Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-01-2011) 05-07-2011, n. 26219

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

R.G. ricorre avverso l’ordinanza di cui in epigrafe che non ha accolto la sua richiesta di riparazione per ingiusta detenzione subita per i reati di cui all’art. 416 c.p. e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, dai quali era stato assolto con la formula per non aver commesso il fatto.

Con il primo motivo deduce che il giudice della riparazione ha rigettato l’istanza disapplicando il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale viene riconosciuto il diritto alla riparazione quando l’istante sia stato sottoposto a limitazione della libertà personale, nell’ipotesi in cui il provvedimento sia stato emesso o mantenuto in assenza delle condizioni previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p..

Con il secondo motivo prospetta la carenza di motivazione del diniego, analizzando in modo critico gli elementi valorizzati dal giudicante.

Sostiene che non sarebbe stato valorizzato il dato rappresentato dal fatto che già il tribunale della libertà aveva apprezzata l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati per cui era stata applicata la misura e che comunque non poteva condividersi il giudizio sulla ravvisata sussistenza della condotta "dolosa" tenuta dall’istante nella vicenda (coinvolgimento nell’assunzione di lavoratori extracomunitari clandestini, che venivano fatti lavorare in nero, senza il versamento degli oneri contributivi).

Il ricorso è infondato.

I motivi, strettamente connessi, meritano trattazione congiunta.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v., di recente, Sezioni unite 27 maggio 2010, n. 32383, D’Ambrosio, rv.

247663), la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, anche nel caso previsto dall’art. 314 c.p.p., comma 2, e cioè in relazione alle misure coercitive disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p..

Anche in tale ipotesi, pertanto, si palesa alla luce dei principi sopra affermati, la necessità di verificare l’eventuale incidenza causale della condotta del soggetto interessato dalla misura, nel caso che quelli stessi elementi fossero sopravvenuti all’adozione del provvedimento restrittivo.

L’ordinanza impugnata è in linea con tale principi giacchè il giudice della riparazione ha fornito adeguata motivazione sulla ritenuta gravità della colpa e, ai fini della causa sinergica, ha preso in considerazione la condotta tenuta dall’istante, posta a base della misura cautelare, così valutando l’efficienza causale del comportamento dell’istante con riferimento al provvedimento restrittivo.

E’ noto, in proposito, che nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, il sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio.

Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo (Sezione 4, 10 giugno 2008, Maggi ed altro).

La decisione è in linea con il principio in forza del quale il giudice di merito, chiamato a pronunciarsi sull’ingiusta detenzione, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.

Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un iter logico- motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (cfr., tra le tante, Sezione 4, 30 settembre 2008, Khan).

La Corte di merito ha proceduto secondo le suindicate indicazioni di principio, attraverso l’analisi degli elementi acquisiti in atti (in particolare, la ricostruzione del ruolo assunto dall’istante nella cooperativa di servizi che aveva assunto i lavoratori e nelle assunzioni dei cittadini extracomunitari), ritenuti idonei a fondare causa ostativa della riparazione.

La motivazione sul punto fornita è congrua e resiste alla lettura di segno diverso operata nel ricorso. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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