Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-11-2011, n. 24634

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.S. e le altre ricorrenti indicate in rubrica hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi e memoria, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avverso il decreto in data 20 maggio 2008, con il quale la Corte di appello di Catanzaro ha condannato il Ministero intimato al pagamento in loro favore della complessiva somma di Euro 6.000,00, in ragione di Euro 1.200,00 per ciascuna delle ricorrenti, a titolo di equa riparazione, ex art. 2 L. n. 89 del 2001, per violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio promosso dalla de cuius P.A., deceduta nel (OMISSIS), davanti alla Corte dei conti con ricorso del 18 dicembre 1964 e conclusosi con sentenza di rigetto del 18 ottobre 2005.

Il Ministero intimato ha resistito con controricorso.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivi della decisione

Preliminarmente va disattesa l’eccezione l’inammissibilità del ricorso per equa riparazione, sollevata dal Ministero controricorrente per essere stato detto ricorso proposto il 22 maggio 2007, oltre sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza della Corte dei conti, avvenuto il 18 ottobre 2006, decorso un anno dal deposito della stessa sentenza effettuato il 18 ottobre 2005.

L’eccezione sollevata non tiene infatti conto della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, che comporta che nella specie il termine semestrale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 scadeva il 28 maggio 2007.

Con il primo motivo le ricorrenti, denunciando violazione di legge, si dolgono che la Corte di appello abbia escluso che il diritto all’equa riparazione vada riconosciuto anche con riferimento all’arco temporale che è intercorso tra la ratifica per l’Italia della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo avvenuta con legge 4 agosto 1955 n. 848 e l’entrata in vigore dell’art. 25 della Convenzione medesima, avvenuta l’1 agosto 1973. Il motivo è infondato. Osserva il collegio che, avendo la L. n. 89 del 2001 la finalità di apprestare in favore della vittima della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, un rimedio giurisdizionale interno analogo alla prevista tutela internazionale, deve ritenersi che, anche nel quadro dell’istanza nazionale, al calcolo della ragionevolezza dei tempi processuali sfugga il periodo di svolgimento del processo presupposto anteriore all’1 agosto 1973 – data a partire dalla quale è riconosciuta la facoltà del ricorso individuale alla Commissione (oggi, alla Corte Europea dei diritti dell’uomo), con la possibilità di far valer la responsabilità dello Stato – dovendosi peraltro tener conto della situazione in cui la causa si trovava in quel momento (Cass. 2006/14286; 2010/15778). Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione e si formula quesito di diritto, con il quale si chiede se le peculiari circostanze di fatto, quali la durata di quarantuno anni della causa e l’incidenza della stessa su beni fondamentali della persona umana, non debbano essere valutabili ai fini della riparazione del danno per violazione del termine ragionevole di durata del processo.

Il motivo è inammissibile in quanto illustrato con un quesito di diritto -formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile alla fattispecie ratione temporis (decreto impugnato pubblicato il 20 maggio 2008) – che si risolve nel mero e generico interpello della Corte in ordine alla censura così come illustrata, ma non contiene la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice di merito e della diversa regola di diritto che, ad avviso dei ricorrenti, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. S.U. 2008/2658; Cass. 2008/19769; 208/24339). Inoltre, con riferimento al prospettato vizio di motivazione, le ricorrenti non ha illustrato la censura con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, attraverso un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità e da evitare che all’individuazione di detto fatto controverso possa pervenirsi solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.U. 2007/20603; Cass. 2007/16002; 2008/8897).

Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso e le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *