia "esterna" prima del deposito della sentenza, mentre, come esposto ai punti che precedono, l’odierna decisione si pone in diversa prospettiva, non già di mutamento dello estensore, ma di avvenuto esercizio in concreto nella realtà fenomenica dello jus dicere e della sua esistenza in termini accertamento di un paradigma legale e di revisione di detto accertamento.

16. In conseguenza il ricorso, limitato alla sola denuncia della nullità, è da rigettare. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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