T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, Sent., 08-07-2011, n. 6073Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Premette il ricorrente di avere acquistato nel 1972 una porzione di immobile sito nel Comune di Ardea (già Comune di Pomezia) debitamente fornito di licenza comunale in data 27 maggio 1968 e successiva variante in data 25 maggio 1970, dotato di ingresso indipendente dalla pubblica strada e di certificato di abitabilità, giusta atto del Commissario prefettizio in data 22 aprile 1976.

Pure non avendo egli effettuato alcuna opera, permanendo l’immobile secondo l’originaria consistenza e conformazione, ha ricevuto il decreto oggetto di impugnativa con cui la Capitaneria di Porto di Roma ingiunge la demolizione le opere abusive realizzate – occupazione abusiva di un tratto di suolo demaniale marittimo della superficie di 22 mq circa scoperti, asserviti ad ingresso per la rispettiva abitazione – e di ogni altra eventuale opera nel frattempo eseguita e di rimettere in pristino stato i luoghi occupati mediante rimozione dei materiali di risulta entro il termine ivi indicato.

Il ricorrente, ritenendone l’illegittimità, ha formulato i seguenti motivi in diritto:

1) Eccesso di potere per difetto di motivazione; violazione dell’art. 3, legge n. 241 del 1990.

Il provvedimento impugnato si basa su notizia di reato, che ne costituisce ad un tempo presupposto e contenuto, senza che sia stato esperito alcun accertamento o verifica in ordine alla contestata occupazione abusiva ivi denunciata.

2) Eccesso di potere per difetto di istruttoria; violazione degli artt. 3, 8 e segg. della legge n. 241 del 1990.

Non è stata espletata alcuna istruttoria in contraddittorio né è stata svolta alcuna attività di indagine che, ove svolta, avrebbe evidenziato la legittimità della posizione del ricorrente.

3) Violazione della legge 17.8.1942, n. 1150, art. 31; eccesso di potere per contrasto tra atti.

Le opere sono state eseguite da tempo, previa autorizzazione della competente autorità, di talché, ove la demolizione del muro di cinta venisse effettuata, in contrasto, peraltro, con i precedenti provvedimenti autorizzatori, l’immobile rimarrebbe sprovvisto di difesa ed aperto sulla pubblica via.

Conclude la parte ricorrente chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato.

Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato in difesa dell’intimato Ministero, chiedendo il rigetto del ricorso di cui ha eccepito l’infondatezza.

Alla pubblica udienza del 21 aprile 2011 la causa è stata trattenuta a sentenza.

Motivi della decisione

Come esposto in narrativa, il ricorrente impugna il provvedimento, i cui estremi sono riportati in epigrafe, con cui la Capitaneria di Porto di Roma ingiunge la demolizione le opere abusive realizzate – occupazione abusiva di un tratto di suolo demaniale marittimo della superficie di 22 mq circa scoperti, asserviti ad ingresso per la rispettiva abitazione – e di ogni altra eventuale opera nel frattempo eseguita e di rimettere in pristino stato i luoghi occupati mediante rimozione dei materiali di risulta entro il termine ivi indicato.

Tanto premesso, il Collegio ritiene il ricorso fondato.

E’ principio generale che rispetto agli abusi edilizi realizzati sul suolo demaniale marittimo, la p.a. ha una potestà sanzionatoria, ex art. 54, cod.nav., che, non avendo natura possessoria, né tanto meno petitoria, può essere esercitata in ogni tempo a prescindere dall’eventuale lasso di tempo intercorrente tra l’evento abusivo e il suo accertamento.

Per altrettanto, l’esercizio dei poteri repressivi postulati dall’art. 54 citato (che introduce l’obbligo della capitaneria di porto di ordinare lo sgombero delle aree demaniali abusivamente detenute e la demolizione delle opere eventualmente realizzate) non richiede alcuna particolare motivazione specifica in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico al ripristino dello "status quo" ante rispetto a quello del privato alla conservazione dell’occupazione dell’area demaniale marittima.

Ciò in quanto il connotato della "demanialità" impresso dal legislatore con la classificazione codicistica, esprime una duplice appartenenza dei beni ivi citati: alla collettività e al suo ente esponenziale; la titolarità, peraltro, deve essere intesa, in senso stretto, come appartenenza di servizio, nel senso che l’ente esponenziale può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la sua concreta possibilità di fruizione.

Pertanto, la titolarità dei beni demaniali allo Stato o agli altri enti territoriali competenti non è mai fine a sé stessa e non rileva solo sul piano della "proprietà", ma comporta per l’ente titolare anche la sussistenza di oneri di governance finalizzati a rendere effettive le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene.

Il presupposto, pertanto, che legittima il potere repressivo degli abusi che tendono, per definizione, alla compressione della fruibilità del bene in favore della collettività, è che, in fatto, si sia dato corso alla occupazione del demanio marittimo.

Con riferimento al caso che ne occupa, non è dato inferire quale sia stato in concreto l’abuso realizzato dal ricorrente, atteso che dalle premesse del provvedimento viene fatto un generico riferimento a notizia di reato acquisita dall’Ufficio Locale marittimo di Torvajanica, né viene dato atto di accertamenti compiuti in merito dall’autorità marittima.

Sul punto, l’Avvocatura erariale riferisce di accertamenti effettuati in loco su segnalazione dell’Ufficio Tecnico Erariale di Roma, senza, peraltro, spiegare alcun atto o documento in merito, da cui sia possibile evincere di quali accertamenti si sia trattato, ed in relazione a quali opere.

Deve, peraltro, essere aggiunto che il difensore della parte ricorrente ha dato atto, in pubblica udienza, che, nelle more della definizione del giudizio, il procedimento penale incardinato con la notizia di reato assunta ad unico presupposto del gravato ordine di ingiunzione, si è concluso con l’assoluzione del ricorrente.

Emerge, allora, la piena fondatezza delle censure con cui è dedotto il difetto di istruttoria, oltre che l’omessa partecipazione del ricorrente al procedimento concluso con il provvedimento impugnato.

Osserva il Collegio che l’adempimento previsto dall’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, con le modalità di cui al successivo art. 8, consente all’interessato di addurre elementi che arricchiscono il patrimonio conoscitivo dell’amministrazione, instaurando un contraddittorio finalizzato al migliore contemperamento dell’interesse pubblico con quello di cui è portatore, mentre la norma non prevede un mero simulacro formale, la cui violazione sia opponibile anche quando l’omissione non abbia inciso in alcun modo sulla formazione della volontà dell’amministrazione stessa e nemmeno sulla possibilità di difesa dell’interessato (in termini C. di S., IV, 15 giugno 2004, n. 4018; VI, 29 gennaio 2002, n. 491).

Nel caso di specie, viene posto in discussione che siano state realizzate opere nella fascia di rispetto del demanio, di cui all’art. 55 del codice della navigazione, in assenza della prevista autorizzazione.

Non può assumersi che, nel caso di specie, l’ingiunzione di demolizione di taluni manufatti costituisca, palesemente, atto dovuto.

E’ principio ormai acquisito che la necessità della comunicazione dell’avvio del procedimento ai destinatari dell’atto finale è prevista in generale dall’art. 7 della legge n. 241/90 non soltanto per i procedimenti complessi che si articolano in più fasi, ma anche per i procedimenti semplici che si esauriscono direttamente con l’adozione dell’atto finale, i quali comunque comportano una fase istruttoria da parte della stessa autorità emanante.

Peraltro, la portata generale del principio è confermata dal fatto che il legislatore stesso si è premurato di apportare delle specifiche deroghe all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, con la conseguenza che negli altri casi deve in linea tale comunicazione di massima essere garantita.

Ne consegue che la comunicazione di avvio si rende necessaria anche per il procedimento di demolizione delle opere abusive, nonostante il carattere vincolato dell’ingiunzione di demolizione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 febbraio 2003, n. 1095), senza che, nel caso in esame, l’amministrazione abbia fatto valere in contrario particolari esigenze di celerità, tali da giustificare l’omissione dell’adempimento; né, del pari, ricorrono i presupposti per fare luogo all’applicazione dell’art. 21octies co. 2 della medesima legge n. 241/90, cit., non potendosi affermare che, palesemente, la violazione procedimentale sia stata irrilevante rispetto al contenuto dispositivo del provvedimento in concreto adottato dalla P.A.

Ed invero, quanto poi risultato in sede giudiziale, lascia emergere come, attraverso la partecipazione procedimentale del ricorrente l’Autorità marittima avrebbe potuto riconsiderare preventivamente quei profili in fatto che hanno successivamente portato alla assoluzione del ricorrente in sede penale.

Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso è meritevole di accoglimento, con annullamento, per l’effetto, del provvedimento con lo stesso impugnato.

Rimane riservata alla Amministrazione resistente, ovvero quella attualmente competente nella specifica materia del demanio marittimo, la assunzione delle determinazioni che la stessa riterrà di adottare alla stregua di una rinnovata compiuta istruttoria, anche sulla base dei nuovi elementi medio tempore emersi in sede penale.

Sussistono ragioni per compensare integralmente le spese del giudizio tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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