Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-06-2011) 04-07-2011, n. 26067

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Roma ha ribadito la responsabilità, affermata con sentenza del tribunale di Velletri del 14.2.2003, di G.A. per il delitto di calunnia, avendo incolpato R. e D.P.T., con denuncia presentata ai C.C. di Ariccia in data 28.2.97,di essersi impossessati della somma di L. 1.750.000, consegnandoli solo L. 750.000, dopo aver cambiato un assegno post-datato emesso dal denunciante per la maggior somma di L. 2. 5000. 2. Ricorre il G. e deduce violazione di legge, anche in relazione all’art. 24 Cost. e all’art. 6 della Cedu, perchè in primo grado egli era stato assistito da difensori di ufficio (ben 5), reperiti in udienza, dopo che i suoi difensori di fiducia avevano rinunziato al mandato, sicchè non gli era stata di fatto assicurata alcuna tutela.

Con un secondo motivo, deduce che ad uno dei 2 difensori, originariamente nominati, non è stato mai notificato l’avviso di fissazione della udienza innanzi al Gup, nè il successivo decreto di citazione; con il terzo lamenta l’omessa notifica del decreto di citazione di prime cure a se stesso, mai eseguita, e comunque invalidamente rinnovata nel corso del giudizio presso il difensore d’ufficio ex art. 161 c.p.p..

Lamenta ancora mancanza, contraddittorietà ed illogicità della sentenza, essendo stato ignorato il punto decisivo che egli era debitore, secondo la versione dei due D.P. di una somma ben maggiore, sicchè non avrebbe senso la parziale restituzione di L. 750.000, contraria all’interesse dei creditori. Se ne inferisce, secondo il ricorrente, che egli avrebbe denunciato il vero e che l’impiegata dei D.P. cui consegnò il detto assegno perchè lo scambiasse ha affermato falsamente che egli fosse debitore dei due incolpati, come attestato dalle numerose contraddizioni emerse dalla sua testimonianza.

Motivi della decisione

1. Il ricorso del G. è manifestamente infondato quanto alle denunciate irregolarità procedurali ed inammissibile quanto alle censure afferenti alla sua responsabilità. 2. Preliminarmente, è da rilevare che la denuncia di omessa notifica a uno dei due difensori in udienza preliminare, peraltro non sorretta da alcuna documentazione, è comunque inammissibile perchè tardivamente dedotta in questa sede e mai eccepita in precedenza. E’ appena il caso, poi, di rammentare che, per costante giurisprudenza di questa corte, l’omissione dell’avviso ad uno dei due difensori dell’imputato della data fissata per l’udienza non da luogo a nullità assoluta, in quanto tale difetto non è annoverato tra quelle specificamente elencate nell’art. 179 cod. proc. pen., ma ad una nullità "a regime intermedio", deducibile fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo.

Nella specie, quindi, il ricorrente non può trarre alcun vantaggio dalla eventuale sussistenza della nullità, che ormai è sanata.

3. Parimenti, non hanno alcuna fondatezza le lagnanze concernenti la violazione del suo diritto di difesa: dall’esame del fascicolo, i cui atti sono controllabili anche in questa sede di legittimità, data la natura del vizio denunciato, risulta che il G. ha avuto assicurato il suo diritto di difesa, mediante adeguata assistenza tecnica.

4. Contrariamente a quanto asserito, infatti, la citazione a giudizio al difensore di fiducia, che aveva rinunciato al mandato e ne aveva dato comunicazione al tribunale, non ha avuto, ancorchè viziata, alcuna incidenza, posto che dalla prima udienza sino alla nuova rituale notifica, avvenuta questa volta a mani del difensore di fiducia, avv.to Lodise, ex art. 161 c.p.p., non è stata compiuto alcun atto che necessitava di assistenza tecnica. A partire dalla prima udienza del 4 febbraio 2000 e fino alla data 15 gennaio 2001, sono stati, invero, disposti meri rinvii, e l’imputato era certamente consapevole dell’andamento del processo.

5. L’assistenza tecnica, nonostante la mancanza di un difensore, in quanto mai presente quello fiduciario, gli è stata invece assicurata, per tutto l’arco del processo, mediante la nomina di un difensore in sostituzione di quello designato, per la prima udienza, ma assente con altro professionista reperito in udienza;

successivamente, il GU, persistendo la assenza, ha provveduto a nominare altro difensore ex art. 97 c.p.p., comma 1, nella persona dell’avv.to Saporito, stante evidentemente la inerzia del difensore fiduciario – ed il nuovo difensore ha svolto il suo mandato.

6. Pertanto, il ricorrente invoca a torto il difetto di effettività della difesa, che invece gli venne pienamente assicurata, mediante il ricorso al meccanismo previsto dal citato art. 97 c.p.p.: peraltro, la censura non è connotata da specificità, mentre avrebbe dovuto indicare e non lo ha fatto quali difetti della strategia processuale, non adottata, abbiano avuto concreta incidenza sull’accertamento dei fatti, tanto più che gli stessi non sono contestati nel loro svolgimento, ma nell’apprezzamento che il giudice di merito ne ha fatto.

7. Passando, quindi, all’esame del motivo inerente al difetto di logicità della decisione, è da rilevare che in realtà il G. non si lagna, nei limiti indicati dall’art. 606 c.p.p., lett. e, della manifesta incoerenza dello sviluppo argomentativo adottato dal giudice distrettuale, ma propone una rilettura delle testimonianze in atti, pervenendo a conclusioni opposte a quelle ritenute in sentenza. Tanto basterebbe di per sè per affermare la inammissibilità del ricorso, non potendo rimettersi a questa corte la valutazione diretta di elemento di fatto, che il giudice di merito ha vagliato, ma solo il controllo sulla tenuta logico-argomentativa della motivazione adottata. Nel caso in esame, peraltro, la decisione poggia su due elementi portanti, l’esistenza di rapporti di dare ed avere tra l’imputato ed i suoi accusati, e la dazione da parte del G. di un assegno post-datato ad una impiegata dei suoi creditori perchè costei lo monetizzasse e parte del ricavato andasse imputata al credito dei D.P.. Tali dati di fatto sono stati esattamente ritenuti significativi della sussistenza della calunnia, posto che il G. rappresentò nella denuncia un fatto diverso, attribuendo ai due D.P. una condotta di appropriazione in realtà concordata ed autorizzata.

Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille a favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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