Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-11-2011, n. 24611 Nullità e inesistenza della sentenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20 dicembre 2006 la Corte d’Appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Verbania del 21 aprile 2005 con la quale è stata rigettata l’opposizione a precetto proposta da B.N. nei confronti dell’I.N.P.S. e della società SCCI s.p.a. cessionaria dei crediti dello stesso istituto. Per quanto rileva in questa sede la Corte territoriale ha considerato che la mancata indicazione della SCCI s.p.a. nell’intestazione e nel dispositivo della sentenza di primo grado, non costituisce motivo di nullità della sentenza ma mera irregolarità emendabile con la procedura di correzione di errore materiale, in quanto non risulta violato il contraddittorio fra le parti come risulta dalla parte motiva della stessa sentenza che considera la posizione di detta società. Quanto alla asserita violazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3, comma 3, lett. B), la Corte d’Appello di Torino ha considerato che, benchè il procuratore dell’I.N.P.S. possa difendere solo l’istituto, egli non si è costituito per il diverso soggetto SCCI s.p.a., ma ha agito sull’esclusivo mandato dell’I.N.P.S. che, a sua volta, aveva assunto la difesa della SCCI sulla base di una procura speciale avente ad oggetto tutta la gestione dell’attività legale finalizzata al recupero dei crediti contributivi ceduti.

Il B. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolandolo su due motivi.

Resiste con controricorso l’I.N.P.S..

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e con riferimento all’art. 132 cod. proc. civ.;

contraddittoria ed insufficiente motivazione. In particolare si deduce che l’omessa menzione di una parte in causa nell’intestazione e nel dispositivo della sentenza di primo grado, non costituirebbe mera svista, ma motivo di nullità della sentenza in quanto il giudice di merito, ignorando tale parte in causa, avrebbe anche omesso di pronunciarsi sull’eccezione di carenza di legittimazione passiva del medesimo soggetto.

Con il secondo motivo si lamenta nullità ed illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3, comma 3, lett. b). In particolare si deduce che l’eccezione di nullità sarebbe stata comunque non tardiva in quanto proposta alla prima udienza, e comunque la dedotta nullità sarebbe rilevabile d’ufficio. In particolare si deduce che non vi sarebbe capacità processuale per una parte che si costituisce con il ministero di un avvocato dell’I.N.P.S., che ha la possibilità di difendere solo l’istituto essendo iscritto in un albo speciale, essendo a tal fine, irrilevante la procura rilasciata dall’istituto a tale parte per il recupero dei propri crediti.

Entrambi i motivi sono infondati.

Quanto al primo motivo si osserva che correttamente il giudice del merito ha seguito la giurisprudenza consolidata secondo cui l’inesatta indicazione nell’intestazione della sentenza, o di qualsiasi altro provvedimento del giudice, del nome di alcuna delle parti in tanto produce nullità della sentenza stessa in quanto generi incertezza circa i soggetti ai quali la decisione si riferisce;

mentre l’irregolarità formale o l’incompletezza della intestazione o addirittura l’omessa menzione, in essa, del nome di una delle parti non è motivo di nullità se dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’identificazione di tutte le parti. In tal caso, infatti, la sentenza è idonea a raggiungere, nei confronti di tutte le parti, i fini a cui essa tende, e l’omissione va considerata come un mero errore materiale, che può essere corretto con la procedura prevista dagli artt. 287 e 288 c.p.c. (Cass. 28 maggio 2001 n. 7242; 25 marzo 1999 n. 2869; 14 febbraio 1997 n. 1336; 28 gennaio 2003 n. 1219; 9 febbraio 2005 n. 2657). Nel caso in esame la Corte territoriale ha esattamente considerato che dalla motivazione della sentenza di primo grado emerge con chiarezza che sono state considerate la posizione e gli interessi della società cessionaria ei crediti dell’I.N.P.S., per cui non sussiste alcuna possibilità di dubbio in ordine alla correttezza dell’instaurazione del contraddittorio.

In relazione al secondo motivo basta considerare, come correttamente sostenuto anche con la sentenza impugnata, che il procuratore dell’I.N.P.S. non ha affatto agito per conto della S.C.CI., ma solo ed esclusivamente per l’I.N.P.S. da cui ha ricevuto il mandato; la difesa dell’interesse della S.C.CI. non è dunque conseguente ad un illegittimo mandato ricevuto, ma è solo conseguenza di fatto della qualità di cessionaria ex lege dei crediti dell’I.N.P.S. di tale società.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 30,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A..
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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