Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-04-2011) 05-07-2011, n. 26146

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Genova con sentenza del 19.5.2010 confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Savona il data 19.5.2006 di condanna del R. alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 300,00 di multa per i reati di cui agli artt. 474, 648 cpv. e 515 c.p. per avere detenuto una serie di oggetti con marchio contraffatto indicato nel capo d’imputazione sub a), e un quadro con l’impronta contraffatta argento 925 sub b) e per aver ricevuto i detti oggetti di provenienza illecita ed aver tentato di porli in vendita.

Il ricorrente e il coimputato B. venivano trovati a bordo di un furgone con i beni prima indicati. Il R. dichiarava di avere acquistato gli oggetti nei pressi di un autogrill e il B. di essere un collaboratore del R..

La Corte rilevava indubitabile la contraffazione dei marchi e che gli stessi fossero per essere immessi in vendita attraverso il furgone nel quale sono stati rinvenuti.

Ricorre il R. che con il primo motivo rileva la carenza motivazionale della sentenza impugnata sia in ordine alla contraffazione dei marchi, alcuni del tutto sconosciuti, sia per il capo b) posto che nessuna indagine era stata effettuata sul materiale di cui era composto il quadro di cui al capo b).

Con il secondo motivo si allega che erano insussistenti i presupposti del tentativo di vendita al pubblico dei beni già richiamati in quanto gli stessi erano stati solo ritrovati all’interno di un furgone.

Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Circa il primo motivo la Corte ha ritenuto provata la contestata contraffazione dei beni indicati nei capi d’imputazione tenuto conto che nessuna documentazione sulla loro provenienza era stata esibita e che marchi come quelli apposti alle merci non vengono distribuiti attraverso il commercio ambulante; a ciò si aggiunge l’eterogeneità dei beni e le modalità con cui i beni sono stati scoperti (alcuni oggetti erano stati occultati sotto dei tappeti). Pertanto la motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla contraffazione appare congrua e logicamente coerente; mentre le censure sono di mero fatto e del tutto generiche (ivi compreso quelle concernenti il capo b) della rubrica). Anche il secondo motivo è generico e di fatto: le circostanze in cui vennero scoperti gli oggetti dimostra chiaramente l’intenzione del ricorrente di commercializzarli attraverso il suo furgone, a tal fine il R. si serviva anche di un collaboratore.

La motivazione è persuasiva e logicamente coerente; le censure sono di mero fatto e del tutto generiche.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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