T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 07-07-2011, n. 1828 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’odierno ricorso, notificato il 14.11.2008 e depositato il successivo 12.12.2008, le esponenti hanno impugnato l’ordinanza in epigrafe specificata, con la quale l’intimato Comune ha ordinato la rimozione delle opere abusive in essa meglio illustrate, sul presupposto dell’assenza agli atti del medesimo ente di una domanda di permesso di costruire in sanatoria e/o di una concessione in sanatoria rilasciata in relazione alle medesime opere.

Nessuno si è costituito per le parti intimate.

Con ordinanza n. 31, del 9 gennaio 2009, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione.

Alla Pubblica udienza del 21 aprile 2011 la causa, su conforme richiesta di parte, è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

Con un unico motivo di ricorso le esponenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, nonché, il vizio di eccesso di potere per erroneità dei presupposti.

Ciò, in quanto, a loro dire, il Comune avrebbe del tutto omesso di considerare l’esistenza della domanda di concessione edilizia in sanatoria depositata presso l’intimato ente l’8.04.1995 dal sig. G. Sergio, avente ad oggetto le stesse opere di cui all’impugnata ordinanza di demolizione.

Tale domanda, che sarebbe stata accompagnata da tutta la documentazione prescritta dall’art. 39 della cit. legge ai fini della formazione del silenzioassenso, non sarebbe stata seguita da alcun provvedimento negativo esplicito da parte del Comune che, di contro, avrebbe adottato il provvedimento repressivo qui gravato, proprio facendo leva sull’erroneo presupposto della mancanza di una domanda di sanatoria.

Il ricorso è, nei sensi di seguito esposti, fondato.

Sussiste il lamentato deficit motivazionale del provvedimento impugnato, laddove lo stesso fa riferimento alla mancanza della domanda di sanatoria agli atti del Comune, in relazione alle medesime opere abusive di cui viene ordinata la demolizione.

Dalla documentazione versata in atti da parte ricorrente risulta, infatti, una domanda di sanatoria depositata agli atti del Comune dal dante causa delle ricorrenti, sulla base della previsione di cui all’art. 39 della legge n. 724/1994, e in relazione alla quale il Comune non ha mai fornito alcuna risposta.

L’assenza di un qualunque riscontro, peraltro, lungi dal poter essere interpretato come un diniego della medesima domanda, appare imputabile ad una falsa rappresentazione della realtà da parte della stessa amministrazione, non potendosi fornire altra giustificazione all’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo cui:"non risulta agli atti del Comune alcuna istanza per l’ottenimento del permesso di costruire in sanatoria delle opere in argomento".

Nessun chiarimento, sul punto, è stato fornito dalla intimata amministrazione che, del resto, non si neppure costituita in questa sede per rappresentare le proprie ragioni o per contestare i fatti così come dedotti dalle ricorrenti.

Al riguardo, ritiene il Collegio che – pur apparendo la domanda di sanatoria tardiva rispetto al termine di cui all’art. 39, co.4° della legge n. 724/1994 (risultando la stessa depositata agli atti del Comune in data 08.04.1995) – nondimeno era doveroso per l’amministrazione fornire ad essa una risposta, in ossequio a elementari principi di correttezza e buona amministrazione, desumibili dagli artt. 97 Cost. e 1 della legge n. 241/1990 (cfr. T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 12 maggio 2011, n. 830, secondo cui l’obbligo di provvedere sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia ed equità impongano l’adozione di un provvedimento, cioè in tutte quelle ipotesi in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni, qualunque esse siano, di quest’ultima. In senso analogo, cfr. anche T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 07 luglio 2005, n. 1025, in relazione ad una domanda di sanatoria e al dovere dell’amministrazione di esternare la valutazione tecnica svolta in ordine alla presunta insufficienza di documentazione, anche al fine di evidenziare gli aspetti da approfondire e da integrare da parte del privato, in evidente applicazione dei superiori principi di affidamento e di efficacia dell’azione amministrativa, desumibili altresì in materia da espresse disposizioni normative, quali gli art. 39 comma 4, l. 23 dicembre 1994 n. 724, come modificato dall’art. 2 comma 38, l. 23 dicembre 1996 n. 662).

Giova, poi, osservare come, nel caso in esame, l’adozione di un provvedimento esplicito da parte dell’amministrazione avrebbe consentito al richiedente di autodeterminarsi liberamente in relazione alla riproposizione della domanda di sanatoria in base a leggi successive che, come poi accaduto con il D.L. n. 269/2003, conv. in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 326/2003, hanno sostanzialmente dato luogo ad una riapertura dei termini di presentazione delle domande di sanatoria degli abusi edilizi ivi contemplati (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 1200 del 02032010, secondo cui il condono di cui al d.l. n. 269/2003 si ricollega sotto molteplici aspetti ai precedenti condoni edilizi che si sono succeduti dall’inizio degli anni ottanta: "ciò è reso del tutto palese dai molteplici rinvii alle norme concernenti i precedenti condoni, ma soprattutto dal rinvio alla legge 28 febbraio 1985, n. 47. Attraverso questa tecnica normativa, consistente nel rinvio alle disposizioni dell’istituto del condono edilizio come configurato in precedenza, si ha una saldatura fra il nuovo condono ed il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario, cui si apportano peraltro alcune innovazioni").

Più in generale, si deve ritenere che, al di là dell’obbligo normativamente imposto alla P.A. di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso e motivato (cfr. artt. 2 e 3 legge n. 241/90), appartiene ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato il principio secondo cui l’Amministrazione è parimenti tenuta a pronunciarsi laddove ragioni di giustizia ed equità impongono l’adozione di un provvedimento, nonché tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, qualunque esse siano (cfr. Consiglio di Stato Sez. VI^ 14/10/1992 n° 762; T.A.R. Campania, I^ Sez. 28/6/2001 n°1034; T.A.R. Puglia – Lecce III^ sez. 21/12/07 n. 4370; T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 03 febbraio 2010, n. 421).

Ebbene, in relazione al caso che qui occupa, l’amministrazione non solo non ha adottato alcun provvedimento esplicito in risposta alla domanda del privato, ma – sul falso presupposto dell’assenza di una tale domanda – ha direttamente ordinato la demolizione delle stesse opere abusive oggetto della domanda pretermessa.

Da ciò l’illegittimità dell’operato del Comune di Venegono Superiore, in conformità all’orientamento giurisprudenziale incline a ritenere che, in pendenza di procedimenti autorizzatori (volti al conseguimento di un titolo in sanatoria), non ancora definiti dal Comune, sussista l’obbligo in capo all’Amministrazione di pronunciarsi sulle istanze pendenti prima di adottare eventuali provvedimenti sanzionatori, in ragione di evidenti esigenze garantistiche di tutela della posizione del contravventore e di economia, evitandosi la distruzione di beni che potrebbero risultare suscettibili di sanatoria (così T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 23 febbraio 2011, n. 1019; analogamente T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 02 febbraio 2011, n. 184, secondo cui:" La pubblica amministrazione ha l’obbligo, ex art. 38, l. n. 47 del 1985, di astenersi fino alla definizione del procedimento attivato per il rilascio della concessione in sanatoria, da ogni attività repressiva o sanzionatoria, che potrebbe vanificare a priori l’interesse al rilascio del titolo abilitativo, con la conseguenza che prima la pubblica amministrazione deve pronunciarsi sulla condonabilità o meno dell’opera e, solo dopo una valutazione negativa, deve sanzionare l’abuso commesso").

Per le suesposte considerazioni, il ricorso in epigrafe specificato deve essere, nei sensi di cui in motivazione, accolto, salvi gli ulteriori provvedimenti da parte della P.A., con conseguente annullamento dell’atto impugnato.

Le spese seguono la soccombenza, e sono poste a carico dell’amministrazione comunale di Venegono Superiore e a favore delle ricorrenti, nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione, con conseguente annullamento dell’atto impugnato.

Pone le spese di lite a carico del Comune di Venegono Superiore e a favore della parte ricorrente, liquidandole nella misura di complessivi euro 2.000,00, accessori di legge inclusi. Nulla per il resto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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