Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-06-2011) 04-07-2011, n. 26071

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. S.A.M. ricorre avverso la sentenza del 4 giugno 2009 della Corte di Appello di Milano, che ne ha ribadito la responsabilità per il delitto di maltrattamenti commessi in danno della moglie C.M. e dei tre figli minori, sino al 4 gennaio 2003. 2. Il ricorrente deduce difetto ed illogicità della motivazione in ordine alla valutazione della prova, mettendo in luce come, sia per la deposizione della moglie che per quella del figlio maggiore M., non sia stato affatto risolto il nodo della loro attendibilità e del riscontro delle accuse, alla luce anche delle altre testimonianze a lui favorevoli. Analogo difetto motivazionale riguarderebbe la individuazione dell’elemento oggettivo – non essendovi tra i vari episodi alcun nesso indicativo della abitualità – e dal profilo soggettivo – posto che si trattava di contrasti generati da crisi del rapporto ed incomprensioni reciproche.

Con il terzo motivo, lo S. reitera l’eccezione di prescrizione del reato e sottolinea che la disciplina applicabile, anche per il regime della sospensione del termine, è quello antecedente la L. n. 205 del 2005 e che i due impedimenti del difensore, che avevano allungato i tempi, erano, contrariamente a quanto affermato dalla Corte, legittimi e perciò non influenti in base alla previgente art. 159 c.p.p. ed in ogni caso, secondo la attuale normativa, non incidenti per più di 60 giorni ciascuno.

Con il quarto motivo, si duole della subordinazione della concessa sospensione condizionale della pena all’integrale risarcimento dei danni, nonostante via sia la prova in atti della sua incolpevole incapacità economica.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile e lo S. è da condannare al pagamento delle spese processuale e della somma di Euro mille a favore della cassa delle ammende.

2. Le prime tre doglianze, che in quanto attinenti ai temi della responsabilità possono essere esaminate congiuntamente, in realtà si risolvono nella introduzione in questa sede di una inammissibile rivisitazione dei dati processuali e nella formulazione di una nuova versione dei fatti, favorevole al ricorrente.

3. E’ da osservare al riguardo – depurato il ricorso dalle notazioni di fatto – che l’orizzonte valutativo di questa corte è limitato al controllo di errori nella applicazione della legge e della metodica con cui il giudice di merito ha valutato i dati probatori ed ha illustrato i risultati della sua analisi e del ragionamento seguito:

sotto tali profili, la impugnata decisione non merita censura.

4. E’, infatti, dato acquisito che la testimonianza della parte offesa non abbisogna di riscontri esterni, sicchè deve esserne valutata con rigore la sua attendibilità intrinseca, anche con riguardo alla specificità del delitto che l’ha colpita. Non ha pertanto ingresso in questa sede la doglianza di violazione dell’art. 192 c.p.p., dato che la Corte si è con diffusa motivazione fatta carico della logicità e coerenza delle accuse rivolte all’imputato dalla moglie ed ha individuato ancora gli elementi – desunti dalle dichiarazioni di testimoni oculari di fatti di violenza – del condotta posta in essere dall’imputato, manesco e vessatorio.

Il giudice distrettuale si è fatto carico di confutare anche la rilevanza dell’unica testimonianza che non confermava quella della pò, dubitando ragionevolmente che costei fosse stata messa a parte della penosa condizione di vita da parte della figlia ed ha ravvisato l’integrazione dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato dalla continuità del comportamento tenuto dallo S. e dalla univoca finalizzazione degli atti di violenza morale e materiale. Sul punto, poi, erra il ricorrente ad invocare il vizio di mancanza di motivazione per avere la corte d’appello richiamato per relazione i fatti come esposti nella pronuncia di primo grado. Si tratta di una operazione consentita, in quanto, come noto, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova, posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello può saldarsi con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo, sicchè risulta possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado, colmare eventuali lacune della sentenza di appello.

Dall’altro, è pacifico che non vi è un obbligo motivazionale esteso a tutte le deduzioni che compongono il gravame. Infatti, per adempiere compiutamente l’obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a prendere in esame espressamente ed analiticamente tutte le circostanze e le argomentazioni dedotte dall’imputato e dal suo difensore, essendo, invece, sufficiente – e necessario – che il giudice medesimo enunci con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione dei suo convincimento, in modo che risulti l’iter logico seguito per addivenire alla decisione adottata, la quale non deve lasciare spazio per una valida alternativa a quelle deduzioni difensive che pur non essendo state espressamente valutate, siano con essa incompatibili e devono, pertanto, ritenersi implicitamente disattese. Tanto è da riscontrare nel caso in esame, specie considerando che il rinvio alla pronuncia di primo grado riguarda proprio quelle deduzioni che il giudice aveva esaminato e considerato irrilevanti.

5. Del pari ancorato a dati di merito è il motivo relativo alla conferma della condizione apposta al beneficio della sospensione della esecuzione della pena, posto che al contrario il giudice di appello non si è affatto sottratto alla disamina delle condizioni economiche dell’imputato e della sua concreta possibilità di sopportare l’onere del risarcimento pecuniario, con un apprezzamento di dati di fatto che esula dal controllo di questa corte.

6. E’ in ultimo palesemente infondato il motivo relativo alla eccepita prescrizione del reato in epoca anteriore alla stessa sentenza di appello.

7. Nel caso in esame, trattandosi di delitto commesso in data anteriore alla novella n. 251 del 2005, che ha modificato la disciplina di cui agli artt. 157 e ss. in tema di termini prescrizionali, è da applicare la disciplina previgente, più favorevole: e sul punto lo stesso ricorrente concorda, ma deduce che il giudice distrettuale ha errato nel computo delle due sospensioni, da conteggiare secondo la disciplina innovata dalla citata legge di modifica.

8. La deduzione non ha fondamento; se è vero che ai rinvii disposti dopo l’entrata in vigore della disciplina introdotta nel dicembre 2005 si applica il nuovo regime delle sospensioni previste dall’art. 159 c.p.p. (così sez. unite n. 43428 del 30/09/2010) è, però, esatto quanto affermato dalla corte di appello di Milano in tema di inapplicabilità del minor termine di sessanta giorni invocato dallo S..

9. Infatti nell’uno e nell’altro caso, il rinvio concesso a richiesta del difensore non era connotato dal requisito del legittimo impedimento in presenza del quale scatta il limite del calcolo di sospensione a soli 60 giorni.

Basta osservare al riguardo che l’impedimento del difensore per contemporaneo impegno professionale, quantunque tutelato dall’ordinamento con il riconoscimento del diritto al rinvio dell’udienza, non costituisce un’ipotesi d’impossibilità assoluta a partecipare all’attività difensiva e non da luogo pertanto a un caso in cui vengono in applicazione i limiti di durata della sospensione del corso della prescrizione previsti dall’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, nel testo introdotto dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, così come il rinvio disposto per adesione dei difensori all’astensione indetta dalle Camere penali In tal senso si è già coerentemente pronunciata questa Corte con specifico riferimento sia alla prima (Sez. 5^, n. 18071 del 08/02/2010, dep. 12/05/2010, Rv.

247142; conformi: n. 44924 del 2007, Rv. 237914, n. 4071 del 2008, Rv. 238544, n. 20574 del 2008, Rv. 239890, n. 25714 del 2008, Rv.

240460, n. 33335 del 2008, Rv. 241387) che alla seconda ipotesi (Sez. 1^, n. 44609 del 14/10/2008, dep. 01/12/2008, Rv. 242042).

Nel caso in esame, pertanto, essendo di tale natura gli impedimenti addotti esattamente è stato escluso il decorso del termine prescrizionale, di cui non può tenersi neanche conto in questa sede, posto che per la rilevata inammissibilità del ricorso, che ha impedito il formarsi di un valido rapporto processuale, sulla responsabilità si è formato il giudicato.

10. In conseguenza della inammissibilità il ricorrente è da condannare al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende.

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