Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 06-07-2011, n. 26369 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di S.S. in ordine ai reati di violenza sessuale di gruppo aggravata e continuata in danno di C.C., minore degli anni dodici (capo a): art. 61 c.p., nn. 5 e 11, 81 cpv., art. 609 octies c.p., commi 1 e 3, in relazione all’art. 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1), art. 609 septies c.p., comma 4, nn. 1) e 2)); di violenza privata aggravata (capo b): art. 61 c.p., n. 2 e art. 610 c.p.) in danno della stessa C., così essendo stata diversamente qualificata dal giudice di primo grado l’originaria imputazione di minaccia; di violenza sessuale continuata ed aggravata in danno B.A., minore degli anni dodici (capo c): art. 61 c.p., nn. 5) e 11), art. 81 cpv. c.p., art. 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1), art. 609 septies c.p., comma 4, n. 1)).

In sintesi, la Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva contestato l’attendibilità delle persone offese, nonchè le valutazioni del consulente tecnico del P.M. sul punto, non condivise dal consulente della difesa;

contestato, infine, la configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo ascritto all’imputato in concorso con i genitori della C.C., in quanto questi ultimi avrebbero tenuto una condotta meramente omissiva, non avendo partecipato ad alcun atto sessuale.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

Motivi della decisione

Con sei mezzi di annullamento il ricorrente denuncia:

1) Violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 546 c.p.p., lett. e).

Si deduce che l’appellante aveva chiesto, in via preliminare, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ai fini dell’espletamento di una perizia che consentisse di valutare l’idoneità a testimoniare delle parti lese; attitudine posta in dubbio, con esauriente indicazione delle ragioni, dal consulente della difesa, nonchè la credibilità delle predette persone offese. La sentenza non ha fornito alcuna risposta sul punto.

2) Violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 546 c.p.p., lett. e).

Si denuncia carenza ed illogicità della motivazione della sentenza nella parte in cui ha ritenuto meno attendibili i rilievi del consulente della difesa per non avere eseguito un esame diretto delle parti offese. Si osserva che il lavoro del consulente psicologo può essere svolto con risultati attendibili anche mediante l’esame completo dei colloqui registrati e dei test cui sono state sottoposte le minori.

3) Violazione degli artt. 110, 609 bis e 609 octies c.p..

Si contesta la configurabilità della fattispecie della violenza sessuale di gruppo nell’ipotesi in cui i compartecipi non prendano parte attiva alla violenza.

4) Vizi di motivazione.

Si denuncia contraddittorietà della sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che le dichiarazioni della C. hanno trovato riscontro nelle testimonianze delle sue amiche, poichè queste ultime hanno solo riferito genetiche indicazioni avute dalla stessa C.. Si denuncia inoltre la omessa valutazione del fatto che la B.A. decise di dichiarare di essere stata molestata dall’imputato solo dopo aver letto sul giornale le accuse, descritte con precisione, mosse dalla C..

5) Violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 546 c.p.p., lett. e).

Si denuncia carenza di motivazione sul punto della ritenuta sussistenza del delitto di violenza privata in danno della C..

6) Violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 546 c.p.p., lett. e).

Si denuncia come illogica la valutazione dell’attendibilità della minore B.A., considerata la scarsa credibilità che le molestie sessuali siano avvenute in una casa di piccole dimensioni nella quale erano presenti i genitori della minore ed altri tre fratelli, senza che questi ultimi si accorgessero di nulla.

Il ricorso non è fondato.

Osserva la Corte, in relazione ai primi due motivi di gravame, che la sentenza impugnata è adeguatamente motivata sul punto della piena affidabilità delle vantazioni della consulente del P.M. relativamente alla attitudine a testimoniare delle minori, persone offese, essendo stato evidenziato il carattere esaustivo delle indagini, appropriate e metodologicamente corrette, eseguite dalla consulente (colloqui ripetuti, somministrazione di test proiettivi;

riguardo alla B. anche esame della documentazione medica della divisione di Neuropsichiatria infantile del P.O. "Aiuto Materno").

Nella sentenza inoltre si osserva che la maggiore affidabilità delle conclusioni del consulente del P.M. non è fondata solo sul rilievo che il consulente della difesa non avrebbe esaminato direttamente te minori.

Sul punto è stato anche osservato che le dichiarazioni delle minori, ai fini della valutazione della loro credibilità, manifestano un elevato grado di spontaneità, coerenza e costanza, assenza di rancore verso l’imputato, l’esistenza di riscontri costituiti dalle deposizioni dei testi che avevano ricevuto le confidenze delle minori prima della denuncia dei fatti.

Sul punto della superfluità del mezzo istruttorio richiesto dall’appellante la sentenza, pertanto, è, sia pur implicitamente, motivata, potendo essere disposta la rinnovazione dell’istruzione in appello, ai sensi dell’art. 603 c.p.p., solo quando il giudice non sia in grado di decidere allo stato degli atti;

impossibilità di decidere della cui esclusione la sentenza da ampiamente conto, così come della piena affidabilità delle indagini tecniche già espletate.

Anche il terzo motivo di gravame è infondato.

E’ noto che la violenza sessuale di gruppo di cui all’art. 609 octies c.p. si qualifica quale fattispecie criminosa autonoma, caratterizzata dal concorso necessario di più persone alla commissione del reato, in numero di almeno due, nella quale il più grave trattamento sanzionatorio, è conseguenza del maggior disvalore attribuito ad una più odiosa violazione della libertà sessuale della vittima da parte o alla presenza contemporanea di più persone che concorrono nel sopraffarla.

E’ stato, poi, già precisato da questa Suprema Corte, a proposito di tale fattispecie criminosa, che il reato è configurabile anche quando non tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che la presenza del compartecipe abbia fornito un contributo causale alla commissione del reato, dovendosi tenere conto della forza intimidatoria che la presenza del gruppo o in genere di più persone esercita sulla vittima dell’abuso sessuale, (sez. 3, 23.3.2005 n. 17843, P.G. in proc. La Fata ed altri, RV 231524; sez. 3, 13.11.2003 n. 3348 del 2004, Pacca e altro, RV 227495; sez. 3, 11.3.2010 n. 11560, RV 246448 anche nel senso del rafforzamento della volontà criminosa dell’autore dei comportamenti tipici di cui all’art. 609 bis c.p.).

Deriva da tali osservazioni che il concorso di persone nel reato di violenza sessuale ai sensi dell’art. 609 bis c.p. può configurarsi solo nella forma del concorso morale con l’autore materiale della condotta criminosa senza che il concorrente sia presente sul luogo del delitto, dovendosi altrimenti configurare la fattispecie prevista dall’art. 609 octies c.p..

Riconducendo i citati principi di diritto alla fattispecie di cui al capo A) dell’imputazione si può affermare che deve essere configurato il concorso del genitore nel reato di violenza sessuale commesso dal terzo in danno del figlio o della figlia, ai sensi dell’art. 609 bis c.p., allorchè il genitore, pur essendo consapevole dell’abuso e non essendo presente sul luogo del fatto, abbia tenuto una condotta meramente passiva, diventando corresponsabile del reato ai sensi dell’art. 40 c.p., comma 2, per aver violato l’obbligo, derivante dai doveri inerenti alla potestà genitoriale, di impedire il fatto.

Allorchè il genitore, invece, presente sul luogo del fatto, abbia agevolato concretamente l’abuso sessuale da parte del correo, rafforzando l’intento criminoso dell’autore del reato e, soprattutto, indebolendo, con la sua connivente presenza, le capacità di resistenza del figlio o della figlia deve essere configurata la violenza sessuale di gruppo, anche se il genitore non partecipi alla commissione di atti sessuali.

Orbene, le sentenze di merito hanno correttamente applicato gli enunciati principi di diritto, avendo affermato la sussistenza della fattispecie criminosa di cui all’art. 609 octies c.p. sulla base di rilievi di fatto del tutto coerenti con quanto in precedenza osservato.

Invero, è stato in particolare evidenziato in punto di fatto dalla sentenza di primo grado che la presenza consenziente nel luogo ed al momento dei fatti dei genitori della minore, che unitamente all’imputato con la macchina di questi la conducevano in un luogo appartato, ha "ottenuto il duplice effetto di aggravare la sensazione di prostrazione psicologica di C. ed, al contempo, di ridurre le sue possibilità di sottrarsi agli abusi sessuali patiti".

Gli ulteriori motivi di gravame sono inammissibili, risolvendosi in censure in punto fatto avverso la valutazione delle risultanze probatorie da parte dei giudici di merito e, comunque, manifestamente infondati.

Invero, le deduzioni del ricorrente di cui al quarto motivo di ricorso sono in contrasto con la valutazione delle risultanze probatorie da parte dei giudici di merito e lo stesso contenuto di tali risultanze riportato in sentenza, sicchè sì tratta di censure palesemente inammissibili.

Sul punto della violenza privata, di cui al quinto motivo di gravame, la sentenza ha osservato che le dichiarazioni della persona offesa non sono affatto generiche in ordine alla costrizione subita, oltre ad essere del tutto credibili, sicchè non vi è affatto carenza di motivazione sul punto.

E’, infine, inammissibile l’ultimo motivo di ricorso, che si esaurisce in una generica contestazione di fatto della diversa valutazione dei giudici di merito sul punto indicato.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *