Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 06-07-2011, nSentenza di non luogo a procedere . 26383

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 10 giugno 2010 il GUP del Tribunale di Vigevano dichiarava non doversi procedere nei confronti di S. A. in ordine ai reati di cui all’art. 600 ter c.p., comma 3 (capi 1 e 3) perchè il fatto non sussiste ed in ordine al reato di cui all’art. 600 quater, di cui al capo 2, come modificato all’udienza preliminare del 24.5.2010 con riferimento alla detenzione di immagini pornografiche ritraenti minori degli anni 18, perchè il fatto non costituisce reato (veniva emesso invece decreto che dispone il giudizio in relazione al capo 2 con riferimento ai video).

Dopo una premessa in ordine al contenuto della sentenza ex art. 425 c.p.p., rilevava il GUP, sulla base della distinzione evidenziata anche dai periti tra pedopornografia attiva (posta in essere da soggetti che attraverso mezzi informatici avvicinano minori) e pedopornografia passiva (posta in essere da soggetti che fruiscono di contenuti multimediali di natura pedopornografica), che sulle memorie in uso allo S. era stato rinvenuto materiale riconducibile alla seconda categoria.

Dagli approfonditi accertamenti peritali era, poi, emerso che lo S. non era un soggetto che usufruiva abitualmente di pornografia minorile e che quindi i fatti contestati potevano essere ricondotti ad episodi occasionali indotti da curiosità. In tale quadro comportamentale non era agevole stabilire se il materiale pedopornografico fosse stato procurato o detenuto consapevolmente.

Tenuto conto anche delle caratteristiche delle immagini, erano certamente condivisibili le conclusioni del collegio peritale che il materiale pedopornografico rinvenuto fosse compatibile con l’attività cd. di caching del browser di navigazione web piuttosto che il risultato di una precisa e volontaria acquisizione. Si imponeva quindi una sentenza di proscioglimento in relazione al reato di cui all’art. 600 quater c.p.. In ordine ai reati di cui all’art. 600 ter c.p., contestati ai capi 1 e 3, assumeva il GUP che, secondo il collegio peritale, non vi era alcuna certezza che, con la condotta di scaricamento dei file video, attraverso il programma "morpheus", lo S. avesse consentito a terzi la possibilità di scaricare materiale pedodopornografico. Anche sotto il profilo soggettivo, proprio per gli automatismi implicitamente indotti dalle applicazioni software utilizzate, da una eventuale intenzione di procurarsi o detenere video illeciti non poteva automaticamente farsi derivare un dolo diretto a divulgarli. Tale dolo sarebbe stato certamente sussistente se i file illeciti, una volta scaricati, fossero stati inseriti in una cartella di condivisione, ma di tanto il collegio peritale non aveva rinvenuto alcuna prova certa.

2) Propone ricorso per Cassazione il P.M. presso la Procura della Repubblica di Vigevano per violazione ed erronea applicazione dell’art. 425 c.p.p. e per manifesta illogicità della motivazione.

Dopo un riepilogo dei fatti, assume il ricorrente che la sentenza di proscioglimento, nella parte in cui ha ritenuto insussistenti i reati di divulgazione di materiale pedopornografico, abbia erroneamente applicato il criterio di giudizio di cui all’art. 425 c.p.p.. Come ribadito più volte dalla giurisprudenza di legittimità il giudice dell’udienza preliminare non deve accertare l’innocenza dell’imputato, ma limitarsi a verificare la possibilità di sostenere l’accusa in dibattimento. Il GUP ha operato una valutazione del quadro probatorio senza alcuna valutazione prognostica sui possibili sviluppi dibattimentali dello stesso in senso favorevole all’accusa.

La perizia ha confermato la presenza, sui supporti informatici in uso allo S., di filmati di evidente contenuto pedopornografico e sul punto non viene avanzato dal CUP alcun dubbio. Risulta, altresì, che tre di questi filmati, indicati nelle imputazioni, sono stati scaricati da S. attraverso il programma peer to peer Morpheus.

Tale programma crea automaticamente un file di configurazione denominato Status File Txt che contiene l’elenco dei file scaricati attraverso il programma stesso. Si è accertato, inoltre, che alla denominazione dei file corrisponde un effettivo contenuto pedopornografico. Numerosi elementi confermano che lo scaricamento è avvenuto in maniera consapevole.

Il GUP ha introdotto apoditticamente un dubbio sulla condotta di divulgazione senza spiegare il motivo per cui tale valutazione non potesse essere superata in sede dibattimentale. Eppure, secondo la Giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’uso di programmi file sharing peer to peer, come Morpheus, integra il reato di divulgazione in considerazione del fatto che le modalità operative di tale programma comportano che si metta in condivisione con terzi il contenuto dei file medesimi. I dubbi poi espressi dal GUP sulla dimensione dei frammenti di file condivisi sono in contrasto con i dati fattuali e costituiscono pertanto una sua supposizione. Anche in ordine al dolo il GUP non ha spiegato perchè il dubbio sull’elemento soggettivo non possa essere superato in sede dibattimentale. A parte il fatto che dagli elementi acquisiti emerge che lo S. conoscesse il funzionamento dei programmi peer to peer e le conseguenze che il loro uso comporta.

3) Con memoria depositata in data 23.5.2011, i difensori dello S. eccepiscono l’inammissibilità, per tardività, del ricorso del P.M., che è incorso in errore, ritenendo evidentemente che il termine per impugnare fosse, come per le sentenze dibattimentali, di giorni 45. Tale termine è, invece, di giorni 15, trattandosi di provvedimento in camera di consiglio (sez. un. n. 31312 del 26.6.2002).

Sotto il profilo del "merito" evidenziano che il reato di cui all’art. 600 ter c.p. presuppone che i file interamente scaricati siano ubicati nella cartella dei file destinati alla condivisione;

ma, come ha già sottolineato correttamente il GUP, la perizia non ha potuto accertare se la cartella utilizzata fosse o meno di condivisione. Anche in ordine all’elemento soggettivo le argomentazioni del P.M. risultano assolutamente prive di consistenza circa la volontarietà del comportamento.

4) Il ricorso del P.M. è inammissibile per tardività. 4.1) Risulta pacificamente dalle stesse annotazioni apposte sulla sentenza impugnata che essa fu emessa all’udienza del 10.6.2010, presente l’imputato, e che il GUP fissò in 30 giorni il termine per il deposito della motivazione; tale deposito avvenne poi in data 6.7.2010 e quindi nel termine indicato. Il ricorso risulta depositato presso la segreteria della Procura della Repubblica il 15.9.2010 e pervenuto nella cancelleria dell’ufficio GIP il 16.9.2010. 4.1.1) Le sezioni unite di questa Corte, risolvendo il contrasto giurisprudenziale esistente sul punto, con sentenza n. 31312 del 26.6.2002, hanno enunciato il principio che "In tema di termini di impugnazione, poichè l’art. 585 c.p.p. ne regola la decorrenza con riferimento ad ogni tipo di provvedimento giurisdizionale e non alla sola sentenza dibattimentale, anche all’impugnazione avverso sentenza di non luogo a procedere resa all’esito dell’udienza preliminare si applicano i termini in esso previsti e, in particolare, trattandosi di provvedimento emesso in seguito a procedimento in camera di consiglio, quello di quindici giorni di cui al comma 1, lett. a), che decorre dalla scadenza dei trenta giorni stabiliti dall’art. 424 c.p.p., comma 4, allorchè la motivazione sia depositata entro quest’ultimo termine".

La giurisprudenza successiva ha confermato che anche per la sentenza di non luogo a procedere resa all’esito dell’udienza preliminare trovano applicazione "i termini previsti dall’art. 585 c.p.p., che regola la decorrenza in relazione ad ogni tipo di provvedimento giurisdizionale e non solo alle sentenze dibattimentali. In particolare, poichè la sentenza di non luogo a procedere viene emessa in seguito a procedimento in camera di consiglio, il termine per l’impugnazione è quello di quindici giorni ex art. 585 c.p.p. comma 1, lett. a), che decorre dalla scadenza dei trenta giorni stabiliti dall’art. 424 c.p.p., qualora la motivazione sia depositata entro quest’ultimo termine" (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 6 n. 30967 del 28.6.28.6.2007).

Il pronunciato difforme, che si pone in consapevole contrasto con le sentenze n. 43609 del 2007 Rv. 238156 e N. 21520 del 2008 Rv. 240076, è quello della sez. 4 n. 38571 del 22.9.2010, che riguarda, però, l’ipotesi in cui il giudice abbia previsto per il deposito un termine maggiore di quello previsto dall’art. 424 c.p.p., comma 4 (in tal caso, si afferma, il termine per impugnare è quello di quarantacinque giorni stabilito dall’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. c)). La problematica posta da tale pronunciato esula dal caso di specie, essendo stata la sentenza impugnata, come si è visto, emessa nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 424 c.p.p., comma 4.

Infine, le sezioni unite con la sentenza n. 21039 del 26 maggio 2011 hanno ulteriormente ribadito che il termine per impugnare la sentenza di non luogo a procedere, emessa dal &UP e depositata nel termine di cui all’art. 424 c.p.p., è quello di giorni quindici previsto dall’art. 585 c.p.p., comma 1, per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e che questo termine decorre dalla scadenza del termine legale di trenta giorni….". 4.1.1.1) Il ricorso del P.M., depositato, come si è visto, il 16 settembre 2010, è tardivo. Essendo stata la sentenza depositata nel termine indicato e non essendo quindi necessario dare alle parti presenti alcun avviso dell’avvenuto deposito, il termine per impugnare di giorni 15, decorrente ex art. 585 c.p.p., comma 2, lett. c) dal 10.7.2010, scadeva il 25.7.2010. 4.1.1.2) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del P.M..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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