T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 07-07-2011, n. 6052 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato a Roma Capitale in data 5 novembre 2010 e depositato il successivo 19 novembre 2010 espone parte ricorrente di avere acquistato con atto del 27 settembre 2006 l’immobile di cui è questione ad uso magazzino e per il quale fu rilasciata concessione in sanatoria n. 46781 del 31 luglio 1997. Rileva che al contratto di compravendita era allegata la planimetria nella quale sono ben visibili le preesistenti caratteristiche del locale che l’Amministrazione comunale poi contesterà come lavori edilizi finalizzati al cambio di destinazione di uso, con il provvedimento impugnato. Espone ancora in fatto che con perizia dell’11 novembre 2006 lo stato dei luoghi era precisamente descritto e in particolare erano individuati tre distinti ambienti con scala di accesso in muratura per accedere al primo ambiente; nel secondo ambiente due tubi che finiscono nel cortile interno del condominio con canna fumaria e una canna di espulsione aria; sempre nel secondo ambiente vano scala con rampa di scale di dieci alzate, apertura nel muro in pietra che collega al terzo ambiente; e nel terzo ambente spazi adibiti a wc con sanitari installati.

Rappresenta poi che l’opera veniva sottoposta a sequestro con decreto della Procura della Repubblica di Roma del 6 marzo 2008 e che con ulteriore decreto del medesimo giudice in data 19 maggio 2008 veniva disposto il dissequestro.

Prima del provvedimento di sequestro la società ricorrente espone di avere presentato DIA ai sensi degli articoli 22 e 23 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 dove venivano dettagliatamente indicate le opere da realizzare precisando che dette opere non comportavano mutamento di destinazione di uso dell’immobile che era classificato catastalmente C2 e che qualora si dovesse verificare una modifica del classamento ne sarebbe stata presentata la relativa variazione catastale.

La ricorrente sostiene che in realtà la destinazione di uso della sua dante causa operata nel 2005 non corrispondeva ad una effettiva variazione apportata all’immobile, posto che secondo l’accatastamento effettuato nel 1997 a seguito della concessione in sanatoria la destinazione era "negozio" e che presso il Catasto, come da certificato del 16 luglio 2009, l’immobile risulta accatastato "C1 – negozi e botteghe" e che risultava apportata una variazione della destinazione di uso del 28 settembre 2005, ma pur sempre come "negozio – magazzino".

Ciò premesso in data 11 aprile 2008 veniva rigettata la DIA, con la motivazione che "…l’elaborato grafico dell’ante operam è difforme rispetto alla planimetria depositata per il condono edilizio" e a tali notazioni la società ricorrente rispondeva con proprie osservazioni che tuttavia non venivano condivise dall’Amministrazione comunale, che in data 22 maggio 2008 ribadiva il rigetto della DIA.

Seguiva pertanto un nuova denuncia di inizio attività presentata in data 26 giugno 2008, corredata da relazione tecnica, contenente l’elencazione specifica di tutti i lavori da eseguire con la precisazione della destinazione commerciale del locale e che i lavori non avrebbero comportato alcun mutamento nella destinazione di uso; ma l’Amministrazione comunale opponeva un nuovo diniego in data 3 luglio 2008, cui seguiva una nuova integrazione di documentazione da parte della ricorrente il successivo 17 luglio 2008.

Nonostante ciò il Comune reiterava il diniego con atto del 28 luglio 2008, ritenendo non conforme la DIA presentata per mancanza nell’elaborato grafico delle destinazioni di uso dei locali e per intervenuta scadenza della documentazione DURC obbligatoria, pur presentata.

Seguiva quindi il provvedimento di demolizione ora gravato ed avverso il quale la società interessata deduce:

1. Violazione degli articoli 3, commi 1 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 in materia di motivazione del provvedimento amministrativo, eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e contraddittorietà degli atti, insufficienza della motivazione e falsità del presupposto.

2. Violazione dell’art. 22, comma 3 lett. a) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e s.m.i. e dell’art. 37 del medesimo decreto presidenziale, eccesso di potere per travisamento dei fatti e ingiustizia manifesta.

3. Violazione dell’art. 8, commi c bis) e c ter) della legge 7 agosto 1990 n. 241 relativamente alle indicazioni che devono essere contenute nell’atto di avvio del procedimento amministrativo.

La ricorrente termina l’esposizione con istanza di risarcimento dei danni quantificabili, in misura minima, nell’eventuale perdita economica che deriverebbe da un’attività provvedimentale che, oltre ad essere ingiusta ed erronea, vanifica l’investimento immobiliare effettuato dalla società ricorrente; in via subordinata chiede che il danno sia calcolato dal giudice in via equitativa ex art. 1226 c.c.

Conclude con richieste istruttorie, cautelari e per l’accoglimento del ricorso siccome fondato nel merito.

L’Amministrazione comunale di Roma si è costituita in giudizio contestando ogni doglianza e rassegnando opposte conclusioni.

Alla Camera di Consiglio del 21 dicembre 2010 l’istanza cautelare è stata accolta ai fini del riesame.

Previo scambio di ulteriori memorie il ricorso, infine, è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 31 marzo 2011.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

Con esso la società ricorrente impugna la determinazione con la quale Roma Capitale le ha ingiunto la demolizione di opere tendenti al cambio di destinazione di uso a commerciale di un locale seminterrato e consistenti "nell’ampliamento a mt. 1,30 della scala di accesso al locale, sito in Viale Angelico, n. 1/A realizzato in blocchetti di cemento precompresso; realizzazione di cui vani WC apertura a maglia muraria di mt. 1,10 x 2,10 circa di altezza; realizzazione di impianto elettrico e di areazione collegato quest’ultimo alle canne esalatrici in acciaio inox delle dimensioni di mt., 0,30 di diametro ed un’altezza di m. 20,00 circa poste sul prospetto del fabbricato nel cortile interno condominiale con accesso in Viale delle Milizie, n. 108" il tutto in assenza di titolo abilitativo, in zona omogenea A ed in assenza del parere della Soprintendenza per i BBAA e del Paesaggio di Roma, che richiestane non l’ha fatto pervenire nel termine di cui all’art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001.

2. Avverso tale determinazione sostanzialmente la ricorrente oppone che le opere realizzande rientrano nella attività edilizia libera, trattandosi di interventi di manutenzione ordinaria. Né la determinazione di sospensione lavori né la determinazione a demolire, ora gravata, giustificano in che cosa i lavori in corso comporterebbero un mutamento di destinazione di uso del magazzino, posto che indipendentemente dal classamento catastale C/1 o C/2 il locale è sempre stato classificato ed adibito quale negozio/magazzino. Parte dei lavori indicati nella determinazione a demolire (ampliamento della scala di accesso, l’apertura di un varco interno al locale e la realizzazione di vani WC) non sono stati realizzati dalla ricorrente, ma risultano già sanate con la concessione in sanatoria del 1997. Lamenta che gli accertamenti tecnici citati sia nell’ordinanza di sospensione sia nella determinazione a demolire al momento gravata non le sono mai stati messi a disposizione, con conseguente ulteriore vulnus della motivazione dell’atto impugnato. Vi sarebbe pure contraddittorietà tra più atti, dal momento che nella determinazione in esame vi è il riferimento alla ricerca di eventuali istanze di condono pendenti presentate dalla società ricorrente, quando poi nel primo diniego della DIA si dice che "l’elaborato grafico dell’ante operam è difforme rispetto alla planimetria presentata per il condono edilizio", che quindi l’amministrazione mostra di conoscere.

Lamenta che secondo la costante giurisprudenza civilistica sulla materia sono sempre realizzabili le ristrutturazioni edilizie di portata minore previa mera denuncia di inizio attività e comunque il mutamento di destinazione di uso degli immobili con opere interne, se di questo si dovesse trattare, è possibile senza il previo rilascio del permesso a costruire, purché la detta modificazione intervenga per categorie omogenee, quanto a parametri urbanistici e nella fattispecie alcuna variazione è stata apportata per cui il provvedimento appare vieppiù illegittimo oltre che ingiusto.

E seppure si volesse ritenere che una sanzione doveva essere applicata, l’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede semplicemente l’applicazione di quella pecuniaria non inferiore ad E. 516,00, non essendovi alterazione del volume, né della sagoma dell’edificio o cambiamento di destinazione di uso, ma rientrando nella attività edilizia libera.

Conclude la doglianza, osservando che il provvedimento impugnato non contiene le informazioni previste dall’articolo 8 della L. n. 241 del 1990 in ordine ai termini entro i quali il procedimento deve concludersi.

3. Le censure non possono essere condivise.

La questione principale sollevata in ricorso è se il seminterrato acquistato dalla ricorrente con atto del 27 settembre 2006 avesse avuto da sempre oppure no la destinazione C/1 – negozi e botteghe, come sostenuto dall’interessata e se, non essendo cambiata la destinazione di uso dei locali, le opere ivi realizzate possano considerarsi manutenzione ordinaria, necessitanti di semplice DIA piuttosto che di permesso a costruire come sostenuto dal Comune.

In punto di fatto va rilevato che il contratto di compravendita in data 27 settembre 2006 esibito in atti dalla ricorrente si riferisce al detto seminterrato come situato in "Roma Viale Angelico 1/A e censito nel Catasto Fabbricati del Comune di Roma al foglio 399, particella 134, sublterno 523 e classificato C/2 – deposito".

Al detto contratto risulta allegata una piantina che si riferisce al medesimo immobile accatastato al Foglio 399 particella 134, ma con subalterno n. 64 dalla quale si evince che effettivamente il detto seminterrato è definito negozio, risulta suddiviso in tre ambienti, in uno vi è un wc e si accede dal secondo al terzo, in senso orario, con una scala.

Il classamento catastale relativo a detto subalterno 64 risulta dalla visura ipotecaria prodotta in atti dalla società ricorrente, dalla quale si evince che lo stesso immobile accatastato al Foglio 399, particella 134, subalterno n. 64 è classificato "C/1 – Negozi e botteghe".

Lo stesso dicasi per la visura storica catastale del 16 luglio 2009 prodotta in atti sempre dalla ricorrente dalla quale risulta la stessa classificazione C/1 relativa al seminterrato almeno fino alla variazione della destinazione operata in data 28 settembre 2005 in "negozio magazzino" con relativo cambio del numero di subalterno da 64 in 523. La visura si ferma al 2005 e non indica in nuovo classamento.

Invece la visura storica catastale dell’immobile prodotta in atti dal Comune, completa fino ai giorni nostri mostra che fino al 2005 il seminterrato era classificato C/1, come sostenuto dalla ricorrente, ma dopo tale data era divenuta C/2 per effetto di "atto del 28 settembre 2005 n. 119842 e 1/2005 in atti dal 28 settembre 2005 a protocollo n. RM0679719".

E dunque ad un esame più approfondito della fattispecie, proprio della fase di merito, risulta evidente che sin dal momento in cui la ricorrente ha stipulato la compravendita del seminterrato in data 27 settembre 2006, ancorché ad essa vi fosse allegata la pianta relativa al precedente classamento "C/1 – negozio bottega", tuttavia essa ha acquistato il bene quando oramai era classificato "C/2 – deposito", di tal che se ora pretende di ripristinarne la precedente destinazione C/1 compiendo opere edilizie su di esso, il titolo abilitativo non può essere la DIA.

A questo punto si tratta di verificare se il ripristino della precedente destinazione di uso che, la ricorrente asserisce, con notazione smentita dalle superiori osservazioni, il locale non avrebbe mai perso, possa essere effettuato con le opere che ella ha denunciato a partire dalla prima DIA che esibisce in atti senza data.

E tale conclusione non può essere condivisa.

Il raffronto tra la pianta acclusa al contratto di compravendita del 27 settembre 2006 e quella acclusa alla perizia tecnica di parte in data 7 maggio 2008 mostra uno spostamento del locale wc nel cd. terzo ambiente, una modificazione del secondo ambiente con apertura verso il terzo e una modificazione della scala verso il cortile oltre alla creazione di spazi per servizi tecnologici (tubi di areazione) da tale secondo ambiente verso il cortile, esattamente come sanzionato nella determinazione a demolire, che rileva pure un ampliamento della scala di accesso di mt. 1,30 che il giudicante non ha potuto valutare in assenza di scala metrica delle due piante e la realizzazione di un wc in più non esistente nella pianta allegata al contratto del 2006.

Pertanto la censura va proprio respinta, come avviene pure per quella prospettata per seconda, nel rilievo che per costante giurisprudenza il cambio di destinazione di opere – come nel caso da C/2 a C/1 – ancorché realizzato tra categorie omogenee, come pure sostenuto dalla società ricorrente – essendo destinato ad incidere sul carico urbanistico non può essere effettuato senza oneri a carico dell’interessato (cfr. ex multis: TAR Lombardia Milano, sezione II, 16 marzo 2011, n. 740, TAR Lazio, sezione II, 8 aprile 2010, n. 5889).

Anche la terza doglianza con la quale parte ricorrente auspicherebbe la possibilità che le opere realizzate possano essere sanzionate pecuniariamente, in quanto non comportano modifiche essenziali all’immobile, non appare condivisibile, in parte per le superiori considerazioni ed in parte perché, contrariamente a quanto esposto in ricorso il cambiamento di destinazione di uso con opere appare acclarato, con la ulteriore conseguenza che, poiché le dette opere non potevano essere realizzate soltanto con DIA, non ricorrono i presupposti per l’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001.

4. In conseguenza della reiezione della domanda principalmente proposta non può neppure essere accolta la domanda di risarcimento del danno, a causa della rinvenuta legittimità del provvedimento impugnato.

5. Per le superiori considerazioni il ricorso va respinto.

6. Sussistono tuttavia giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio ed onorari tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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