Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-04-2011) 05-07-2011, n. 26163 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 27/3/2000, dichiarava V.M. colpevole del reato di cui all’art. 609 bis c.p., art. 609 quater c.p., commi 1 e 2 e art. 81 c.p., perchè aveva costretto la minore infraquattordicenne, P.P., a congiunzioni carnali, e lo condannava alla pena di anni 3 di reclusione, con applicazione di pene accessorie, nonchè al risarcimento dei danni in favore della p.c. da liquidarsi in separata sede, e al pagamento di una provvisionale in favore della stessa liquidata nella misura di lire 50.000.000.

La Corte di Appello di Bologna, chiamata a pronunciarsi sull’appello avanzato dal prevenuto, con sentenza del 16/6/09, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, con i seguenti motivi:

– errata interpretazione delle risultanze processuali, che ha determinato il decidente ad affermare la colpevolezza del prevenuto;

– nullità della sentenza per violazione di legge in attinenza alla ritenuta colpevolezza del V. in ordine ai fatti dei mesi di agosto e settembre del 1994, in dipendenza della circostanza che non poteva ritenersi che in quel periodo la minore fosse affidata all’imputato;

– il reato contestato era già prescritto nell’ottobre del 2007, in data antecedente alla pronuncia di secondo grado.

Motivi della decisione

Il ricorso non è manifestamente infondato, in particolare in attinenza alla censura avanzata col secondo motivo.

La difesa del V. ha evidenziato che il Tribunale di Bologna aveva ritenuto sussistere il consenso della minore al rapporto sessuale e che non vi era mai stata alcuna azione che l’imputato avesse compiuto forzando la volontà della stessa.

Il requisito necessario per la affermazione della penale responsabilità del prevenuto doveva, quindi, essere rappresentato, ex art. 519 c.p., applicabile come norme più favorevole nella fattispecie, rispetto alla attuale disciplina in materia, dalla circostanza che la minore fosse affidata al V., circostanza, questa, che il giudice di prime cure ha ritenuto ricorrere nei fatti che si sono verificati nei mesi di agosto-settembre 1994 e non in occasione dell’episodio dell’aprile 1995. Di fronte allo specifico motivo di appello, volto a sostenere che non poteva farsi distinzione alcuna tra le due situazioni e che, conseguentemente, anche nel periodo agosto-settembre 1994 non si poteva, nè doveva, ritenere che la P.P. fosse affidata all’imputato, la Corte distrettuale ha ritenuto, a contrario, che pure nel secondo episodio (quello del 1995) andava riconosciuta la sussistenza dell’affidamento della minore all’uomo, in difetto di adeguato discorso logico- giustificativo e di elementi a supporto della conclusione raggiunta.

La doglianza è fondata, in quanto il decidente ha omesso di argomentare sul punto, limitandosi ad una affermazione del tutto apodittica, che non permette di cogliere le ragioni per le quali ha tratto la convinzione de qua.

Rilevasi che la non manifesta infondatezza della censura consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e rende possibile, pertanto, rilevare e dichiarare le cause di non punibilità, ex art. 129 c.p.p., nella specie sussistenti, visto che il reato contestato è stato commesso fino all’aprile 1995, per cui il termine prescrizionale ad esso relativo risulta maturato già all’ottobre 2007, data questa antecedente alla pronuncia di appello, sicchè il delitto ascritto al V. va dichiarato estinto.

A questo punto si osserva che, secondo il disposto dell’art. 578 c.p.p., "quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di Cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sulla impugnazione ai soli effetti civili delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili".

Orbene, il processo traeva origine dalla denuncia-querela, sporta oralmente, in data 22/6/95, dalla minore ultraquattordicenne P. P..

Con tale atto la ragazza accusava V.M., convivente di sua sorella P.M.M., di avere costretto essa P. ad avere rapporti sessuali di diversa natura in due periodi, nei quali era stata ospite nella abitazione bolognese dei primi due, il primo tra il mese di agosto e settembre del 1994, il secondo durante l’aprile 1995. In sede dibattimentale P. esponeva in dettaglio la vicenda.

I giudici di merito hanno, a giusta ragione, ritenuto attendibile la p.o. e credibile il narrato da costei fornito, facendo rilevare che le stesse dichiarazioni rappresentano sì l’unica fonte diretta dell’addebito mosso al prevenuto, ma sono sostenute e rese affidabili da molteplici e convergenti elementi e argomenti: la consulenza del dott. M. è confermativa dell’avvenuta deflorazione di P., ciò assume una valenza individualizzante quanto al V., ove si consideri che nessuno spunto, nè da parte dell’imputato, nè da altra fonte, è stato mai addotto circa pregresse o coeve storie della ragazza con altri giovani; di poi, il prevenuto potè approfittare di due incontroverse circostanze, quali l’assenza della fidanzata M.M. per parecchie ore al giorno, determinata dall’attività di lavoro dalla stessa svolta, nonchè la prolungata presenza in casa dell’uomo, a causa di un infortunio sul lavoro da esso subito, pacificamente non impeditivo di attività sessuale.

Sul punto, inoltre, la Corte territoriale rileva come la stessa età di P., quattordici anni da poco compiuti al tempo degli episodi riferiti all’anno 1994, valga a corroborare taluni specifici particolari riferiti dalla giovane in ordine ai rapporti sessuali patiti, particolari che, per il loro contenuto e per i riscontri esterni agli stessi, non potevano essere frutto di mere fantasie erotiche: la minore riferisce della presenza in quella casa di cassette pornografiche e di vasellina (di cui si servì l’imputato prima di penetrarla analmente), come confermato dalla M. M., nonchè del vezzo del V., espressamente raccontato dalla p.o., di aiutare la propria eccitazione sessuale chiedendo alla partner di mettergli un dito nell’ano, circostanza, anche questa confermata da M.M., che, di certo, P. non poteva costruire con la immaginazione.

Rilevasi che la prova della violenza sessuale si presenta molto delicata e particolarmente problematica, perchè nella maggior parte dei casi il reato viene commesso in assenza di testimoni esterni, soprattutto se consumato tra le mura di domestiche.

L’art. 197 c.p.p. non prevede alcuna incompatibilità a testimoniare per la parte civile o per la persona offesa, diversamente da quanto stabilisce per il responsabile civile e per il civilmente obbligato per la pena pecuniaria.

Pertanto per la deposizione testimoniale della vittima del reato vale il principio della presunzione di attendibilità, che è stato confermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve, perciò, limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità tra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza, non, quindi, quello che emerge dall’interrogatorio dell’imputato (Cass. 10/10/06, Montefusco; Cass. 12/11/03, Mellini).

Ciò non esclude che la persona offesa, tanto più se costituita parte civile, sia portatrice nel processo penale di un interesse personale, che configge naturalmente con quello dell’imputato, il che impone al giudice di procedere con cautela e rigore particolari nella valutazione della sua testimonianza, tanto più in una materia come la violenza sessuale nella quale è sempre possibile un uso ricattatorio della denuncia penale.

Le pronunce di questa Corte sul punto non presentano oscillazioni, affermando costantemente che la deposizione testimoniale della persona offesa dal reato, anche se non equiparabile a quella di un testimonio estraneo al merito del processo, può, tuttavia, essere assunta da sola come fonte di prova, ove venga sottoposta ad una rigorosa analisi positiva sulla credibilità soggettiva del dichiarante e sulla attendibilità oggettiva della testimonianza (Cass. 14/4/08, De Ritis; Cass. 27/4/06, Iosi; Cass. 21/6/05, Poggi);

precisando, altresì, che detta deposizione, se rigorosamente valutata, secondo il principio del libero convincimento, adeguatamente motivato, è prova piena e non semplice indizio, e non ha bisogno di riscontri esterni, come quelli che l’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, richiede per conferire attendibilità alle dichiarazioni rese dal coimputato o da imputato in processo connesso o collegato (Cass. 4/11/04, Palmisani).

Dal controllo di legittimità a cui è stata sottoposta la impugnata sentenza emerge, in maniera in equivoca, che il giudice di merito ha dato piena contezza delle ragioni che gli hanno permesso di ritenere credibile quanto dichiarato da P. in ordine alle violenze patite ad opera del V., con puntuali richiami ai riscontri esterni, ravvisati nelle emergenze istruttorie, ritenuti convalidanti la veridicità del narrato fornito dalla vittima.

Questa Corte, conseguentemente, ritiene che la affermata colpevolezza del prevenuto per il reato ad esso ascritto sia logicamente e correttamente argomentata, con giusta condanna di esso al ristoro, a favore della parte civile, del danno subito, per come liquidato in sentenza.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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