Cons. Stato Sez. VI, Sent., 08-07-2011, n. 4100 Concorso interno Rapporto di pubblico impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La questione all’origine dei fatti di causa viene descritta nella sentenza in epigrafe nei termini che seguono: "l’INPS, con atto pubblicato nella G.U. n. 13 del 15 febbraio 2002, ha bandito un concorso pubblico per esami, per la copertura di 15 posti di Dirigente nel ruolo del personale facente parte dell’area amministrativa.

I requisiti per la partecipazione al concorso sono quelli fissati dall’art. 28 D. Lgs. n. 165/2001, che prevede, tra l’altro, per l’accesso alla qualifica di dirigente nell’ambito delle PP.AA., l’essere "dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio, svolti in posizioni funzionali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea".

I ricorrenti, dipendenti della P.A. e muniti di diploma di laurea quale titolo di studio previsto per l’accesso alla posizione funzionale ricoperta, non avevano, alla data del bando, maturato il periodo di cinque anni previsto dalla legge; pertanto non hanno potuto presentare domanda di partecipazione al concorso, ad eccezione dei dott.ri Iera, Imparato e Seneca, che l’hanno comunque presentata.

Con successivo provvedimento del 22 ottobre 2002, l’INPS ha modificato il bando e riaperto i termini per la presentazione delle domande di ammissione.

I ricorrenti, avendo nel frattempo maturato il periodo di cinque anni indicato quale termine minimo per essere ammessi al concorso, hanno presentato regolare domanda nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione del nuovo bando sulla G.U.; solo i predetti Iera, Imparato e Seneca, non hanno ritenuto di dover presentare nuova domanda, posto che non era stata comunicato alcun provvedimento di esclusione sulla prima.

Con le note a firma del Direttore Centrale Sviluppo e Gestione Risorse Umane, è stata comunicata l’esclusione dal concorso dei singoli partecipanti in quanto: per i ricorrenti Iera, Imparato e Seneca "pur dichiarando di essere dipendenti di una pubblica amministrazione, non risulta aver compiuto almeno cinque anni di servizio in posizioni funzionali per l’accesso alle quali è richiesto il diploma di laurea, come prescritto dall’art. 2 comma 1 del bando di concorso"; per tutti gli altri "non risulta aver maturato esperienze lavorative presso enti ed organismi internazionale con servizio continuativo, per almeno quattro anni, in posizioni apicali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea come prescritto dall’art. 3 comma 5 della L. 145/2002""

Le note in questione venivano, quindi, impugnate dal dott. T. e dagli altri candidati interessati nel’ambito del ricorso n. 2459/2003.

Con ordinanza n. 1417/03 il Tribunale adito disponeva l’ammissione con riserva al concorso dell’odierno appellante e sosteneva le prove concorsuali, collocandosi al 21° posto della graduatoria finale (i posti inizialmente a concorso erano 15).

Con atto in data 21 luglio 2004 il Commissario straordinario dell’INPS approvava la graduatoria definitiva della selezione.

La parte narrativa delle sentenza in epigrafe prosegue affermando che "con ricorso per motivi aggiunti, il Dott. Trittera, partecipante al concorso in virtù di ordinanza n. 1417/2003 del TAR Lazio, ed unico ad avere superato le prove tra gli odierni ricorrenti, impugnava la nota a firma del Direttore Centrale Sviluppo e Gestione Risorse Umane, Area Acquisizione Risorse, consegnata a mani al ricorrente il 16 dicembre 2004, con cui si comunica che "la sua ammissione alle prove concorsuali con riserva, a seguito della concessione del provvedimento cautelare in data 24 marzo 2003 dal TAR del Lazio con ordinanza 1417/03, non consente di procedere alla nomina in ruolo, considerato che il ricorso non si è ancora concluso. Pertanto, con determinazione n. 407 del 14 dicembre 2004 del Direttore Centrale Sviluppo e Gestione Risorse Umane, è stata sospesa nei Suoi confronti la nomina in ruolo fino al perfezionamento del procedimento giurisdizionale in itinere", nonché la determinazione n. 407 del 14 dicembre 2004 del Direttore Centrale Sviluppo e Gestione Risorse Umane, con cui è stata sospesa nei confronti del dott. Trittera la nomina in ruolo, fino al perfezionamento del presente procedimento giurisdizionale".

Con ordinanza n. 143/2005 il Tribunale accoglieva i motivi aggiunti e per l’effetto ordinava all’amministrazione di rendere indisponibile uno dei posti messi a concorso, al fine di attribuirlo all’odierno appellante per l’ipotesi della fondatezza del ricorso.

Con la pronuncia oggetto del presente gravame il Tribunale adìto dichiarava il ricorso in parola in parte inammissibile e in parte infondato.

La pronuncia in questione veniva gravata in sede di appello dal sig. T., il quale ne chiedeva l’integrale riforma articolando un unico motivo di doglianza:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21, l. 1034/1971, nonché dell’art. 2 del dPR. N. 487/1994, dell’art. 28 del d.lgs. 165/2001, dell’art. 4, comma 2bis della l. 168 del 2005 e del bando di concorso – Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97, Cost.; degli artt. 1, 4 e 6 della l. 241/1990; dell’art. 1337 cod. civ. e del connesso principio comunitario del legittimo affidamento, nonché dei principi generali di massima partecipazione alle procedure concorsuali, di economicità, imparzialità, buon andamento e ragionevolezza dell’azione amministrativa; ingiustizia manifesta e violazione del principio generale di cui all’art. 4, comma 2bis della legge n. 168/2005.

Gli argomenti profusi in sede di appello possono essere così sintetizzati:

– la sentenza è erronea laddove afferma l’inammissibilità del primo ricorso per non essere stato impugnato il bando di concorso, il quale contemplava prescrizioni di carattere escludente a carico del dott. T.. A ben vedere, infatti, la pretesa dell’odierno appellante non era volta a censurare le prescrizioni del bando, bensì la mancata estensione in proprio favore della riapertura dei termini disposta in favore dei candidati interessati dalla novella legislativa del 2002;

– la sentenza è erronea per non avere connesso le necessarie conseguenze all’approvazione senza riserva alcuna della graduatoria finale (in cui l’appellante era utilmente collocato);

– la sentenza è erronea per non aver considerato che il provvedimento con cui l’Istituto aveva respinto l’istanza volta alla riapertura dei termini in proprio favore (e alla favorevole valutazione dei titoli di ammissione medio tempore maturati) era contraria al principio del favor participationis;

– la sentenza è erronea per avere ritenuto che il possesso dei cinque anni di servizio si configurasse come requisito per l’accesso alla procedura concorsuale e non come condizione per l’ammissione allo svolgimento delle relative prove, in tal modo violando in sede applicativa il principio del favor participationis. Oltretutto, laddove si fosse ammessa la partecipazione ab initio dell’appellante, non si sarebbe in alcun modo violata la par condicio e si sarebbe, al contrario, salvaguardata la piena esplicazione dei principi di efficienza, buon andamento, ragionevolezza e tutela del legittimo affidamento;

– la sentenza è erronea per non aver considerato la rilevanza, ai fini del decidere, della previsione di cui al comma 2bis dell’art. 4, del decretolegge 30 giugno 2005, n. 115 (come introdotto dalla relativa legge di conversione), a tenore del quale "conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela".

Si costituiva in giudizio l’INPS il quale concludeva nel senso della reiezione del gravame.

All’udienza pubblica del 12 aprile 2010, presenti gli avvocati come da verbale di udienza, il ricorso veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal candidato a un concorso a quindici dirigenti presso l’INPS avverso la sentenza del TAR del Lazio con cui è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento con cui l’Istituto ha rifiutato di disporre la riapertura dei termini e di ammetterlo al concorso in questione, nonostante che egli avesse medio tempore maturato i requisiti di partecipazione.

2. I motivi di appello richiamati in premessa, che possono essere esaminati in modo congiunto, non possono trovare accoglimento.

2.1. Al riguardo il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esame puntuale del motivo di gravame proposto avverso il capo della sentenza con cui il ricorso introduttivo è stato dichiarato inammissibile per mancata impugnazione della lex specialis di gara, la quale presentava una configurazione di carattere escludente nei confronti dell’odierno appellante.

Ciò, in quanto il primo ricorso era comunque infondato nel merito e in quanto l’amministrazione aveva correttamente negato la possibilità per il sig. T. di essere ammesso alla procedura selettiva per cui è causa.

2.2. Il motivo di appello con cui il sig. T. lamenta che i primi Giudici abbiano omesso di valutare, ai fini del decidere, la circostanza della sua inclusione nella graduatoria conclusiva della procedura (approvata con determina n. 1864/2004) è infondato in punto di fatto.

Ed infatti, dall’esame della richiamata determina emerge che l’amministrazione appellata avesse espressamente incluso in graduatoria il sig. T. con riserva dell’esito del giudizio, peraltro ottemperando puntualmente al jussum impartito dal T.A.R., il quale aveva prescritto "di tenere indisponibile uno dei posti di cui al concorso" per l’ipotesi di favorevole conclusione del giudizio.

Conseguentemente, la questione deve essere risolta facendo applicazione del consolidato principio secondo cui la spontanea esecuzione di una pronunzia giudiziale, favorevole al dipendente, da parte della Pubblica amministrazione datrice di lavoro, anche quando la riserva d’impugnazione non venga dalla medesima a quest’ultimo resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione, trattandosi di mero adempimento di un ordine giudiziale e quindi di un comportamento posto in essere in esecuzione della pronuncia di carattere esecutivo (Cons. Stato, V, 26 febbraio 2010, n. 1148; id., V, 29 dicembre 2009, n. 8997).

2.3. Nel merito, come si diceva, il ricorso è infondato in quanto:

– il sig. T. risultava pacificamente carente, alla data di scadenza indicata dal bando di concorso, del necessario requisito di partecipazione di cui al comma 2 dell’art. 28 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (ossia, l’aver prestato cinque anni di servizio in posizioni funzionali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea). Il requisito in questione era stato maturato dal sig. T. solo nel luglio del 2002, mentre la data ultima prevista per la presentazione delle domande (data entro la quale era necessario possedere tutti i requisiti di partecipazione) era scaduta il 18 marzo 2002.;

– secondo un consolidato (e qui condiviso) orientamento, nelle procedure concorsuali, ogni elemento e requisito utile alla valutazione va posseduto alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione e va introdotto nei termini a loro volta previsti dal bando. Ciò esclude la rilevanza di circostanze e di ogni altro requisito successivamente acquisito, che in alcun modo può rilevare ai fini del giudizio valutativo della Commissione (Cons. Stato, IV, 29 dicembre 2009, n. 8924; id., V, 4 marzo 2008, n. 861; id., VI, 28 marzo 2007, n. 1427).

la scelta dell’amministrazione di riaprire i termini per la presentazione delle domande (al fine di consentire a taluni soggetti interessati di partecipare alla selezione sulla base di titoli di partecipazione previsti da una disposizione entrata in vigore dopo la scadenza del termine per l’invio delle domande), pur presentandosi come di dubbia legittimità, non assume rilievo alcuno ai fini del decidere. Ed infatti: a) la disposizione in questione (art. 3, l. 15 luglio 2002, n. 145) non interessava in alcun modo il sig. T., introducendo requisiti di partecipazione comunque non posseduti dall’odierno appellante; b) egli non poteva comunque reclamare l’estensione della riapertura dei termini in proprio favore, dal momento che il requisito di partecipazione vantato dell’odierno appellante era rimasto invariato nel corso dell’intera procedura e non aveva subito alcuna modifica ad opera della novella legislativa del 2002; c) stante la dubbia legittimità della scelta operata dall’amministrazione in favore dei candidati ritrovatisi d’un tratto in possesso dei requisiti fissati dalla legge sopravvenuta, il sig. T. non potrebbe invocare alcuna disparità di trattamento atteso che colui che sia stato legittimamente escluso da un determinato beneficio non possa invocare l’eventuale illegittimità commessa a favore di altri al fine di ottenere che essa venga compiuta anche in proprio favore (Cons. Stato, V, 3 dicembre 2010, n. 8411; id., VI, 22 dicembre 2010, n. 8117).

2.4. Neppure può trovare accoglimento il motivo di appello basato sulla dicotomia fra: i) requisiti per l’accesso alla procedura concorsuale (che dovrebbero essere posseduti entro il termine di presentazione delle domande) e ii) condizioni per l’ammissione allo svolgimento delle prove stesse (che dovrebbero essere posseduti prima dello svolgimento delle stesse. Ed infatti è pacifico che il requisito di cui al comma 2 dell’art. 28, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, dovesse essere posseduto dai candidati entro la data ultima per la presentazione delle domande e che, a quella data, il richiamato requisito non fosse posseduto dal sig. T..

Né può ritenersi che le deduzioni sin qui svolte (confermative dell’operato dell’amministrazione) siano in contrasto con il principio del favor participationis, rappresentando tale operato null’altro, se non la puntuale applicazione di precise disposizioni di legge, le quali non ammettono opzioni interpretative quale quella auspicata dall’odierno appellante.

2.5. Da ultimo, il Collegio osserva che non possano trovare applicazione, in relazione alla posizione dell’appellante in questione, le disposizioni di cui all’art. 4, comma 2bis del citato d.l. 115 del 2005.

Al riguardo si osserva che la questione debba essere esaminata facendo coerente applicazione del principio secondo cui le leggi eccezionali, ovvero quelle che recano deroga ad altre disposizioni di legge, non possano trovare applicazione oltre i casi e i tempi ivi espressamente contemplati (art. 14 disp. prel. cod. civ.).

Riconducendo il principio in questione alle vicende del presente giudizio, il Collegio osserva che non può essere condivisa la tesi che postula l’estensione del citato art. 4, co. 2bis, oltre i casi e le ipotesi ivi espressamente menzionate per ragione di materia.

Ed infatti, dall’esame del complessivo intervento normativo del 2005 (e della particolare declinazione offertane nell’ambito del relativo articolo 4) emerge che esso fosse limitato in parte qua alle sole ipotesi di "abilitazione professionalè e di acquisizione di specifici "titolì riferibili alle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, previo superamento di specifiche prove abilitative ( art. 2229 cod. civ.).

La riferibilità delle disposizioni di cui al richiamato art. 4 alle sole ipotesi richiamate al precedente capoverso risulta – oltretutto – confermata dalla rubrica dell’articolo in questione, il quale risulta espressamente dedicato alla disciplina delle "elezioni degli organi professionali", nonché in "materia di abilitazione e di titolo professionale".

Pertanto, alla luce del carattere di jus singulare delle disposizioni da ultimo richiamate, consegue la non condivisibilità dell’argomento con cui si propone di estendere le norme ivi desumibili anche alla diversa ipotesi delle procedure finalizzate all’acquisizione dello status dirigenziale nell’ambito di amministrazioni pubbliche.

3. Per le ragioni sin qui esaminate, il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.000 (duemila), oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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