Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-05-2011) 06-07-2011, n. 26320 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, pronunziata in data 15 giugno 2010 (depositata il 20 luglio 2010), la Quinta Sezione di questa Corte rigettava il ricorso proposto da V.F. avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari che in data 14 luglio 2009 lo aveva condannato alla pena di 13 anni e otto mesi di reclusione per associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e detenzione illecita di stupefacenti.

Il giudizio di legittimità aveva ad oggetto i ricorsi del V. e di altri sette imputati con lui condannati. A ragione della decisione e per quanto interessa in questa sede la sentenza 15.6.2010 rilevava:

"Il GUP di Bari ha condannato, a seguito di processo con rito abbreviato, gli attuali ricorrenti su scorta di intercettazioni, conseguenti controlli, investigazioni e sequestri della Guardia di Finanza e parziali ammissioni degl’imputati, Il processo si incentra sul sequestro di kg. 632 di hashish, importato dalla Spagna con un autocarro, fornito da F. F. insieme a pesce congelato per simulare il trasporto e guidato da P.F., capo C, cui è speculare il capo A (reato associativo). Altri reati riguardano minori episodi (…).

L’autocarro, dei cui spostamenti la P.G. prendeva conto attraverso le intercettazioni, era fermato e sequestrato a (OMISSIS).

Ma C.R., operante nel luogo di destino, e V. F. (che secondo l’accusa era stato in Italia pochi giorni prima dell’inizio delle operazioni), in quello di invio, avevano organizzato l’importazione, finanziati da S.P. e M.F., non avevano conto tempestivo del perchè del mancato arrivo del mezzo e perciò della droga (v. le intercettazioni consecutive in proposito). Altri, secondo l’accusa, avevano offerto alle condotte di ciascuno contributo in diversa misura specificato (v. S.A. al fratello P., Furleo Semeraro, nonchè Tribuzio "nel mantenere i contatti" con F. F., per concordare e definire i dettagli sul trasporto).

La sentenza d’appello, a fronte delle censure volte dai difensori alla sentenza di 1^ grado per la sua estrema concisione, risulta dettagliata (altro è se abbia dato o non risposte corrette agli appellanti). E, al di là dell’assoluzione di T. dal solo reato associativo, per quanto interessa gli attuali ricorrenti ha in gran parte dei casi operato riduzioni di pena, contraendo l’aumento operato per la continuazione".

Passava quindi all’esame delle singole posizioni, osservando, quanto alla fattispecie associativa e in relazione alla posizione del primo ricorrente ( C.), con argomenti poi richiamati per il secondo, V.:

"La premessa è nell’operato di V. (la Spagna è un passaggio pressochè obbligato dell’hashish da vendere in Europa) presso le fonti estere degli stupefacenti ed il preposto alla spedizione, F., che offre veicolo, guidatore e merce lecita per l’occultamento di quella illecita in una con quello di C..

Costui coinvolge quali finanziatori i potenziali concorrenti, M. e S., il quale gli fa capo anche per rimedi tempestivi, perchè l’operazione giunga in porto e consenta il prosieguo d’attività delittuosa per il ricavo di surplus dallo spaccio, senza intralci.

I Giudici di merito hanno perciò dimostrato che l’impegno per l’importazione di cui al capo C ha non solo premesse operative rilevanti, ma prevede come risultato ultimo l’invasione del mercato di una parte della provincia di Bari, in cui ogni destinatario di frazione della partita ha i propri clienti (si veda il paradosso del ricorso F. che, per contestare l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, sottolinea che il mercato interessato non è tutta la Puglia). Il fatto sub C significa già per sè la prospettiva di ripetizione in accordo per le consecutive attività delittuose dei singoli. E l’associazione trova conferma nelle telefonate successive (v. ricorso S.P.).

Ma, si ripete, l’analisi incentrata sul fatto sub C già dimostra che un accordo programmatico, perchè implica una prospettiva vincolante anche per il futuro, su modelli evidenti dei programmi di commercio di materie lecite (v. le cooperative o il franchising, sino a sfociare nel consorzio monopolistico, il trust)". Con specifico riferimento alla posizione del V. affermava: " V.F. per A (ipotesi aggravata) ed E (recte, C), ha avuto generiche equivalenti ed in appello riduzione d’aumento per continuazione, con pena di a. 13, m.8..

Il ricorso (Avv. M. Russo Frattasi) deduce: 1 – vizio di motivazione e mancata assunzione di prove decisive, perchè la documentazione prodotta offriva elementi secondo i quali, al momento dei fatti e sino al 30.11.05, V. era detenuto in Spagna, in istituto che sarebbe stato possibile accertare (Siviglia), mentre la sentenza si è rifatta alla G.F., che lo dice in Italia dal 16.5 al 23.5.05, senza comunque far conto che, solo dopo la liberazione alla data suindicata, avrebbe avuto l’obbligo di rientrare la sera in carcere;

2 – idem, in relazione al reato associativo, perchè le intercettazioni (di telefonate da cui si è desunto abbia fatto pervenire l’hashish dalla Spagna), che coinvolgono M. e C., concernono il ricorrente solo dal 16.5 e riguardano il fatto sub C del 30 successivo e, quand’anche superino il primo motivo, non dimostrano l’attribuzione, in assenza di riferimenti di qualsiasi altro elemento, del reato associativo; 3 – idem, circa la qualità di promotore, correlata ad una singola partita; 4 – idem, con riferimento alla mera equivalenza delle generiche per la detenzione in Spagna, di cui non si dice la ragione.

Il ricorso è infondato, per alcuni aspetti in maniera manifesta.

Poggia sulla tesi che il Giudice, nel corso dell’abbreviato, avrebbe dovuto integrare la prova documentale prodotta dalla Difesa, proveniente dalla Spagna ed incompiuta. Ma non contesta che il ricorrente sia la persona cui si attribuisce di conversare con C. già dall’Italia, nel corso di telefonate nel territorio, data la cellula telefonica, men che il tenore delle conversazioni in tal senso, nè spiega altrimenti il perchè del suo nome nella lista del viaggio aereo di ritorno. Non contesta neanche che, sia o non venuto in Italia, risulta di seguito alla sua presenza in patria, la persona chiave dell’operazione in Spagna.

Ciò posto risulta insuperato che, nel motivare la sentenza, il Giudice dice quali sono le ragioni che fondano la sua decisione e perchè le prove di segno contrario sono inattendibili (v. lettera dell’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e). Spiega difatti perchè, a fronte della condanna di primo grado, è infondata la doglianza, che fa grazia dell’incompletezza, perciò dell’inaffidabilità della prova allegata in via di eccezione. Su questa oggettiva evidenza risulta pretestuoso far carico di obbligo disatteso dal Giudice e con buona pace del rito richiestogli.

Il 2 motivo travisa del tutto il ragionamento ripetuto. I Giudici di merito hanno ritenuto insuperabile l’evidente coinvolgimento dell’imputato mentre era in Spagna, dati gli evidenti rapporti con C. nel territorio di Bari, da cui lui stesso proviene. E, quanto alle implicazioni, proprio perchè ha procurato la merce all’estero e l’ha spedita nel Barese tramite F. e l’autista P., risulta intraneo ben oltre il fatto, come ha chiaramente spiegato già la sentenza di primo grado, salvo fa grazia dell’assenza di allegazioni al Giudice di merito di segno contrario e prima ancora di spiegazioni in alcuna misura attendibili.

In questa luce, la contestazione residua solo in via di principio.

Ma si è visto il perchè risolutivo della condanna per il reato associativo, alla luce di quanto premesso. Oltre (3 m.) la qualificazione è connessa al livello evidente del ruolo ed il Giudice, non escludendo che V. sia stato anche per alcun tempo detenuto in Spagna, non si contraddice affatto nel giudizio di comparazione con il riferimento che lo è stato per delitti analoghi". 2. Ha proposto tempestivamente ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p., V.F. a mezzo del difensore avvocato Mario Russo Frattasi.

Afferma che la difesa aveva dedotto, allegando gli atti provenienti dall’Autorità giudiziaria spagnola, la totale inconciliabilità della tesi dell’accusa – che imputava al ricorrente il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 dal febbraio al settembre 2005 e il concorso nella importazione di 635 chili di hashish sequestrati in Italia il 30.5.2005 – con il dato oggettivo, da tali documenti dimostrato, della detenzione del V. in Spagna, nel carcere di Siviglia, ininterrottamente dal 22 giugno 1999 al 30 novembre 2005, data in cui veniva concessa al V. la liberazione condizionale.

Tale deduzione era stata liquidata "sbrigativamente, con motivazione apparente", mediante mero riferimento al perchè il Giudice di merito aveva considerato tali prove inattendibili (ex art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), mentre in realtà i documenti prodotti non erano mai stati smentiti e i giudici del merito, lungi dal ritenerli non veridici, s’erano limitati, senza base di atti ufficiali, a "ridurre il periodo detentivo per rendere così compatibile la ricostruzione accusatoria". La "reiterata mancata formale pronuncia di inattendibilità degli atti giudiziari spagnoli" aveva dunque "generato un macroscopico errore su un fatto ben determinato" che inficiava alla radice la decisione.

A pagina 4 dei motivi di ricorso la difesa aveva inoltre "dato una plausibile ricostruzione alternativa in ordine alla attribuzione al V. delle intercettazioni telefoniche, così come della presenza nella lista di imbarco". L’allegazione della detenzione in Spagna aveva per altro carattere assorbente e dirimente in relazione al tema della confutazione delle prove d’accusa. Aveva dunque errato la Corte di cassazione allorchè aveva affermato che la difesa non aveva contestato in alcun modo le conversazioni telefoniche e la presenza del nome V. sulle liste d’imbarco (tra l’altro indebitamente invertendo l’onere probatorio). E la svista aveva indotto la Corte a formulare un giudizio viziato, contribuendo a produrre una decisione oggettivamente lacunosa.

Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile perchè le censure non prospettano errore di fatto rilevanti ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p., ma ripropongono temi che, oggetto del ricorso avverso la sentenza di condanna, sono stati esaminati e ritenuti infondati dalla sentenza di questa Corte ora impugnata.

2. Va ricordato, in diritto, che storia, ratio e lettera dell’art. 625 bis c.p.p. – introdotto dalla L. 19 aprile 2001, n. 128, art. 6, su chiara sollecitazione della Corte Costituzionale (sent. n. 395 del 2000) e sul modello di quanto era avvenuto, per il codice di procedura, civile con l’introduzione dell’art. 391 bis e con l’allargamento delle ipotesi dell’art. 395, comma 1, n. 4, all’errore di fatto delle sentenze della Corte di cassazione (a seguito delle sentenze n. 17 del 1986 e n. 36 del 1991) – hanno contribuito alla formazione di canoni interpretativi (v. tra molte: Sez. U, sent. 27 marzo 2002, Basile) speculari a quelli esplicitati, appunto, in relazione all’art. 395 c.p.p., comma 4.

E’ dunque consolidato il principio che l’errore di fatto cui si riferisce l’art. 625 bis c.p.p. è soltanto quello in cui la Corte di cassazione incorre "nella lettura di atti interni al suo stesso giudizio".

D’altronde, la regola dell’intangibilità dei provvedimenti della Corte di Cassazione, pur avendo perduto il carattere di assolutezza per effetto appunto dell’istituto del ricorso straordinario nella materia penale e di quello, analogo, della revocazione per errore di fatto nella materia civile, resta a cardine del sistema delle impugnazioni e della formazione del giudicato (Sezioni Unite, sentenza 2002, Basile); l’accertamento definitivo costituendo, del resto, "lo scopo stesso dell’attività giurisdizionale" e realizzando l’interesse fondamentale di ogni ordinamento "alla certezza delle situazioni giuridiche" (C. Cost. n. 294 del 1995, e ivi citate nn. 247 del 1995, 21 del 1982, 136 del 1972, 51 e 50 del 1970; Corte di Giustizia, sentenza 1.6.1999, C-126/97, punto 46; sentenza 30.9.2003, C-224/01, p. 38; Corte EDU, da ultimo sentenza del 12 gennaio 2006, Kehaya e altri c. Bulgaria, ric. n. 47797/99 e 68698/01). Le disposizioni regolatrici del ricorso straordinario non possono perciò trovare applicazione oltre i casi in esse considerati in forza del divieto sancito dall’art. 14 disp. Gen., perchè costituiscono appunto deroga all’intangibilità del giudicato.

3. Natura eccezionale del rimedio e lettera della disposizione che lo istituisce consentono dunque di affermare che l’errore di fatto che può dare luogo all’annullamento della sentenza di questa Corte è solo quello costituito da sviste o errori di percezione nei quali sia incorsa la Corte di cassazione nella lettura degli atti del giudizio di legittimità, connotato dall’influenza esercitata sulla decisione (in tal senso "viziata") dalla inesatta percezione delle risultanze processuali del giudizio di legittimità.

Di conseguenza:

– va escluso ogni errore valutativo o di giudizio;

– l’errore di fatto censurabile, secondo il dettato dell’art. 625 bis c.p.p., deve consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di Cassazione (S.U. 2002, Basile citata), ovvero, per usare la terminologia dell’art. 395 c.p.p., n. 4, cui si è implicitamente rifatto il legislatore nella introduzione dell’art. 625 bis c.p.p., deve essere riconducibile alla supposizione della "esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa" o alla supposizione della "inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita", e tanto nell’uno quanto nell’altro caso, purchè "il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare" (ove non bastasse la "storia" della norma, cfr. il dibattito in Assemblea nella seduta 844 del 24.1.2001, in relazione all’emendamento 5.56.3 degli on. P., S., M.);

– esso (l’errore di fatto) deve rivestire "inderogabile carattere decisivo", deve cioè necessariamente tradursi, per legittimare il ricorso straordinario, "nell’erronea supposizione di un fatto realmente influente sull’esito del processo, con conseguente incidenza effettiva sul contenuto del provvedimento col quale si è concluso il giudizio di legittimità";

– non può concernere l’errore, anche se percettivo, non inerente al processo formativo della volontà del giudice di legittimità ma eventualmente riferibile alla decisione del giudice di merito, potendo in tale ipotesi l’errore essere fatto valere, sussistendone i presupposti, soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie ovvero con la revisione (S.U. Basile citata).

Esulando dall’errore di fatto ogni profilo valutativo, esso coincide, in conclusione, con l’errore revocatorio – secondo l’accezione che vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della "invenzione" o della "omissione" – in cui sia incorsa la stessa Corte di cassazione nella lettura degli atti del suo giudizio.

Per conseguenza, e per quanto interessa in questa sede: da un lato il cosiddetto "travisamento del fatto", inteso come travisamento del significato anzichè del significante, non può in nessun caso legittimare il ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p.:

tantomeno quando sia riferibile alla valutazione di atti probatori riservati all’apprezzamento del giudice di merito; dall’altro neppure può essere proposta, o riproposta, ai sensi dell’art. 625 bis la denunzia di un errore revocatorio del giudice di merito.

Fa solo apparente eccezione a tali principi l’ipotesi che l’errore revocatorio sia stato denunziato con un motivo di ricorso non letto e non esaminato, neppure implicitamente dalla Corte di cassazione.

In genere, la mancanza di esplicita risposta a uno o più motivi di ricorso o censure, quando pure in astratto sussista (il disposto dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, secondo cui "nella sentenza della corte di cassazione i motivi di ricorso sono enunziati nei limiti strettamente indispensabili per la motivazione", non consente infatti di presupporre che ogni argomento prospettato a sostegno delle censure non riprodotto in ricorso sia stato non letto anzichè implicitamente ritenuto non rilevante), si risolve in un mero difetto della motivazione, e non significa, di per sè, nè affermazione nè negazione di alcuna realtà processuale. Perchè la lacuna motivazionale possa essere ricondotta nell’errore di fatto occorre invece che essa risulti dipesa "da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura" (Sez. U. Basile). L’omesso esplicito esame o la mancanza di specifica confutazione deve essere dunque tale da lasciar presupporre una effettiva mancata lettura del motivo: fermo restando, atteso l’indefettibile connotato della decisività che deve assistere l’errore rilevabile ex art. 625 bis c.p.p., che da tale mancata lettura deve discendere, secondo "un rapporto di derivazione causale necessaria", una decisione incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata a seguito della considerazione del motivo (Sez. U, citata).

Alla chiarezza di tali arresti può soltanto aggiungersi che proprio sulla scorta del parallelo rimedio dell’art. 395 c.p.p., n. 4, giova a delimitare l’errore di fatto, con particolare riguardo alla lacuna motivazionale, la definizione di esso data da S.U. civili nella sentenza 14.2.1983 (da cui C. Cost. n. 17 del 1986) come errore che "sebbene non giunga a quel punto di estraneità al giudizio che caratterizza l’errore materiale (…), è pur sempre un errore che si manifesta al di fuori di cip che è stato il dibattito processuale o che ad esso appartiene per legge (questioni rilevabili d’ufficio), in quanto investe un fatto pacifico, incontrovertibile nella sua esistenza o inesistenza". Che è poi quanto s’illustrava nell’iter legislativo che ha prodotto l’art. 625 bis.

4. L’applicazione dei principi richiamati alle deduzioni del ricorrente comporta che di tutte deve rilevarsi la non riconducibilità al paradigma dell’errore di fatto, in base alle ragioni, in particolare, che seguono:

– la sentenza della Corte di appello aveva ritenuto non probante la documentazione difensiva relativa alla detenzione in Spagna del ricorrente osservando che, stando agli accertamenti di polizia, durante tale detenzione quello era ammesso a misure extramurali (paragonabili, sembra di capire, alla nostra semilibertà o a permessi); a fronte del motivo di ricorso sul punto la Corte di cassazione non ha affatto motivato come se la censura non esistesse (come se non l’avesse letta), ma ha ritenuto invece non censurabili le osservazioni della Corte di appello, aggiungendo altresì che la prova allegata in via di eccezione dalla difesa appariva incompleta;

– a sostegno della valutazione di infondatezza di siffatte censure la Corte di cassazione ha inoltre rilevato che il ricorrente non aveva contestato di essere la persona che conversava con il coimputato nelle conversazioni intercettate nè aveva fornito spiegazioni alternative del suo nome nella lista d’imbarco per l’Italia; e tali considerazioni non possono essere ricondotte, come il ricorrente deduce, ad errore di fatto per omessa lettura dei motivi di ricorso, perchè con essi il ricorrente effettivamente non forniva alcuna spiegazione alternativa del suo nome delle liste d’imbarco nè specificamente contestava di essere la persona che aveva parlato con il C., limitandosi, invece, a confutazioni affatto generiche circa l’effettuazione del viaggio e il significato delle conversazioni intercettate.

5. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *