Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-06-2011) 06-07-2011, n. 26339

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 12 luglio 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame avanzata da C.A. e, per l’effetto, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti il 9 giugno 2010 dal giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale in ordine al delitto di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso (capo o dell’imputazione provvisoria).

Al ricorrente si contesta di avere fatto parte dell’associazione di stampo mafioso denominata cosca Bruzzise, radicata nel territorio di (OMISSIS), caratterizzata da una forte connotazione familiare e capeggiata da B.G. – figlio di Gi., detto (OMISSIS), detenuto – e dal fratello A..

L’organizzazione era dedita alle attività estorsive connesse ai lavori di ammodernamento della "A3" nell’ambito di un più ampio programma criminoso cui avevano aderito le principali famigli mafiose della zona che avevano deliberato e concordato il pagamento, da parte delle ditte aggiudicatarie dei lavori, di una c.d. "tassa ambientale", ossia di una tangente pari al tre per cento dell’importo fissato nel capitolato d’appalto, da corrispondere in base alla suddivisione dei singoli tratti autostradali tra i diversi gruppi.

C.A., coniugato con G.M., era subentrato nella gestione del clan a seguito dell’uccisione del suocero, G.D., avvenuta il (OMISSIS) e aveva assunto la rappresentanza esterna della cosca Bruzzise nei rapporti con le consorterie di Rosarno, aventi ad oggetto la riscossione delle estorsioni connesse ai lavori di ammodernamento della "A3" nella zona di competenza ((OMISSIS)). La cosca Bruzzise stava attraversando un momento di grave difficoltà a causa dello stato di detenzione del capo ( B.G.), dell’eliminazione di alcuni suoi autorevoli esponenti, quali, oltre al citato G., C. V., cognato di B.G., S.A., cognato di B.C., G.D., cognato di C.R., a sua volta fratello della moglie di B. G. e del conseguente allontanamento dalla Calabria di B.A. e degli altri componenti della famiglia per timore di ulteriori, gravi ritorsioni.

Ad avviso del Tribunale gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell’indagato in ordine al delitto a lui contestato erano costituiti dal contenuto delle conversazioni telefoniche, suffragate dai servizi di osservazione e pedinamento, dalla documentazione acquisita, dall’arresto di C.A. e di sua moglie G. M., trovati in possesso di una pistola clandestina cal. 9 corto, marca Beretta, e di quindici cartucce del medesimo calibro, arresto comprovante l’inequivoco riferimento nei colloqui alla necessità di vigilare e di girare armati per evitare agguati da appartenenti a gruppi rivali.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’indagato il quale lamenta violazione dei canoni di valutazione probatoria e carenza della motivazione in ordine alla sussistenza del quadro di gravità indiziaria in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p., tenuto conto del linguaggio criptico usato nelle conversazioni, dell’assenza di elementi obiettivi su cui fondare l’identificazione di C., della mancata acquisizione di dati dimostrativi dell’avvenuta alleanza di C. con B.G., il quale, nei colloqui, si limitava a formulare un unilaterale auspicio in tal senso, nonchè dell’acredine manifestata nei confronti di G.D. da parte di alcuni membri della famiglia Bruzzise, venuti a conoscenza del suo omicidio, così come documentato nella produzione difensiva avvenuta nel corso dell’udienza camerale.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

Il Tribunale ha attentamente analizzato, con motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici, le risultanze probatorie disponibili e ha desunto la gravità degli indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. dal contenuto delle conversazioni telefoniche, suffragate dai servizi di osservazione e pedinamento, dalla documentazione acquisita, dall’arresto di C.A. e di sua moglie G.M. nella flagrante detenzione di una pistola clandestina cal. 9 corto, marca Beretta, e di quindici cartucce del medesimo calibro.

Il Tribunale, con motivazione compiuta e logica, ha evidenziato l’operatività di un articolato sodalizio di stampo mafioso, dedito, tra l’altro, alla commissione di estorsioni, caratterizzato da un forte radicamento sul territorio calabrese, da un’organizzazione gerarchica, all’interno della quale il ricorrente forniva un pieno e consapevole contributo causale grazie alla sua posizione di rilievo e ai suoi rapporti di affinità con il capo indiscusso dell’organizzazione, da tempo adusa ad avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà, per la commissione di una serie di delitti, tra cui quelli di estorsione, al fine di realizzare il controllo capillare del territorio e di realizzare ingenti profitti illeciti, funzionali alla piena operatività dell’organizzazione e al suo rafforzamento.

Ha, inoltre, messo in luce, con puntuali riferimenti alle emergenze processuali sin qui acquisite, il consapevole contributo morale e materiale fornito dal ricorrente alla vita associativa in vista del pieno radicamento territoriale dell’organizzazione e della sua espansione economica.

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di C. in ordine al delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso contestatogli.

Di talchè, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

Nè d’altra parte, possono trovare ingresso in questa sede le sollecitazioni difensive, volte ad una non consentita ricostruzione alternativa dei fatti e ad una diversa lettura, in senso più favorevole alle tesi del ricorrente, delle emergenze processuali, in ordine alle quali i giudici di merito hanno offerto una motivazione sorretta da un solido e corretto iter argomentativo.

In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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