T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 07-07-2011, n. 6011 Retrocessione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Società ricorrente, premesso di essere proprietaria di un terreno sito in Roma, in località Tor Pagnotta, distinto in catasto al foglio 888, part. 3,4, 6/p, 106/p, 134/p, 130/p, per una superficie complessiva di circa 113.680 mq, ricompreso nel progetto per la costruzione di una rimessa dell’ATAC, dichiarato di pubblica utilità ed urgenza con delibera della Giunta del Comune di Roma del 30.8.1977, ratificata dal Consiglio Comunale, e oggetto di occupazione d’urgenza, espone che, a seguito dell’irreversibile trasformazione delle aree per la realizzazione dell’opera pubblica, senza che fosse intervenuto il decreto di esproprio, il Tribunale di Roma, con sentenza del 28.12.1996/14.1.1997, riconosciuta l’accessione invertita in favore del Comune di Roma, dichiarava il diritto dell’istante al risarcimento dei danni.

Assume poi la ricorrente che, come fatto rilevare anche nei successivi gradi del giudizio civile risarcitorio, non essendo stata realizzata l’opera pubblica per intero, come originariamente progettata, una parte dell’area originariamente occupata non sarebbe stata oggetto di irreversibile trasformazione e di conseguente acquisto in proprietà da parte dell’amministrazione comunale a titolo di accessione invertita; per tale porzione di area, quindi, sussisterebbero i presupposti per la restituzione alla società proprietaria in applicazione dell’istituto della retrocessione parziale.

Con il ricorso assume quindi l’illegittimità della determinazione impugnata, con la quale è stata rigettata l’istanza di retrocessione parziale, per erroneità dei presupposti, errore nella motivazione e straripamento, insistendo nel rilevare la mancata trasformazione di una parte dell’area occupata, che non sarebbe stata interessata dalla realizzazione dell’opera pubblica.

Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate e tutte hanno dedotto l’infondatezza della pretesa, anche in ragione dell’accertamento espletato in seno al giudizio civile in ordine al difetto dei presupposti di fatto per la retrocessione e della sua definitività a seguito della formazione del giudicato.

Alla pubblica udienza del giorno 21 aprile 2011 la causa è stata rimessa in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

Ai fini della valutazione della fondatezza della pretesa azionata occorre prendere le mosse dalla considerazione degli elementi di fatto emersi nel corso del giudizio civile instaurato per il risarcimento dei danni derivanti dalla perdita della proprietà dell’area della ricorrente, a seguito dell’accessione invertita connessa all’irreversibile trasformazione del bene determinata dalla realizzazione dell’autorimessa dell’ATAC, per verificare su quali statuizioni delle pronunce giurisdizionali intervenute sul punto si sia formato il giudicato.

E’ evidente infatti, come fatto valere dalle difese di tutte le Amministrazioni resistenti, che un eventuale accertamento giudiziale del giudice civile, con efficacia di cosa giudicata, su circostanze di fatto rilevanti ai fini della pretesa azionata nel presente giudizio, risulterebbe vincolante per la delibazione della domanda proposta in questa sede.

In proposito occorre infatti ricordare che, ai sensi dell’art. 337 comma 2 c.p.c. (che stabilisce che:Quando l’autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata), il Giudice amministrativo non può prescindere dagli accertamenti di fatto e di diritto contenuti nel giudicato civile formatosi tra le medesime parti e per lo stesso oggetto in contestazione davanti a lui (Consiglio Stato, sez. V, 10 giugno 1998, n. 798).

A norma dell’art. 2909 c.c., il giudicato fa stato tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, nei limiti oggettivi costituiti dai suoi elementi costitutivi, ovvero il titolo della stessa azione (causa petendi) e il bene della vita che ne forma oggetto (petitum mediato), a prescindere dal tipo di sentenza adottato; entro tali limiti, il giudicato copre il dedotto e il deducibile, cioè non soltanto le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione o di eccezione e, comunque, esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni che, non dedotte in giudizio, tuttavia, costituiscano presupposto logico e indefettibile della decisione stessa, restando salva ed impregiudicata soltanto l’eventuale sopravvenienza di fatti e situazioni nuove.

Tanto premesso ritiene il Collegio che il giudicato civile, in sede giurisdizionale amministrativa, faccia stato quanto ai fatti accertati, senza, tuttavia, alcun vincolo in ordine alla loro qualificazione giuridica ed a condizione che le parti del successivo giudizio amministrativo abbiano partecipato al processo civile (circostanza evidentemente ricorrente nel caso di specie).

Occorre per questo premettere che il Comune di Roma, nel 1982, previa dichiarazione di pubblica utilità, occupava in via d’urgenza un’area di proprietà della Immobiliare Cometa di estensione di circa 113.680 mq., necessaria per la realizzazione di una autorimessa ATAC. Il procedimento espropriativo, alla data di scadenza del periodo di occupazione non si concludeva con l’adozione del decreto di esproprio mentre, sempre alla stessa data, l’area risultava irreversibilmente trasformata a seguito della realizzazione dell’opera pubblica.

Nel 1988, il Fallimento della Immobiliare Cometa, successivamente ritornata in bonis, conveniva quindi in giudizio il Comune di Roma innanzi al Tribunale di Roma per ottenere il risarcimento dei danni per l’occupazione appropriativa del fondo di mq. 113.680.

Il Tribunale, con sentenza n. 638/97, condannava il Comune di Roma al pagamento di somme a favore della Immobiliare Cometa a titolo di risarcimento danni per la perdita della proprietà dell’areadi mq. 113.680 conseguente ad occupazione acquisitiva.

La sentenza veniva impugnata dal Comune di Roma, con particolare riferimento alla natura inedificabile dell’area (che il Tribunale aveva invece ritenuto edificabile).

La Immobiliare Cometa proponeva appello incidentale chiedendo, fra l’altro, la restituzione di quella parte del terreno che non era stata utilizzata per la realizzazione dell’opera pubblica.

La Corte di Appello di Roma, con la sentenza n. 2791/99, respingeva l’appello incidentale della Immobiliare Cometa relativo alla richiesta di restituzione delle aree non utilizzate, ritenendo espressamente che non residuasse alcuna parte del terreno occupato non trasformata a seguito della realizzazione dell’opera pubblica.

La predetta statuizione non veniva modificata dalle successive pronunce giudiziali (che, sostanzialmente, ebbero oggetto i criteri per la determinazione del valore dell’area) e veniva esplicitamente confermata dalla recente sentenza della Corte di Appello di Roma n. 4422/10 la quale (pag.10) stabiliva che "…va tenuto fermo… il già disposto rigetto della

domanda di restituzione dell’area non utilizzata per l’esecuzione dell’opera pubblica,

statuizione anch’essa oggetto di acquiescenza".

Del resto, le pronunce citate quantificavano il risarcimento del danno spettante alla istante per la perdita della proprietà riferendosi espressamente e ripetutamente ad un’area estesa mq.113.630, ossia dell’intera area a suo tempo occupata dal Comune di Roma, proprio sulla base del presupposto che l’accessione invertita, e il conseguente acquisto di proprietà a titolo originario da parte dell’amministrazione, avesse riguardato l’intera area.

Proprio in questa prospettiva del resto la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 2791 /99 ha respinto la domanda di restituzione della porzione di area presuntivamente non utilizzata, in quanto l’accertamento di fatto dell’accessione invertita aveva riguardato la verifica dell’irreversibile trasformazione dell’intera area oggetto di occupazione d’urgenza e la quantificazione del diritto al risarcimento del danno era stata operata in relazione alla perdita della proprietà dell’intera area; l’acquiescenza prestata al relativo capo della sentenza, che stabiliva che l’area era stata interamente utilizzata e che, di conseguenza, quantificava il risarcimento del danno obbligava la Corte d’Appello al rigetto dell’appello incidentale e della domanda di restituzione dell’area asseritamente residua.

Nell’anno 2002 (quindi successivamente al rigetto della domanda di restituzione), la Immobiliare Cometa chiedeva poi alla Regione Lazio ed al Comune di Roma che venisse accertato che il terreno in questione fatto oggetto dell’accessione invertita disposta in sede giurisdizionale non è stato per intero utilizzato per la programmata autorimessa ATAC e che quindi ne venisse stabilita la retrocessione parziale al prezzo da stabilire secondo le disposizioni del sistema normativo nella materia.

La Regione Lazio respingeva l’istanza di retrocessione sulla base del disposto della Corte di Appello di Roma n.2791/99, in precedenza riportata.

Avverso tale provvedimento ha quindi proposto ricorso la Immobiliare Cometa s.r.l. davanti a questo Giudice chiedendone l’annullamento per i dedotti vizi di legittimità di erroneità nei presupposti, motivazione fuorviante e lacunosa, eccesso di potere per straripamento, violazioni di legge, erroneità nei presupposti, omessa motivazione e ingiusto diniego di istruttoria.

Tutto ciò premesso, appare fuor di dubbio al Collegio, e risulta per tabulas, che la domanda di restituzione della parte del terreno (presuntivamente) non utilizzata è stata respinta dalla Corte di Appello con la sentenza n. 2791 /99, che tale capo della sentenza non è stato fatto oggetto di impugnazione da parte della Immobiliare Cometa e che, a seguito della cennata acquiescenza, sul punto si è formato giudicato (come statuito dalla successiva sentenza della Corte di Appello n. 4422/10 citata sopra).

Il contenuto e l’estensione del vincolo derivante dal giudicato va ricostruito alla stregua del dato letterale della sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2791/99 che è stato, peraltro, riportato nel provvedimento impugnato.

La richiesta è stata respinta "non risultando che una parte del terreno occupato non fosse stata utilizzata per l’opera pubblica, ma ricavandosi, al contrario, dagli atti, che l’opera stessa era stata realizzata fin dal 7 agosto 1983".

Analogamente, nel successivo giudizio definito con la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 4422/10 a seguito di annullamento parziale con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 11322/2005), il giudice civile ha statuito che "va tenuto fermo..il già disposto rigetto della domanda di restituzione dell’area non utilizzata per l’esecuzione dell’opera pubblica, statuizione anch’essa oggetto di acquiescenza."

Peraltro, e ad abundantiam visto il carattere puntuale ed esplicito delle predette statuizioni, osserva il Collegio che, una volta formatosi il giudicato sul diritto al risarcimento in relazione all’intera area di mq. 113.630 e coprendo il giudicato anche le questioni che costituiscono il presupposto logico imprescindibile delle statuizioni adottate, è evidente che non avrebbe comunque potuto essere più messo in discussione il presupposto dell’avvenuta accessione invertita con riguardo all’intera area per la quale è stato riconosciuto il diritto risarcitorio.

La formazione del giudicato nei termini sopra esposti fin dalla pronuncia della Corte d’Appello del 1999 rende, quindi, inconferenti le considerazioni di parte ricorrente in ordine alla successiva emanazione dell’art. 43 del dpr n. 327/2001 e alle successive vicende normative e giurisprudenziali in materia di occupazione appropriativa; così come la definitività dell’accertamento giurisdizionale sul punto dell’ambito e della misura della realizzata occupazione appropriativa rende non più contestabile neanche in questa sede la correttezza di detto accertamento, benchè dalla consulenza di ufficio espletata nel corso del successivo giudizio di esecuzione sembrerebbero effettivamente residuare aree non utilizzate rispetto a quelle originariamente occupate, per l’efficacia del giudicato civile anche in seno al processo amministrativo.

In base alle esposte considerazioni risultano quindi fondate le difese delle amministrazioni resistenti nella parte in cui deducono l’inaccoglibilità della domanda per i vincoli connessi al giudicato civile; per tali ragioni il ricorso deve essere respinto.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate in complessivi 6000,00 euro, oltre IVA e CPA in favore delle Amministrazioni resistenti..

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida come in parte motiva.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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