Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-06-2011) 05-07-2011, n. 26177 Attenuanti comuni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il 13 luglio 2009 la Corte di assise di Foggia condannava P. F. alla pena dell’ergastolo perchè riconosciuto colpevole dell’omicidio premeditato della moglie separata, D.M., omicidio giudicato ulteriormente aggravato perchè in danno del coniuge e perchè consumato con crudeltà, davanti ai figlioletti minorenni, il più grande dei quali implorava di non sparare.

L’imputato con la stessa sentenza veniva altresì ritenuto colpevole del reato di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 2, 4 e 7, per la detenzione ed il porto della pistola utilizzata nell’omicidio detto, pistola clandestina perchè priva di matricola, del reato di cui all’art. 648 c.p., per la ricettazione, di tale arma, del reato di cui all’art. 614 c.p., per aver violato il domicilio dell’abitazione teatro del reato più grave, nonchè dell’art. 635 c.p., per aver danneggiato con gli spari alcuni mobili ivi posti a corredo.

2. Avverso detta sentenza proponeva appello l’imputato invocando, innanzitutto, il riconoscimento del vizio parziale di mente escluso in prime cure sulla scorta di perizia dibattimentale, contestando la sussistenza, nella fattispecie, delle aggravanti della premeditazione e della crudeltà della condotta nonchè la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, e chiedendo, infine, l’assoluzione dai reati di ricettazione e danneggiamento perchè non ricorrenti per essi i requisiti tipizzati dalle norme incriminatici.

All’udienza fissata per la discussione del gravame i difensori dell’imputato dichiaravano di rinunciare a tutti i motivi di impugnazione, ad eccezione di quello concernente la richiesta di concessione delle attenuanti generiche e la rideterminazione della pena.

La Corte di assise di secondo grado, con sentenza del due novembre 2010, in parziale riforma della decisione di prime cure, concedeva all’appellante le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza alle aggravanti ed alla recidiva contestate e rideterminava la pena inflitta in anni ventisei di reclusione.

3. Ricorre per Cassazione avverso tale pronuncia l’imputato, assistito dal difensore di fiducia, illustrando un unico motivo di impugnazione, con il quale denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 575, 577, 62 bis e 133 c.p..

Lamenta, in particolare, la difesa ricorrente che la valutazione della personalità dell’imputato, lodevolmente e diffusamente eseguita dalla Corte di secondo grado, avrebbe dovuto imporre la determinazione al minimo della pena, nella fattispecie invece quantificata in assenza di motivazione sufficiente al fine di dimostrarne l’adeguatezza e la ragionevolezza. Siffatti criteri infatti avrebbero imposto un giudizio di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche sulle aggravanti, certamente opinabili circa la loro sussistenza ancorchè oggetto di rinuncia, fatta per fini di convenienza difensiva.

La riconosciuta emotività dell’imputato appare infine contradditoriamente valutata in relazione alla pena base assunta dai giudicanti, pari ad anni ventiquattro in luogo del minimo edittale di anni ventuno.

4. Il ricorso è manifestamente infondato.

4.1 E’ noto l’insegnamento di questo giudice di legittimità secondo cui, in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile; ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio, trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti, tuttavia, la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Cass., Sez. 2^, 22/02/2007, n. 8413;

Cass., Sez. 2^, 02/12/2008, n. 2769) giacchè il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione ovvero delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Cass., Sez. 2^, 23/11/2005, n. 44322).

Ciò premesso ed in applicazione degli esposti principi deve concludersi che, ai fini dell’applicabilità o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, ovvero ai fini del bilanciamento tra attenuanti ed aggravanti, assolve all’obbligo della motivazione della sentenza il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, ritenuti di particolare rilievo come elementi concreti della di lui personalità, non essendo affatto necessario che il giudice di merito compia una specifica disamina di tutti gli elementi che possono consigliare o meno una particolare mitezza nell’irrogazione della pena (Cass., Sez. 5^, 06/09/2002, n.30284; Cass., Sez. 2^, 11/02/2010, n. 18158) ovvero, il che è lo stesso, la gravità della condotta giudicata.

4.2 Nel caso di specie la Corte ha correttamente motivato l’impugnato pronunciamento.

Dopo avere, infatti, collegato l’accoglimento dell’istanza difensiva sul punto agli esiti degli accertamenti peritali di prime cure, contrari al riconoscimento del vizio parziale di mente ma altrettanto esaustivi nella indicazione di una condizione soggettiva peculiare dell’imputato, strettamente collegata ai fatti di causa, hanno i giudicanti escluso la possibilità di un trattamento delle attenuanti in parola oltre il giudizio di equivalenza con le aggravanti contestate e con la recidiva sulla scorta di una evidente gravità del fatto. Di qui la palese infondatezza delle censure difensive, attesa la correttezza giuridica e logica dell’argomentare del giudice a quo, argomentare pienamente coerente con i principi innanzi esposti. Quanto, infine, alla censurata scelta in ordine alla pena base individuata dai giudicanti per il reato di omicidio, rammenta la Corte i principi costantemente affermati in questa sede di legittimità, volti al riconoscimento della più ampia discrezionalità del giudicante, il quale attraverso essa esprime l’in sè della giurisdizione, discrezionalità esercitabile da parte del giudice col solo limite della motivazione, che, per quanto premesso, ben può articolarsi rapidamente ed attraverso la valorizzazione di un elemento di giudizio (nella fattispecie la gravità del fatto) rispetto ad altri neppure considerati ai fini della decisione (Cass., Sez. Un., 25/02/2010, n. 10713; Cass., Sez. 3^, 17/11/2009, n. 6641; Cass., Sez. 5^, 06/09/2002, n.30284).

5. Il ricorso è, in conclusione, inammissibile ed alla declaratoria di inammissibilità consegue sia la condanna al pagamento delle spese del procedimento, sia quella al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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