Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-06-2011) 04-07-2011, n. 26072

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Potenza confermava la decisione, con la quale il Tribunale di Matera aveva dichiarato R.V. colpevole dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 e artt. 586 e 589 c.p. e lo aveva condannato alla pena di giustizia oltre il risarcimento del danno in favore della parte civili.

Si addebitava all’imputato di avere ceduto, mentre era agli arresti domiciliari, a C.F. una dose di eroina di un grammo già confezionata, oltre altra dose di 1/4 di grammo della stessa sostanza per prova, nonchè di avere cagionato, quale conseguenza non voluta la morte del predetto, seguita immediatamente all’assunzione per iniezione della dose campione, per "edema polmonare acuto e insufficienza respiratoria da intossicazione da stupefacenti.

Secondo la ricostruzione della vicenda operata dai giudici del merito, l’individuazione del R., quale autore della cessione, scaturiva dall’esame del registro delle chiamate effettuate con uno dei cellulari in uso alla vittima, in cui era stata memorizzata l’utenza dell’imputato in orario di poco precedente a quello del decesso e soprattutto dalle dichiarazioni fornite da Ci.Ma., convivente della vittima e teste oculare dello svolgimento dei fatti, nonchè dagli accertamenti medico-legali e tossicologici dei consulenti del P.M. e dell’imputato.

Contro tale decisione ricorre l’imputato a mezzo del suo difensore, il quale nell’unico motivo a sostegno dell’annullamento denuncia la violazione della legge processuale in riferimento all’art. 192 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), nonchè l’omessa indicazione delle ragioni per cui non erano state ritenute attendibili le prove a discarico e la mancanza di motivazione, conseguente al travisamento dei fatti e a omessa considerazione di circostanze rilevanti.

Secondo la difesa l’affermazione della colpevolezza si fondava unicamente sulla deposizione della Ci., ritenuta ambigua figura di "insegnante tossicodipendente", sulla cui attendibilità erano state sollevate non poche critiche, del tutto ignorate dal giudice del gravame, tutte incentrate sulla possibilità che la teste fosse interessata a coprire qualche altro spacciatore, sulle innumerevoli e gravi incongruenze, in cui la stessa era incorsa, ovvero divergenze tra le varie affermazioni rese in tempi diversi, che la corte di merito aveva incongruamente ritenuto composte con il meccanismo delle contestazioni ex art. 500 c.p.p., dando preferenza alle dichiarazioni più recenti rispetto a quello più remote. Tale attendibilità era fortemente minata dal mancato rinvenimento della bustina, contenente il quartino di eroina, ceduta a titolo gratuito, dalla completa assenza di analogie tra le polveri raccolte su di un bilancino di precisione sequestrato nell’abitazione del R. e le sostanze rinvenute sulla siringa utilizzata dal C., come rilevato dai consulenti di parte, in contrasto con le conclusioni dei consulenti del P.M., i quali peraltro non avevano attribuito alcuna particolare pericolosità o letalità alle dette sostanze, sicchè era ben possibile che un altro organismo meno stressato di quello della vittima – il quale tra le ore 14 e le 23 si era già imbottito di una dose di eroina ed una di metadone prima di assumere la dose letale – potesse tollerare senza danni particolari quella sostanza.

Anche sulla qualifica conferita all’imputato come noto spacciatore e consumatore saltuario, ritenuta rilevante ai fini del giudizio di colpevolezza, la prova era affidata a "voci correnti" e "fonti confidenziali" non verificabili.

Il ricorso è inammissibile.

Le censure proposte esorbitano dal catalogo dei casi di ricorso, disciplinati dall’art. 606 c.p.p., comma 1, profilandosi come censure non consentite ai sensi del comma 3, cit. art., volte, come esse appaiono, a introdurre come "thema decidendum" una rivisitazione del "meritum causae", preclusa, come tale in sede di scrutinio di legittimità.

Ricorda il collegio che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente analizzato e descritto le coordinate e i limiti entro cui deve svolgersi il controllo sulla motivazione dei provvedimenti giudiziari (ex multis Cass. Sez. Un. 23/6/2000 n. 12; 2/7/1997 n. 6402; 29/1/1996 n. 930).

In particolare è stato più volte chiarito che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato è rigorosamente circoscritto a verificare che la pronuncia sia sorretta nei suoi punti essenziali da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica, non fondate su dati contrastanti con il "senso della realtà" degli appartenenti alla collettività ed infine esenti da vistose e insormontabili incongruenze tra di loro.

In altri termini e in linea con la previsione normativa il controllo di legittimità si appunta esclusivamente sulla coerenza strutturale "interna" della decisione, di cui saggia la oggettiva "tenuta" sotto il profilo logico-argomentativo e tramite questo controllo anche l’accettabilità del provvedimento da parte di un pubblico composto da lettori razionali e da osservatori disinteressati alla vicenda processuale.

Al giudice di legittimità è invece preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati del giudice del merito, perchè ritenuti maggiormente o plausibili o dotati di una maggiore capacità esplicativa).

Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

Alla stregua degli enunciati criteri non vi è dubbio che nella sentenza impugnata si è dato conto con puntuale e adeguato apparato argomentativo, di cui prima si è fatto cenno, delle ragioni che conducevano alla conferma del giudizio di colpevolezza, enunciando analiticamente gli elementi e le circostanze di fatto convergenti e rilevanti a tal fine.

In particolare per quanto riguarda la seconda ipotesi criminosa contestata, sulla quale si sono maggiormente appuntate le critiche difensive, osserva il collegio che la corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite, che, nel dirimere il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità in tema di morte o lesioni personali, come conseguenza di altro delitto, ha chiarito che la morte dell’assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente, sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale – diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione – e con prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute e conoscibili dall’agente reale (Sez. Un. 22/1-29/5/09 n. 22676 Rv. 243381). Nel caso in esame la corte di merito con motivazione immune da vizi logici o interne contraddizioni, come tale incensurabile in sede di scrutinio di legittimità, non solo non ha dubitato in ordine alla individuazione dell’imputato, quale autore della cessione dello stupefacente, ma anche in ordine alla condotta del predetto, connotata da un grado di colpevolezza, sussumibile nella categoria della colpa cosciente, avendo costui cagionato la morte del tossicodipendente mediante la cessione, oltre alla normale dose, di una bustina di droga "in prova", la cui potenzialità lesiva era prevedibile, trattandosi di sostanza nuova, diversa da quella usuale, ceduta gratuitamente, proprio al fine di saggiarne gli effetti e nella consapevolezza dei pericoli, cui veniva esposta la vita del C., già assuntore di metadone, ben conosciuto dall’imputato, per avere frequentato insieme a lui il SERT di Matera e seguito un programma terapeutico di recupero.

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore di Euro 1.000,00, oltre al ricorso delle spese del grado in parte civile, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il favore il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000.00 cassa delle ammende, nonchè al ricorso delle spese del grado in favore della parte civile, liquidate in complessivi Euro 1.338,50 oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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