Cons. Stato Sez. VI, Sent., 08-07-2011, n. 4123 Decisione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società E. D. riferisce che con atto in data 17 febbraio 1995 la Regione Puglia – Assessorato per i lavori pubblici ebbe a rilasciare l’autorizzazione per la realizzazione di una cabina primaria di trasformazione nel territorio comunale di Triggiano, su un fondo di proprietà degli odierni appellati (l’atto in questione, ai sensi della pertinente disciplina, teneva luogo della dichiarazione di indifferibilità ed urgenza dei lavori).

In data 10 ottobre 1996 la Provincia di Bari autorizzava l’occupazione di urgenza del bene e conseguentemente la società appellante procedeva all’immissione in possesso (22 novembre 1996).

In data 16 febbraio 1998 e 1° marzo 1999 venivano concesse due proroghe dell’efficacia dell’autorizzazione provvisoria, mentre la cabina di trasformazione (i cui lavori erano stati ultimati nel luglio del 1998) entrava in funzione nel settembre dello stesso anno.

Il 7 aprile 1999 la Regione Puglia rilasciava alla E. D. l’autorizzazione definitiva per la costruzione e l’esercizio dell’impianto.

A far data dal 22 novembre 2001, l’occupazione del fondo (non seguita da un formale atto di esproprio) diveniva illegittima.

Medio tempore, tuttavia, era stata adottata la delibera commissariale 12 gennaio 2001, n. 1/2001 con cui la destinazione dell’area destinata ad ospitare l’impianto era stata modificata dall’uso agricolo a quello per "attività produttive artigianali’.

A questo punto della vicenda, la società appellante chiedeva che la Provincia di Bari disponesse l’acquisizione coattiva sanante dell’area di sedime e la Provincia provvedeva in data 10 gennaio 2006, adottando il decreto di cui all’ art. 43 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e quantificando il danno arrecato ai proprietari, che veniva quantificato in euro 180mila, sulla base del valore del bene alla data di inizio dell’occupazione del fondo (22 novembre 1996).

Il richiamato decreto ex art. 43 veniva impugnato dai signori C. e R. dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (ricorso n. 634/2006).

Nelle more del giudizio era stato approvato il nuovo P.R.G. comunale (delibera di G.R. 13 aprile 2007, n. 480), il quale aveva incluso l’area in parola fra quelle edificabili (la destinazione impressa era ad "attività produttive artigianali’).

Con la sentenza n. 586/2010 (oggetto del presente gravame), il Tribunale adito accoglieva il ricorso e annullava il provvedimento.

In particolare il Tribunale:

– dichiarava l’illegittimità del richiamato decreto di acquisizione per la parte in cui aveva condannato l’amministrazione a determinare il quantum risarcitorio in relazione al valore fondiario del 1996 (data di inizio dell’occupazione del fondo) e non in relazione al valore del 2001 (data in cui l’occupazione era divenuta illegittima);

– disponeva a carico dell’ENEL Distribuzione la condanna generica al ristoro, in favore dei proprietari, del valore venale del bene da computare in base ai valori del 2001 ("spetta ai ricorrenti il diritto di essere risarciti del danno sofferto in misura pari all’integrale controvalore del terreno risultante dall’applicazione allo stesso dei prezzi di mercato alla data del 22 novembre 2001");

– demandava a un consulente la determinazione dell’effettivo valore del bene alla data del novembre 2001.

In data 12 ottobre 2009 il consulente nominato depositava la sua perizia, dalla quale risultava che il valore del bene era da quantificare in euro 373.746. L’importo in parola era stato determinato operando una stima media del bene con valori parametrati: a) alla destinazione agricola del bene, per il periodo fino all’approvazione del nuovo PRG; b) alla destinazione industriale, per il periodo successivo all’aprile del 1997. Il valore unitario al metro quadrato dell’area era stato, quindi, determinato in euro 33,98.

Il criterio di computo utilizzato dal consulente tecnico veniva contestato di ricorrenti signori C. e R. i quali chiedevano una diversa quantificazione dell’importo dovuto a titolo risarcitorio.

Con la sentenza n. 2780/09 il Tribunale adito accoglieva il ricorso, osservando che in assenza del decreto illegittimo in data 10 gennaio 2006, gli istanti non avrebbero subito il danno patrimoniale consistente nella perdita del potenziale valore di edificazione conseguente al riconosciuto carattere di edificabilità dell’area (aprile 2007).

Conseguentemente, il Tribunale disponeva che il consulente tecnico d’ufficio rideterminasse il quantum risarcitorio, utilizzando quale parametro di valutazione "(il) primo dei contratti (…) in forza del quale, dopo l’approvazione dell’atto di inclusione del suolo dei ricorrenti fra quelli riservati ad attività produttive, è stato trasferito in Triggiano (…) un terreno anch’esso destinato ad ospitare quelle stesse iniziative economiche".

A questo punto, il consulente tecnico provvedeva a rideterminare il valore dell’area, che risultava pari ad euro 61,08/mq.

Conseguentemente, con sentenza n., 586/2010, il Tribunale adito adottava una nuova pronuncia di condanna, il cui quantum (parametrato sui nuovi criteri imposti al C.T.U.) veniva fissato in euro 1.413.568,76.

La pronuncia in parola veniva gravata in sede di appello dalla soc. E. D., la quale ne chiedeva la riforma articolando il seguente motivo di doglianza:

1) Eccesso di potere per travisamento ed erroneità dei presupposti – Violazione dell’art. 43, comma 6 del d.P.R. n. 327/2001 – Illogicità – Motivazione perplessa, generica e incongrua rispetto alla fattispecie esaminata e alle risultanze istruttorie emerse nel corso del giudizio – Contraddittorietà;

Si costituivano in giudizio i signori C. e R. i quali concludevano nel senso della inammissibilità o irricevibilità del gravame e, nel merito, ne chiedevano la reiezione.

All’udienza pubblica del giorno 12 aprile 2011, presenti le parti come da verbale di udienza, il ricorso veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Con il ricorso in epigrafe la soc. E. D. chiede la riforma della sentenza del T.A.R. della Puglia con cui è stato determinato in circa 1,4 milioni di euro il risarcimento del danno da illegittima apprensione di un fondo interessato da un’ipotesi di acquisizione coattiva sanante ai sensi del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 327.

2. In primo luogo occorre esaminare l’eccezione di giudicato sollevata dagli appellati, i quali ritengono che l’appello in epigrafe sia stato tardivamente proposto.

Al riguardo essi premettono che il ricorso verte su una materia riconducibile alle previsioni di cui all’art. 23bis, l. T.A.R., con conseguente dimidiazione di tutti i termini processuali (salvo quello per la proposizione del ricorso introduttivo in primo grado).

Da tanto conseguirebbe la tardività del gravame, in quanto proposto oltre il termine di trenta giorni dal momento della notifica della sentenza appellata (detta notifica era avvenuta in data marzo 2010, mentre l’appello era stato notificato solo il successivo 12 aprile).

2.1. L’eccezione non può trovare accoglimento, dovendosi piuttosto confermare la tempestività del ricorso in appello.

Al riguardo, è innegabile che, almeno in via di principio, le disposizioni acceleratorie di cui all’art. 23bis, l. T.A.R. (in seguito: art. 119 c.p.a.) trovino applicazione in relazione all’intero novero delle controversie aventi per oggetto i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità (in tal seno il comma 2 dell’art. 53, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327).

E’ del pari innegabile che, sempre in via di principio, all’istituto della c.d. "acquisizione coattiva sanantè disciplinato dall’art. 43, d.P.R. 327, cit. debba essere riconosciuta valenza lato sensu espropriativa, atteso che il provvedimento in questione assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità che il decreto di esproprio e quindi sintetizza "uno actù lo svolgimento dell’intero procedimento ablatorio (in tal senso -ex plurimis -: Cons. Stato, IV, 26 novembre 2009, n. 7446).

Si ritiene, tuttavia, che prevalenti ragioni sistematiche inducano ad escludere l’applicazione del rito accelerato di cui all’art. 23bis, cit. quante volte (come nel caso di specie) non venga in contestazione in sede giudiziaria la legittimità in se del provvedimento di acquisizione, quanto piuttosto (e in modo esclusivo) i connessi profili risarcitori.

Del resto, che la contestazione dedotta in sede giudiziaria fosse limitata ai soli profili risarcitori della vicenda è confermato dal contenuto della sentenza n. 1058/09 (non gravata da alcuna delle parti in causa), ove è dato leggere che "i ricorrenti, nel reclamare il risarcimento dei danni, (mostrano) di non avere più interesse per il loro fondo (avendo) implicitamente rinunciato ad avvalersi della tutela reale".

Ebbene, una volta chiarito che la controversia in questione riguarda unicamente i profili risarcitori connessi alla illegittima occupazione del fondo e alla successiva adozione del decreto in data 10 gennaio 2006, si ritiene che la questione possa essere risolta facendo applicazione del consolidato orientamento secondo cui il giudizio risarcitorio non rientra tra quelli tassativamente enumerati al comma 1 dell’art. 23 bis, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, le cui disposizioni acceleratorie, nella misura in cui derogano incisivamente all’ordinario regime processuale, devono essere considerate di stretta interpretazione e non possono perciò essere applicate estensivamente al di fuori delle ipotesi specificamente individuate dal legislatore, solo per queste ultime sussistendo, secondo il suo discrezionale e non irragionevole giudizio, speciali esigenze, in ragione degli interessi pubblici coinvolti, di contenimento dei tempi dell’azione giudiziaria (Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2009, n. 2801; id., IV, 31 luglio 2008, n. 3823, ma – ancor prima -: Ad. Plen. 30 luglio 2007, n. 9.

3. Con ulteriore eccezione di giudicato, i signori C. e R. osservano che, dal momento che la società E. D. non ha impugnato la sentenza del T.A.R. n. 1058/09 (la quale ha accertato l’illegittimità e annullato il decreto di acquisizione in data 10 gennaio 2006), sarebbe venuto meno il presupposto di tutto il merito dell’appello.

Secondo gli appellati, infatti, "se, ormai vincolativamente fra le parti, l risarcimento dovuto va calcolato "tenuto presente il valore del terreno al momento della sua occupazione illecita" (22.XI.2001), con gli interessi moratori, non è più controvertibile l’ingiustizia subita dai concludenti a seguito dell’iniziativa ex art. 43 dell’ENEL Distribuzione ed alla pedissequa ed acritica approvazione, da parte dell’Ente Provincia di Bari dell’offerta a titolo di risarcimento dei danni causati dall’ENEL Distribuzione a partire dal novembre 2001"

3.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

Ed infatti, l’oggetto della contestazione proposta nella presente sede dalla società appellante non è costituito dall’ingiustizia del danno subito dai signori C. e R. (dato che può darsi per pacificamente acquisito nella complessiva economia della vicenda), riguardando – piuttosto – la correttezza delle modalità di determinazione del quantum risarcitorio (che gli stessi appellati affermano dover essere parametrato al valore del bene alla data del 22 novembre 2001, mentre la pronuncia appellata ha collegato al valore acquisito dal bene in epoca successiva).

Ai limitati fini che qui rilevano, si osserva comunque che la richiamata sentenza n. 1058/09 non aveva un carattere definitivo, essendosi limitata a disporre in via generica il ristoro del danno equivalente al valore del bene alla data di inizio dell’occupazione illegittima (22 novembre 2001), mentre aveva disposto un incombente istruttorio proprio in relazione alla quantificazione di tale valore (quantificazione in ordine alla quale è sorta la contestazione alla base del presente giudizio).

Deve, pertanto, farsi applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le decisioni meramente istruttorie del giudice amministrativo non danno luogo a giudicato e non sono immediatamente impugnabili, né la loro mancata impugnazione determina inammissibilità delle censure che si fanno valere solo avverso la sentenza definitiva (Cons. Stato, VI, 6 giugno 2000, n. 3212; id., V, 13 giugno 2006, n. 3493).

4. Per le ragioni appena esaminate, la richiamata eccezione di giudicato non può trovare accoglimento.

5. Ancora in via preliminare il Collegio ritiene di farsi carico della questione relativa al se la presente decisione possa in qualche modo essere incisa dalla pronuncia della Corte costituzionale 8 ottobre 2010, n. 293 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della previsione di cui all’art. 43 del d.P.R. 327, cit. per eccesso di delega.

Ad avviso del Collegio la risposta al quesito deve essere negativa, atteso che la traslazione della titolarità del fondo non risulta nel caso di specie riferibile all’adozione dell’atto di acquisizione coattiva di cui all’art. 43 del d.P.R. 327, cit. (ovvero alla pronuncia giudiziale di cui al comma 3 del medesimo articolo che, non a caso, è stata rifiutata dal T.A.R.), bensì alla circostanza per cui, avendo limitato le proprie pretese alla sola tutela per equivalente, gli odierni appellati avessero implicitamente rinunciato ad avvalersi della tutela reale (in tal senso, in modo espresso, la sentenza del TAR n. 1058/2009.).

Si osserva al riguardo: i) che l’atto di acquisizione coattiva è stato annullato dai primi Giudici con pronuncia non contestata in parte qua; ii) che la controversia è proseguita unicamente al fine di determinare il quantum risarcitorio e iii) che il primo Giudice ha comunque escluso la restituzione dell’area, anche a prescindere dall’efficacia dell’atto adottato ai sensi del richiamato art. 43.

Sul punto si è formato il giudicato e la questione non è ulteriormente controvertibile, con la conseguenza che l’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della richiamata disposizione non risulta idonea a sortire effetti di sorta in ordine agli esiti del presente giudizio.

6. Nel merito, il ricorso è meritevole di accoglimento nei termini che seguono.

Si è detto che, all’esito della pronuncia del T.A.R. n. 1058/09, il consulente tecnico aveva determinato il quantum risarcitorio per la perdita del bene attenendosi a un criterio determinativo (peraltro, puntualmente indicato dal Tribunale) fondato "(sui) prezzi di mercato, rapportati alla sua ubicazione ed all’utilizzazione in atto alla data di inizio dell’occupazione sine titulo".

Si è altresì detto che, in sede di concreta determinazione del richiamato valore il consulente aveva, altresì, tenuto conto in qualche misura della circostanza per cui, al momento in cui l’occupazione era divenuta illegittima, era stato già adottato (anche se non ancora approvato) un nuovo strumento di pianificazione urbanistica il quale aveva previsto per l’area in questione una destinazione edificatoria.

Di tale circostanza il consulente tecnico (pur discostandosi in parte dalle indicazioni rinvenienti dalla pronuncia n.1058/2009) aveva tenuto comunque conto, mediando in sede determinativa il prezzo di compravendita di un terreno a destinazione agricola intervenuta nel settembre del 1988 con il prezzo di compravendita di un suolo destinato ad attività produttive intervenuta nell’aprile del 2009 (ossia, in epoca successiva all’approvazione del nuovo strumento urbanistico – 2007 -, che risultava soltanto adottato all’epoca dei fatti – 2001 -).

Si è, altresì, detto che con le successive pronunce il Tribunale ha, invece, aderito a un diverso (e non condivisibile) criterio determinativo, fondato in modo esclusivo sul valore di vendita di beni dalle caratteristiche analoghe a quello per cui è causa in epoca successiva alla definitiva approvazione del nuovo strumento urbanistico il quale aveva modificato la destinazione urbanistica dell’area.

In tal modo operando, tuttavia, il Tribunale si è posto in evidente contrasto con il consolidato (e qui condiviso) orientamento giurisprudenziale secondo cui ai fini del risarcimento del danno derivante da occupazione divenuta sine titulo, il valore venale di riferimento deve essere quello proprio del bene al tempo della cessazione dell’occupazione legittima, cui vanno aggiunti la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulle somme anno per anno rivalutate (in tal senso- ex plurimis -: Cons. Stato, IV, 21 maggio 2007, n. 2582).

Al riguardo si osserva che condivisibilmente il consulente tecnico nominato con la sentenza n. 1058/2009 avesse determinato il valore venale del fondo tenendo conto per un verso della sua attuale destinazione agricola (in base alla quale lo stesso non avrebbe avuto che un valore di 78 euro/mq) e, per altro verso, del fatto che il nuovo strumento di pianificazione urbanistica (già adottato all’epoca dei fatti ma non ancora approvato) avesse impresso all’area una destinazione edificatoria.

Conseguentemente, il consulente aveva operato una media dei richiamati valori adeguatamente motivando sul fatto che il valore di mercato dell’area in parola non potesse che essere influenzato dalla richiamata scelta di pianificazione, pur se non ancora tradottasi nell’approvazione di un piano regolatore.

Sotto tale aspetto, le sentenze numm. 2780/2009 e 586/2010 sono meritevoli di riforma per avere al contrario ancorato il valore del bene in modo esclusivo al valore acquisito all’indomani dell’approvazione del nuovo Piano (il Tribunale ha, infatti, ancorato la quantificazione al primo dei contratti avente ad oggetto fondi con caratteristiche similari concluso dell’area in questione in epoca successiva all’approvazione del nuovo strumento di pianificazione).

Si ritiene, invece, che le richiamate pronunce siano meritevoli di conferma per la parte in cui hanno stabilito di tenere altresì in considerazione, ai fini della determinazione del quantum risarcitorio, del deprezzamento subito dalla parte residua del fondo per effetto a) della disaggregazione del compendio originale del suolo; b) dell’ulteriore perdita di valore della porzione residua di fondo per soppressione di esposizione in conseguenza della perdita di affaccio sulla strada in relazione a una vasta porzione di terreno.

7. Conseguentemente, la sentenza n. 586/2010 deve essere riformata e per l’effetto, in riforma della pronuncia oggetto di gravame, deve procedersi a una nuova determinazione del quantum risarcitorio dovuto ai signori C. e R..

A tal fine il Collegio, giusta la previsione di cui al comma 4 dell’art. 34 del c.p.a., dispone che la società E. D. debba proporre ai signori C. e R. una somma di denaro entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione della presente decisione, da determinarsi secondo i seguenti criteri:

– il valore di base dall’area oggetto di spossessamento alla data del 22 novembre 2001 dovrà essere determinato tenendo conto dei criteri di quantificazione già utilizzati dal consulente tecnico nominato dalla decisione del Tribunale n. 1058/2009 (il quale era pervenuto a un controvalore unitario pari a 33,98 euro/mq);

– alla somma in tal modo determinata dovrà essere aggiunto un ulteriore importo il quale tenga adeguatamente conto del deprezzamento subito dalla parte residua del fondo per effetto a) della disaggregazione del compendio originale del suolo; b) dell’ulteriore perdita di valore della porzione residua di fondo per soppressione di esposizione in conseguenza della perdita di affaccio sulla strada in relazione a una vasta porzione di terreno;

– dal momento che il credito risarcitorio rappresenta un credito di valore, sulla somma in tal modo determinata andranno computati gli interessi sulla somma via via rivalutata dal momento di inizio dell’illecita apprensione (22 novembre 2001) a quello della presente decisione. In seguito, saranno dovuti gli interessi nella misura legale dalla data della decisione sino all’effettivo soddisfo.

Il Collegio ritiene che sussistano giuste ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie per quanto di ragione e per l’effetto, in riforma della pronuncia oggetto di gravame, dispone che si proceda a una nuova quantificazione del quantum risarcitorio, secondo i criteri e le modalità di cui al punto 7. della presente decisione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Garofoli, Presidente FF

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Fabio Taormina, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *