T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 07-07-2011, n. 6028 Prodotti agricoli

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso introduttivo del giudizio, la ricorrente, nella sua qualità di primo acquirente nell’ambito del sistema nazionale delle c.d. "quote latte", ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti emessi da AIMA (ora AGEA) relativi alla procedura di compensazione del prelievo supplementare inerente le consegne del periodo 1995/1996 e 1996/1997 ex art. 1, comma 1, del D.L. n. 43 del 1999, oltre agli elaborati di verifica inviati ai sensi dell’art. 1, comma 17, del citato decreto, nonché gli atti a questi consequenziali e connessi (in particolare, il D.M. 17 febbraio 1998 e la circolare del Ministro delle Politiche Agricole n. 2182 del 27 luglio 1999, concernenti le modalità di accertamento della produzione lattiera ai fini dell’assegnazione delle quote di riferimento individuali e sulla cui base calcolare poi l’eventuale prelievo supplementare).

Viene censurata sotto vari profili l’assegnazione delle cd "quotelatte" (QRIquantitativo di riferimento individuale) ai produttori in relazione alle suindicate stagioni lattierocasearie nonchè la determinazione del prelievo supplementare (sempre a carico dei produttori) derivante dalle operazioni di compensazione nazionale delle produzioni per i medesimi periodi. Si sostiene, in particolare, che:

– la procedura di assegnazione retroattiva delle QRI è illegittima per violazione del principio di certezza del diritto ed affidamento delle imprese produttrici di latte;

– la comunicazione contenente i calcoli della compensazione inviata ex art. 1, comma 1, del D.L. n. 43 del 1999 costituisce una elusione della ordinanza di sospensione cautelare ottenuta dalla ricorrente con riferimento ad analoga comunicazione del luglio 1999;

– la compensazione è stata effettuata in assenza di dati certi sulla produzione e commercializzazione di latte in Italia per le annate 1995/1996 e 1996/1997, dal che deriva che i prelievi supplementari non sono attendibili;

– gli atti impugnati sono privi di motivazione;

– i dati relativi alla produzione sono stati rettificati senza che il primo acquirente abbia potuto opporsi a tali operazioni, seppure così preveda la legge n. 5 del 1998;

– il calcolo degli interessi sulla somma richiesta a titolo di prelievo supplementare è errato in quanto la comunicazione è arrivata prima nel mese di luglio 1999 e poi nel mese di ottobre 1999, mentre il computo è stato effettuato dal 1° settembre 1996 (per l’annata 1995/96) e dal 1° settembre 1997 (per la campagna 1996/97);

– la procedura di compensazione prevista dall’art. 1, comma 8, del D.L. n. 43 del 1999, è illegittima per contrasto con l’art. 2 del Reg. CE n. 3950/1992 e l’art. 3, comma 3, del Reg. CE 536/1993.

Con riferimento, invece, alla comunicazione del luglio 1999 inviata da AIMA ai sensi dell’art. 1, comma 17, D.L. n. 43 del 1999 convertito in legge n. 118 del 1999 (contenente gli "elaborati di verifica" recante l’indicazione, per ciascun produttore conferente, della produzione dichiarata nei modelli L1 presentati e di quella definitivamente accertata ai sensi del decretolegge n. 411 del 1997), la ricorrente ha, in sintesi, proposto le seguenti censure:

– i dati sulla base dei quali va calcolato il prelievo supplementare devono essere accertati in concreto mentre tale verifica è stata effettuata su base statistica ed induttiva ex D.M. 17 febbraio 1998, regolamento che, tuttavia, è stato sospeso in via cautelare dal Tribunale. Ciò rende inapplicabile l’art. 1, comma 17, del DL n. 43 del 1999 riguardante le operazioni di conferma o rettifica dei quantitativi ricevuti dai primi acquirenti, nella parte in cui richiede a questi ultimi di certificare dati inattendibili;

– il primo acquirente non è stato, poi, coinvolto nella procedura di verifica della veridicità dei dati di produzione contenuti nei modelli L1 in quanto, ai sensi del DM 17 febbraio 1998, l’accertamento è stato effettuato in contraddittorio con il solo produttore;

– l’art. 1, comma 17, D.L. n. 43 del 1999 convertito in legge n. 118 del 1999 è, altresì, illegittimo per contrasto con la Costituzione perché irragionevole e perché viola il principio di difesa e di buona amministrazione.

La ricorrente, infine, con riferimento alle due comunicazioni, deduce una serie di violazioni formali concernenti il difetto di sottoscrizione e le modalità di invio agli interessati.

Con ordinanza n. 3550/1999 questa Sezione ha accolto la domanda di sospensione cautelare.

Si è poi costituita in giudizio AIMA (ora AGEA) per resistere al ricorso.

In prossimità della trattazione del merito, la ricorrente ha depositato memorie e documentazione e dopo aver richiamato una serie di nuovi elementi nel frattempo emersi (relazione dei Carabinieri dell’aprile 2010 e esito dell’indagine condotta della Commissione di indagine sul tenore di materia grassa insediata nel 2009) ha insistito per l’accoglimento del ricorso e, in subordine, per il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia della CE, previa sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c..

Alla pubblica udienza del 21 giugno 2011, il Collegio, dopo aver eccepito d’ufficio l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 73, comma 3, del D.lgs n. 104 del 2010 per mancanza di legittimazione della ricorrente ed aver ascoltato le controdeduzioni in rito ed in merito della ricorrente, ha trattenuto la causa in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile, aderendo il Collegio a quanto già espresso sulla questione dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. VI, 19 gennaio 2010, n. 176; 19 giugno 2009, n. 4134; tra le tante, TAR Lazio, sez. II Ter, n. 610/2004) in tema di legittimazione ed interesse dei soggetti primi acquirenti dei prodotti lattierocaseari ad impugnare gli atti applicativi del complesso meccanismo del prelievo supplementare, nell’ambito del mercato regolamentato di tale settore.

Con le richiamate decisioni si è avuto modo di rilevare, sulla questione della ammissibilità del ricorso, che "il presupposto perché venga adita la tutela giurisdizionale riposa nell’interesse alla decisione, derivante da una lesione (né paventata né futura né inattuale) ad una posizione giuridica attiva tutelata dall’ordinamento" (Cons. St., sez. VI, n. 4134/2009 cit.).

Ed invero, dopo aver richiamato l’ambito di applicazione dell’art. 100 c.p.c., il giudice di appello ha escluso che, nelle fattispecie come quella in esame, ricorrano le condizioni dell’azione processuale in punto di legittimazione ed interesse a ricorrere.

Al riguardo, è stato ricordato che non può indurre ad oscurare la differente posizione tra produttore ed acquirenti (cfr., per una affermazione assimilabile, Cons. St., sez. VI, 13 ottobre 2003, n. 6208) la particolare veste giuridica della parte ricorrente. Si è detto infatti che l’interesse al ricorso deve essere personale e diretto, e che a nessun soggetto dell’ordinamento è consentito, fuori dei casi previsti dalla legge – che qui non ricorrono – di far valere in giudizio in nome proprio un diritto o un interesse altrui.

Come correttamente evidenziato nelle decisioni suindicate, deve infatti in linea generale osservarsi che "il regime delle quote latte, introdotto nel nostro ordinamento in attuazione della disciplina comunitaria, è finalizzato alla riduzione del divario tra l’offerta e la domanda nel mercato del latte e dei prodotti lattiero caseari, in modo da disincentivare le eccedenze strutturali e conseguire un miglior equilibrio del mercato. Il meccanismo è fondato sull’imposizione di un prelievo supplementare sui quantitativi di latte raccolti o venduti direttamente che superano un determinato limite, fissato per ciascuno Stato membro come quantitativo di riferimento nazionale.

Ciascuno Stato membro diventa così debitore nei confronti della Comunità del prelievo risultante dal superamento del quantitativo di riferimento nazionale, che a sua volta è ripartito, all’interno degli Stati, tra i produttori.

Ad ogni singolo produttore viene, quindi, assegnato un quantitativo massimo di produzione consentita (quantitativo di riferimento individuale) e viene imposto un prelievo supplementare per il quantitativo eccedente. Il pagamento del prelievo per i quantitativi eccedenti avviene attraverso un meccanismo, in cui gli acquirenti provvedono a comunicare alle regioni e a AIMA (ora AGEA) i quantitativi di latte consegnati da ciascun produttore e a versare a quest’ultima gli importi trattenuti.

Si tratta però di un versamento in sostituzione dei produttori, che restano i reali debitori e che è caratterizzato da trattenute anticipate dell’intero prelievo, salvo eventuale restituzione al produttore (con riferimento a tale ultima affermazione in punto di qualificazione della posizione dell’acquirente quale sostituto- ex multis, Cons. St., Sez. VI, n. 1634/2009 e n. 1579/2009). Ed invero, tenuto conto che il prelievo viene (o quanto meno dovrebbe essere) versato all’esito dei conteggi e delle compensazioni finali, ben può darsi il caso di un prelievo imputato in eccesso ai produttori.

Si deve quindi rilevare che la posizione del c.d. "primo acquirente" è una posizione derivata, e che l’individuazione del medesimo quale soggetto portatore di uno specifico obbligo nei confronti dello Stato discende dalla necessità di assicurare a monte il rispetto delle disposizioni in materia di prelievo supplementare.

Il quomodo di detto obbligo è stato più volte scandagliato dalla giurisprudenza, ed allo stato costituisce jus receptum il principio (che costituisce un significativo revirement rispetto a quanto in passato affermato da Corte di Cassazione, sez. II, del 27 luglio 2006 n. 17106) per cui in tema di diritto di prelievo supplementare sul latte vaccino e sui suoi derivati, l’art. 2, n. 2, del regolamento del Consiglio Ce n. 3950 del 1992 deve essere interpretato, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, nel senso che, pur avendo gli acquirenti la facoltà di trattenere il prelievo supplementare sul prezzo del latte e dei prodotti lattierocaseari, tuttavia tale disposizione, non impone alcun obbligo agli acquirenti medesimi. Pertanto, gli art. 5 e 11 della legge 26 novembre 1992 n. 468, ove traducono detta facoltà in un obbligo e ne sanzionano l’inosservanza con l’applicazione di pena pecuniaria, non sono compatibili con la predetta norma comunitaria, nella richiamata interpretazione vincolante resa dalla Corte di Giustizia CE, e vanno conseguentemente disapplicati.

Né d’altra parte, la ritenuta incompatibilità viene meno in virtù del fatto che l’ordinamento interno consente all’acquirente, in alternativa alla trattenuta, di convenire con il fornitore la costituzione di equipollenti forme di garanzia del creditore (ai sensi dell’art. 1 d.m. 25 ottobre 1995), dal momento che l’introduzione di una siffatta modalità alternativa di adempimento non incide sulla sussistenza dell’obbligazione e, quindi, non evita la perdita della facoltatività della trattenuta, voluta dall’anzidetta norma comunitaria come libera opzione dell’acquirente stesso (Cassazione civile, SS.UU., 12 dicembre 2006, n. 26434).

La Corte Costituzionale, con la decisione n. 272/2005, ha all’uopo precisato (in tema di attribuzione all’AIMA di funzioni amministrative) che "l’attività dell’acquirente e il controllo sulla stessa è essenziale per garantire il corretto funzionamento sull’intero territorio nazionale del complessivo meccanismo che presiede al regime delle quote latte.

L’acquirente, pertanto, adempie sì un obbligo proprio, ma in via derivata: può trattenere somme, farsi prestare garanzia, ma non versa o restituisce somme proprie. Adempie un obbligo nei confronti dello Stato, e versa a questi, ovvero restituisce ai produttori quanto da essi antecedentemente versato ed eventualmente non dovuto. Ma non può trattenere l’incamerato (che, all’evidenza, non gli spetta), e gli è indifferente, sotto il profilo patrimoniale, la problematica concernente il soggetto cui attribuire le somme in questione"" (Cons. St., n. 4134/2009 cit.).

Deve infine rilevarsi che nessuna delle censure contenute nel ricorso afferisce direttamente ed in concreto alla posizione dell’acquirente: non certo le generiche doglianze in ordine alla pretesa indeterminatezza dei criteri di svolgimento delle operazioni di compensazione a livello nazionale ovvero le altrettanto generiche censure con cui si lamenta la discriminazione tra produttori asseritamente posta in essere nell’ambito di detto procedimento compensativo delle eccedenze prodotte.

Né ha pregio il rilievo fondato sulla qualificazione in termini di mera facoltà, in capo agli acquirenti, e non già di obbligo giuridico, rispetto al prelievo da compiere in danno dei produttori, dato che ben diversa è la questione qui controversa, riguardando la stessa doverosità, ad opera degli acquirenti, di effettuare il versamento di quanto da essi trattenuto ai produttori a titolo di prelievo.

Né appaiono coerenti, sempre alla luce dell’interesse al ricorso ed ai suoi singoli motivi, le (peraltro) generiche censure inerenti la pretesa carenza di ogni controllo amministrativo sulla produzione effettiva di latte, che avrebbero reso incerti in via consequenziale i dati afferenti le operazioni di compensazione. Per non dire delle pretese inadempienze della amministrazione procedente rispetto agli obblighi partecipativi nei confronti dei produttori, unici soggetti legittimati a far valere (se del caso) vizi procedimentali che abbiano eventualmente inciso sulla propria sfera giuridica.

1.2 Le suesposte considerazioni a supporto della declaratoria di inammissibilità valgono, poi, anche con riferimento alla nota inviata alla ricorrente ex art. 1, comma 17, del DL n. 43 del 1999 in quanto, sebbene la norma da ultimo citata sia diretta a regolare adempimenti a carico dei primi acquirenti, le censure contenute nel ricorso in esame hanno comunque ad oggetto questioni attinenti la correttezza dei dati utilizzati e verificati da AIMA in merito alla produzione ed alla commercializzazione del latte, ovvero elementi riguardanti i produttori e non compiti specifici della ricorrente.

1.3 Da ciò deriva che, alla luce di quanto esposto nei precedenti punti 1.1 e 1.2, altrettanto inammissibili sono le censure riguardanti i vizi formali degli atti impugnati.

In ogni caso, le doglianze sono anche infondate in quanto le note sono comunque riferibili all’Azienda resistente in quanto dall’intestazione degli atti è facilmente rilevabile l’ente da cui proviene l’atto, il che è sufficiente per escludere la sussistenza dell’omissione rilevata dal ricorrente (per tutte, Cons. St., sez. V, n. 3804/2005).

Corretta è altresì la modalità di comunicazione delle note impugnate attraverso una raccomandata con avviso di ricevimento in quanto il termine "notifica", utilizzato dall’art. 3, par. 3, del Reg. CE n. 536/1993, deve essere inteso in senso "atecnico": legittimamente quindi la normativa nazionale può prevedere una tipologia di comunicazione come quella stabilita dall’art. 1, comma 1, del DL n. 43/1999, che è in grado di assicurare la conoscibilità nei confronti del destinatario garantendo "l’effetto utile" voluto dalla normativa comunitaria.

2. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

3. Le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti, anche in ragione dell’esito della fase cautelare.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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