Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 06-07-2011, n. 26387 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con ordinanza in data 10 gennaio 2010 il Tribunale di L’Aquila, in accoglimento dell’appello proposto dal difensore di K. U.U. avverso l’ordinanza del GIP del 19.12.2010, revoca la misura cautelare della custodia in carcere applicata in relazione al proc.n.240/09 R.G., ordinando l’immediata liberazione dell’indagato se non detenuto per altra causa.

Rilevava il Tribunale che, in ordine al reato di cui al capo 31) di cui all’ordinanza applicativa della misura, era intervenuta sentenza di condanna con pena interamente espiata; che in relazione al capo 32) non emergevano elementi della consapevolezza da parte dell’indagato dell’attività che avrebbe svolto in Italia la donna di cui sarebbe stata favorita l’immigrazione; che, infine, l’appartenenza all’associazione veniva desunta dalle condotte contestate nelle restanti imputazioni.

2) Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di L’Aquila.

Dopo aver riportato le imputazioni contestate all’indagato nell’ordinanza del GIP del 14.6.2010, denuncia l’apparenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Il Tribunale ha accolto l’appello con una motivazione che si compone di soli nove righi (nonostante si tratti di un procedimento di rilevanti dimensioni, in cui sono stati espletati incidenti probatori e rogatorie internazionali).

Quanto al reato di cui al capo 31), il Tribunale incorre in un grossolano errore, dal momento che il reato, per il quale l’indagato è stato già condannato, è diverso. Incomprensibile e completamente disancorata dalle acquisizioni probatorie in atti è poi l’affermazione in ordine alla ritenuta mancanza di prova quanto all’elemento soggettivo del reato di cui al capo 32).

Infine, privo di senso logico e giuridico è l’assunto del Tribunale in ordine al reato associativo.

3) Il ricorso è fondato.

3.1) Non c’è dubbio che, per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei provvedimenti "de libertate", secondo giurisprudenza consolidata, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Cass.sez.6 n.2146 del 25.5.1995). Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda nè la ricostruzione dei fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr.ex multis Cass.sez. 1, n.1769 del 23.3.1995). Sicchè, ove venga denunciato il vizio di motivazione, alla Corte di cassazione spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad adottare il provvedimento impugnato, controllando la congruenza della motivazione rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Cass.sez.4 n.22500 del 3.5.2007).

E’ altrettanto indiscutibile, però, che i Giudici di merito debbano dare esaurientemente conto del percorso argomentativo seguito, per consentire il controllo di legittimità. Tale controllo è teso ad accertare che il provvedimento impugnato abbia "…due requisiti uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Cass.pen.sez.6,16 giugno 1995 n.2146).

3.1.1) La motivazione dell’ordinanza impugnata non consente, per la sua apoditticità ed apparenza (al limite della inesistenza), alcun tipo di controllo.

E’ sufficiente rilevare che, in relazione al capo 31, non vengono neppure indicati gli estremi della precedente sentenza di condanna e, soprattutto, del reato oggetto della stessa non è dato pertanto comprendere in base a quali elementi il Tribunale abbia ritenuto l’esistenza del "ne bis in idem".

Quanto al capo 32), il Tribunale si limita ad affermare che non sono stati acquisiti indizi in ordine alla consapevolezza da parte dell’indagato, senza minimamente preoccuparsi di esaminare, per eventualmente confutarle, le circostanze indizianti poste a base della misura applicativa ed alle quali il GIP aveva rinviato in sede di ordinanza con cui veniva respinta, in data 9.12.2010, la richiesta di revoca o sostituzione della misura, sottolineando anzi che "nulla risulta mutato con riguardo al quadro indiziario già emerso a carico dell’indagato".

Analoghe considerazioni valgono anche in relazione al reato associativo.

3.2) L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di L’Aquila.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di L’Aquila.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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