Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-04-2011) 05-07-2011, n. 26141

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

La Corte di appello di Genova con sentenza del 22.4.2010, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Imperia del 12.5.2004, dichiarava non doversi procedere nei confronti del T. in ordine ai reati di cui agli artt. 416, 640, 494, 477, 482 e 468 c.p. perchè estinti per prescrizione e rideterminava la pena per il residuo reato di ricettazione sub qq), con l’aumento per la continuazione interna, nella pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 600,00 di multa.

Ricorre il T. che allega la violazione del divieto di reformatio in pejus in quanto il capo qq) concernente il residuo reato di ricettazione era da ritenersi unitario poichè la ricettazione dell’assegno e quella della carta di identità erano indissolubilmente legate in funzione dell’incasso del titolo per cui la prescrizione degli altri reati non aveva portato a tutte le conseguenze dovute favorevoli all’imputato.

Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Risulta inequivocabilmente dalla motivazione della sentenza di primo grado che la pena di anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 800,00 di multa è stata calcolata solo per il reato di ricettazione dell’assegno e non anche per la ricettazione parimenti contestata al capo qq) della patente di guida in via di continuazione interna (cfr. rubrica); gli aumenti applicati ex art. 81 c.p. comprendono quindi anche l’episodio ulteriore di ricettazione non computato nella pena base riferita, come detto, solo alla ricettazione del titolo di credito.

Pertanto nessuna violazione del principio del ne bis in idem si è verificato, posto che il giudice di appello ha rideterminato la pena in relazione a diversi episodi di ricettazione non prescritti e contestati al capo qq) della rubrica.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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