Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-06-2011) 06-07-2011, n. 26290

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte di assise di appello di Palermo confermava la condanna inflitta dal GUP della stessa città a R.M. per il delitto di omicidio aggravato dalla crudeltà e per il delitto di omesso soccorso in mare ad un gommone, carico di extracomunitari, che si trovava in gravi condizioni di galleggiabilità.

Osservava che il fatto era stato riferito nel gennaio del 2008, quando cittadini extracomunitari, giunti su un barcone fatiscente a Lampedusa, avevano raccontato di un grave episodio accaduto in acque internazionali addebitabile ad un peschereccio italiano; in particolare avevano riferito che erano stati avvicinati da detta imbarcazione alla quale avevano chiesto aiuto perchè erano in avaria, che era stata loro offerta acqua e cibo, ma che, quando uno di loro aveva cercato di salire a bordo aggrappandosi alla parete, all’improvviso la barca era partita velocemente per impedire ad altri di seguire la sua strada. Il gommone era poi stato soccorso da altra imbarcazione ed erano giunti a terra, ma del loro amico non avevano avuto più notizie. Contemporaneamente un marinaio imbarcato sul peschereccio incriminato aveva chiamato i carabinieri per denunciare un omicidio. Costui veniva identificato nel cittadino tunisino B.A. e aveva riferito che quella mattina il peschereccio, dove lui lavorava, era stato avvicinato dal gommone e i numerosi cittadini extracomunitari avevano chiesto aiuto; mentre distribuivano acqua uno di loro si era arrampicato sullo scafo, ma il comandante, R., gli aveva ordinato di farlo cadere a mare.

Lui non gli aveva obbedito e lo aveva trattenuto per i vestiti, anche perchè l’uomo era debole e non aveva la forza di tirarsi sulla barca. Il comandante aveva quindi cercato di staccargli le mani dal bordo, ma lui lo aveva trattenuto per il collo del giubbotto ed era riuscito a fargli appoggiare una gamba sul bordo del parapetto. A quel punto si era tirato indietro per la stanchezza ed aveva sentito il comandante dire "Mi dispiace di buttarti a mare, ma lo devo fare", aveva sentito l’uomo invocare aiuto più volte e poi l’urlo.

Anche gli altri membri dell’equipaggio aveva riferito cose analoghe e cioè che il comandante aveva giustificato la sua condotta dicendo che i clandestini provocavano solo guai con danno economico per la giornata di pesca, che aveva loro ordinato più volte di buttarlo a mare anche quando il gommone con i clandestini era ormai lontano, a circa m. 500, che erano stati allontanati in lacrime per la sorte dell’uomo e che non sapevano se era caduto perchè spinto o perchè scivolato.

La corte territoriale, ricostruiti i fatti, affrontava per prima cosa la questione processuale dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese con incidente probatorio in quanto all’udienza aveva partecipato il difensore delle parti civili, che non poteva costituirsi se non in udienza preliminare, osservando che l’eccezione era stata sollevata per la prima volta in sede di discussione in appello e non era contenuta neppure nei motivi, comunque, quale nullità relativa, avrebbe dovuto essere sollevata all’udienza preliminare.

Respingeva i motivi sollevati sulla impossibilità di ritenere il delitto di omicidio per la mancanza del cadavere, essendo certo che quella persona esisteva e che molti testimoni avevano visto quanto accaduto; il teste A.M. aveva riferito che, dopo aver sentito il tonfo in acqua, aveva visto l’uomo dibattersi tra le onde e che aveva la sua faccia ancora impressa nella memoria.

La vittima era persona debilitata e stremata, le acque del mare erano gelide e non vi era vicina alcuna fonte di aiuto, per cui la morte doveva essere intervenuta subito.

Non rispondeva al vero che gli altri extracomunitari non avevano subito riferito della scomparsa del naufrago, in quanto lo avevano fatto non appena giunti a terra, quando avevano appurato che non c’era e non appena avevano avuto l’opportunità di parlare con un interprete. La circostanza che il cadavere non fosse stato ritrovato era dovuto a puro caso fortuito, per altro piuttosto frequente in episodi analoghi.

Infine riteneva infondati i motivi che avevano sostenuto la mancanza di prova della volontarietà dell’atto, in quanto il denunciante aveva riferito che quando aveva lasciato la presa, l’uomo aveva il petto e la gamba appoggiato sul parapetto, per cui era sicuro fosse nelle condizioni di entrare dentro l’imbarcazione; invece aveva distintamente sentito R. pronunciare quella frase e poi le urla della vittima. Tutti gli altri marinai avevano riferito di aver sentito più volte R. ordinare di buttarlo a mare fino a quando ciò non era effettivamente accaduto.

La corte osservava che se tale fatto fosse avvenuto per mano diretta dell’imputato o per via mediata, dovuta al fatto di aver impresso una forte accelerazione dell’imbarcazione proprio per farlo cadere, nulla mutava ai fini della responsabilità; comunque era certo che dopo, pur avendolo visto in acqua in evidente difficoltà, non aveva fatto nulla per salvarlo.

Il dolo che aveva assistito tale azione era un dolo eventuale, come sostenuto dal primo giudice, tenuto conto delle condizioni fisiche della vittima e delle condizioni del luogo dove non era possibile prospettarsi alcun aiuto o rifugio.

Infondata era la richiesta di ritenere la legittima difesa, temendo egli l’invasione dei clandestini sul suo peschereccio e non potendo escludere che fossero armati, visto che si trattavo solo di un gruppo di persone disperate, e che tutto l’equipaggio aveva supplicato in lacrime il comandante perchè li aiutasse o almeno chiamasse la capitaneria di porto; parimenti nessun timore realistico poteva avere del povero naufrago che si era aggrappato al suo peschereccio, anche perchè ormai si era allontanato dal gommone e non vi era più alcun pericolo che altri potessero seguirlo.

Era conclamato anche il delitto di omissione di soccorso visto che si era rifiutato di aiutarli e di chiamare la capitaneria di porto per comunicare la situazione di difficoltà.

L’entità della pena appariva congrua alla assoluta gravita dei fatti, cosi come legittima la condanna generica al risarcimento dei danni, sempre possibile in presenza dell’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose.

Avverso la decisione presentava ricorso l’imputato e deduceva:

– violazione di legge in relazione alla fattispecie contestata e in ordine alla valutazione degli elementi di prova in quanto non solo non vi era la prova che l’evento morte si fosse verificato, ma, se anche fosse, non vi era prova della volontà omicidiaria; infatti contrariamente a quanto affermato in sentenza i testi non avevano detto di aver sentito il tonfo, di aver visto il comandante buttare a mare l’uomo e nulla escludeva che egli fosse caduto accidentalmente;

nessuna traccia biologica era stata rinvenuta sul bordo del peschereccio e neppure alcuna scalfittura; nessuno aveva sentito l’imputato dire di buttare a mare la vittima; la mancanza del cadavere avrebbe comportato la necessità di una motivazione più stringente, non legata solo all’antefatto, ma mettendo a confronto le incongruenze nelle deposizioni, come il fatto che la denuncia era intervenuta solo la sera del fatto;

– violazione di legge e difetto di motivazione sulla qualificazione giuridica del fatto come omicidio volontario sotto il profilo del dolo eventuale, mentre nessuna prova era stata fornita della consapevolezza dell’imputato, piuttosto che della colpa cosciente, visto che il mare non era mosso, che nelle vicinanze vi erano luci di altri pescherecci e che il gommone era vicino;

– violazione di legge in relazione alla esimente putativa della legittima difesa o dello stato di necessità, avendo sempre l’imputato dichiarato di aver avuto paura di un assalto, visto che era la prima volta che gli capitava un simile evento e quindi si trattava di un reale stato psicologico rilevante ai fini penali;

poteva configurarsi un mero eccesso colposo in legittima difesa o uno stato di necessità putativo, consistente nella necessità di salvare se e altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo non volontariamente causato;

– violazione di legge sussistendo l’esimente putativa anche in relazione al delitto di omissione di soccorso, visto che in un primo momento era stato prestato il soccorso.

La Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato in quanto la ricostruzione contenuta nei motivi di ricorso non trova riscontro nei fatti di causa descritti dalle sentenze di merito e quindi si tratta di rivalutazioni, per altro del tutto parziali, di elementi di prova acquisiti nelle forme dell’incidente probatorio, e valutati congruamente e logicamente dai giudici di merito.

Non vi è alcun dubbio che il gommone che aveva avvicinato il peschereccio del R. era pieno di gente disperata e in difficoltà che chiedeva aiuto e neppure nella più sfrenata fantasia poteva essere scambiata per gente pericolosa, addirittura armata, tanto e vero che subito dopo un altro peschereccio aveva compiuto il suo dovere, dando l’allarme e attivando i soccorsi; operazione che non avrebbe comportato alcun danno per il R. e che era stata rifiutata nonostante che i suoi marinai più volte lo avessero pregato in lacrime.

Quanto all’omicidio deve osservarsi che la vittima si era aggrappata al parapetto e che nell’immediatezza il comandante si era allontanato dal gommone, tanto che quando avvenne il fatto il gommone si trovava a 500 metri. Il marinaio tunisino aveva fatto di tutto per salvare la vittima cercando di tenerlo e poi di farlo salire a bordo, nonostante che il comandante cercasse di staccargli le mani dal parapetto. Il marinaio lo aveva lasciato, solo quando il giovane naufrago aveva appoggiato il petto e una gamba sul parapetto della barca, in una condizione di sicurezza. Aveva poi sentito R. pronunciare quella frase e subito dopo le urla e il tonfo. Altro marinaio aveva visto la vittima dibattersi tra le onde ed aveva detto di non poter dimenticare mai più il suo volto.

Le incongruenze di alcune parti di dichiarazioni sono ampiamente giustificate dalla terribile esperienza vissuta, dalla crudeltà di cui erano stati testimoni e certamente anche dalla posizione di sottomissione al capitano; da ciò dipende anche il fatto che la denuncia era intervenuta solo a sera, mentre il peschereccio stava rientrando.

Le modalità del fatto provano che la persona caduta in mare non aveva avuto alcuna possibilità di salvarsi, visto che già le sue condizioni erano precarie e che l’acqua era gelida e che nessuno poteva ragionevolmente intervenire in tempo utile per salvarlo se non lo stesso R., che invece non aveva fatto nulla per ovviare a quanto commesso.

Proprio questo elemento costituisce riscontro alla ricostruzione volontaria dell’omicidio, perchè se il naufrago fosse semplicemente scivolato giù dalla barca, chiunque avrebbe istintivamente agito per salvarlo, mentre tale reazione non poteva certo intervenire in chi aveva scientemente buttato a mare la persona.

La circostanza che sul bordo della barca non sia stato trovato alcun residuo biologico dipende certamente dalla circostanza che la parte era stata esposta per l’intera giornata al contatto con gli spruzzi di acqua di mare.

Non sussiste infine alcuna possibilità di individuare la sussistenza di esimenti neppure allo stato putativo, non sussistendo alcun pericolo in atto o alcuno stato di necessità. Basti pensare che l’equipaggio aveva pregato in lacrime il comandante di aiutare i naufraghi e di salvare l’uomo che si era aggrappato al bordo della sua barca.

Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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