Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-05-2011) 06-07-2011, n. 26317

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Napoli, investito ex art. 309 c.p.p., ha confermato l’ordinanza in data 12.11.2010, con la quale il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale aveva applicato a V. e a A.P. la custodia cautelare in carcere per i delitti di associazione di stampo mafioso e di omicidio volontario.

Ad entrambi era contestato:

– (Capo A) il delitto di associazione di stampo mafioso commesso sino al (OMISSIS), per essere stato V. capo e P. facente funzione di capo, durante la detenzione dell’altro, ed entrambi promotori e organizzatori dell’associazione camorristica "clan Aprea", operante nell’area orientale di (OMISSIS), quartiere (OMISSIS) e zone limitrofe;

– (Capo B) il delitto di omicidio aggravato, commesso il (OMISSIS) uccidendo con 18 colpi d’arma da sparo C.F., appartenente a clan rivale, nella veste di mandanti (e P. altresì di organizzatore).

A ragione della decisione il Tribunale, respinte le eccezioni difensive relative alla mancata trasmissione dei supporti informatici delle video-registrazioni dei colloqui tenuti in carcere da A. V., osservava, in fatto, che l’accusa nei confronti dei fratelli V. e A.P. era sostenuta:

– quanto a esistenza dell’omonimo clan, dai risultati dei molti processi tenuti nei loro confronti e nei confronti di altri sodali, conclusisi con sentenze alcune oramai definitive;

– quanto a ruolo ricoperto e mantenuto dai ricorrenti a far data dai fatti di partecipazione già giudicati e sino al 2009, dalle dichiarazioni convergenti dei collaboratori di giustizia M. G., Ma.Gi. e Ma.Sa., nonchè dalle conversazioni intercettate in carcere, intrattenute tra A. V. e i suoi familiari durante i colloqui;

– quanto all’omicidio di C.F., dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Ma.Gi., Ma.Sa., S.G. e S.C.; dal contenuto della conversazione videoripresa in carcere il 18 ottobre 2007 tra A.V. e i fratelli P., Pa. e G.; dall’argomento logico del ruolo di capo di A.V. attesa l’importanza "strategica" per il clan dell’omicidio; dai riscontri indiretti acquisiti sugli esecutori materiali.

2. Hanno proposto ricorso V. e A.P. a mezzo dei difensori, avvocati Antonio Abet per A.V., e avvocato Claudio Davino per entrambi, che chiedono l’annullamento della ordinanza impugnata denunziando violazione di legge e vizi di motivazione.

3. Ricorso 13.1.2011 avv. Abet (per A.V.).

3.1. Con il primo motivo denunzia violazione di legge ed erronea applicazione dell’art. 309 c.p.p., comma 5; art. 291 c.p.p., comma 1;

art. 309 c.p.p., comma 8, avuto riguardo:

– al rigetto dell’eccezione difensiva relativa alla mancata trasmissione al Tribunale del riesame dei supporti informatici delle videoregistrazioni dei colloqui effettuati in carcere tra A. V. e i familiari, tra l’altro osservando che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, dall’ordinanza cautelare emergeva testualmente che il G.i.p. aveva esaminato il materiale registrato e visionato i C.D. che lo contenevano;

– al rigetto dell’eccezione difensiva relativa al mancato rispetto dei tre giorni liberi tra l’ordinanza in data 8 novembre 2010, in cui si rinviava all’udienza del 12 novembre successivo per dar modo alla difesa di esaminare le videoregistrazioni, e tale udienza, atteso che il rinvio non era stato determinato da richiesta di termini a difesa ma esclusivamente per ovviare alla omessa trasmissione da parte della Procura degli atti posti a fondamento della misura cautelare.

3.2. Con il secondo motivo denunzia violazione di legge e carenza, ovvero apparenza, di motivazione, in ordine alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, la cui attendibilità sarebbe stata apoditticamente affermata malgrado le puntuali contestazioni contenute nella memoria difensiva, nonchè, comunque, manifesta illogicità della motivazione.

Il Tribunale aveva violato i criteri dell’art. 192 c.p.p., il canone dell’elevata probabilità di responsabilità e i principi in tema di chiamata in reità, cui occorreva rifarsi per valutare il compendio probatorio (il ricorrente si diffonde profusamente su tali aspetti in diritto), non rispondendo alle censure difensive e: – omettendo di considerare adeguatamente quanto evidenziato dalla difesa in punto di non attendibilità dei collaboratori (ovverosia che A.V. era ininterrottamente detenuto dal 23 maggio del 1991; che Ma.

G. era l’unica fonte di prova in relazione alla sua partecipazione all’omicidio C. ed alla sua partecipazione all’associazione di tipo mafioso con il ruolo di capo; che M. S. non fungeva da riscontro perchè era detenuto da circa 10 anni e la sua fonte era, circolarmente, soltanto suo fratello; che le notizie fornite da Ma.Gi. erano de relato da fonte anonima o genericamente provenienti dagli stessi indagati; che soltanto i familiari stretti erano ammessi a colloquio con A. V., e il collaboratore avrebbe perciò potuto riferire al più quanto riportato da quelli; che i fratelli M. avevano concertato il loro pentimento e si erano accordati per la loro collaborazione;

che M.S. aveva collaborato circa 10 anni prima e aveva poi ritrattato, ciò minando gravemente la sua credibilità; che aveva inoltre già accusato A. dello stesso ruolo nel procedimento conclusosi con assoluzione nel 2003; che entrambi i fratelli Ma. manifestavano astio verso la famiglia Aprea; che non era possibile usare per l’omicidio C. come riscontro il comportamento tenuto per la vicenda Ca., trattandosi di argomento analogico e non conferente; che non vi erano accertamenti su colloqui effettuati prima dell’omicidio C.);

– affermando senza adeguata base fattuale che a carico del ricorrente esisteva una pluralità di fonti di accusa, atteso che, al contrario, ciascuno dei dichiaranti aveva riferito di fatti diversi rispetto a quelli narrati dagli altri, e a carico del ricorrente vi erano dunque le sole dichiarazioni dei due fratelli Ma., che costituivano un circolo probatorio vizioso, il secondo non potendo che avere riferito de relato dal primo;

– valorizzando conversazioni il cui contenuto era stato travisato o frainteso, riferendosi solo a notizie raccolte dal ricorrente dai fratelli sulle vicende familiari.

In particolare, quindi, in relazione al delitto di omicidio la motivazione era erronea e illogica perchè il Tribunale aveva:

– considerato a conferma dell’accusa una intercettazione audiovisiva successiva al fatto, che nulla dimostrava, potendo al più essere costituire spunto investigativo;

– valorizzato le dichiarazioni del collaboratore Ma.Gi., che aveva parlato solamente di riunioni a cui non aveva partecipato, incontri in carcere ai quali non era ovviamente presente e di un presunto mandato omicidiario proveniente da altri soggetti; che aveva inoltre parlato de relato e per sentito dire, e aveva riferito di un generico "placet" del ricorrente rilasciato molto tempo prima del fatto, la cui determinazione era insorta a seguito di circostanze improvvise e del tutto imprevedibili (tant’è che ricorrente ne sarebbe stato informato solo due settimane dopo, proprio la conversazione intercettata dimostrando che egli non era affatto a conoscenza dell’episodio);

– omesso di valutare che Ma.Gi. era in realtà l’unica fonte accusatoria, contraddetta proprio dai video e dei colloqui; che le dichiarazioni di M.S. erano incontrollabili, e dunque non valutabili, provenendo da fonte esterna non riscontrabile;

che le dichiarazioni di C. e S.G. erano talmente generiche e provenienti da voci non individuate;

Con specifico riguardo al delitto associativo il Tribunale non aveva considerato:

– che il ricorrente era detenuto il regime di alta sicurezza, non poteva perciò tenere contatti epistolari o personali con persone diverse dagli appartenenti al suo nucleo familiare, e nei colloqui con questi aveva parlato esclusivamente di vicende familiari;

– che la circostanza che il ricorrente non sapesse dell’omicidio C. dimostrava che non manteneva alcun ruolo nella compagine associativa;

– che le dichiarazioni del collaboratore Ma.Gi. costituivano soltanto sue opinioni sul ruolo che il ricorrente avrebbe mantenuto, i riferimenti a fonti anonime rendendole non valorizzagli a fini probatori;

– che mancava qualunque riscontro all’ipotesi che dal carcere il ricorrente avesse promosso diretto organizzato le attività criminali dell’associazione, la circostanza che il ricorrente fosse stato assolto da una contestazione che abbracciava un periodo antecedente a quello oggetto dell’attuale contestazione comportando che si sarebbe dovuto dimostrare che dopo quella data aveva ripreso ad organizzarla e dirigerla ex novo;

– che mancava qualsivoglia prova di un contributo fattivo e dinamico, del tutto irrilevante apparendo la circostanza dell’esistenza del clan Aprea e della presunta sua conflittualità con il clan Celeste – Guarino;

– che i dubbi sull’attendibilità Ma.Gi. non potevano essere sopperiti con le dichiarazioni del fratello, de relato e intrinsecamente inattendibile egli stesso per la pregressa sua ritrattazione (tant’è che in base alle sue precedenti accuse gli era stato assolto); che non era legittimo nella situazione considerata procedere a valutazione frazionata delle dichiarazioni dei collaboratori.

3.3. Con il terzo motiva denunzia ancora violazione di legge in relazione all’omessa risposta alle argomentazioni di cui alla memoria difensiva depositata al Tribunale del riesame, che gli aspetti prima evidenziati aveva già sottoposto ai giudici di merito.

4. Ricorso 21.1.2011 avv. Davino (per P. e A.V.).

4.1. Con il primo motivo denunzia violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al rigetto delle eccezioni difensive concernenti la mancata trasmissione al Tribunale del riesame e il mancato tempestivo rilascio ai difensori di copia dei supporti informatici relativi alle videoregistrazioni dei colloqui in carcere.

Dopo avere premesso che a seguito della emissione della misura la difesa aveva estratto copia integrale degli atti processuali non rinvenendo i supporti informatici, il ricorso si diffonde lunghissimamente sullo stato della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, e conclude sostenendo nella sostanza le medesime tesi illustrate nel precedente ricorso.

4.2. Con il secondo motivo denunzia violazione di legge nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione di attendibilità intrinseca ed estrinseca delle chiamate in correità. 4.2.1. Premessa, anche in questo caso, lunga dissertazione in diritto, in punto di gravità indiziaria articola censure analoghe a quelle del precedente ricorso osservando che:

– occorreva dubitare dell’attendibilità di Ma.Sa. perchè nel 1999 aveva ritrattato, perchè riferiva cose riferitegli dal fratello, perchè le altre sue dichiarazioni erano de relato da de relato (da A.C., detenuto);

– le dichiarazioni di M.G. su A.V. erano del tutto generiche e nulla aveva detto su P.;

– Ma.Gi., pur avendo apparentemente detto cose di cui avrete avuto personale conoscenza, non aveva riferito nulla di preciso in ordine al perdurante ruolo ricoperto dai ricorrenti nell’organizzazione criminale; non vi erano riscontri oggettivi esterni; le sue dichiarazioni non erano compatibili con il quadro probatorio complessivo;

– in relazione all’omicidio, le dichiarazione gli altri collaboratori non erano affatto idonee a riscontrare quelle di Ma.Gi.

( S. era de relato da A.C., a sua volta de relato da soggetti non meglio identificati; S.C. aveva parlato solo del contesto; S.G. di voci riferite da anonimi); nè tale valore di riscontro poteva legittimamente attribuirsi al colloquio registrato in carcere, il cui significato non era certo nè univocamente interpretabile (la circostanza che P. desse indicazioni sull’omicidio era priva di significato decisivo, essendo l’omicidio avvenuto nella loro zona di residenza; V. appariva all’oscuro di ogni particolare e paradossalmente chiedeva delucidazioni proprio sul clan al quale era da ricondurre l’omicidio, come appariva anche dal fatto che V., mimando, chiedesse per chi lavorava, ovverosia sparava, il killer).

In conclusione il compendio probatorio non assurgeva a livello di gravità richiesto dall’art. 273 c.p.p..

4.2.2. Nell’ambito allo stesso motivo si denunziano inoltre vizi di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari. Si afferma che il Tribunale si era rifugiato nella presunzione dell’art. 275 c.p.p., comma 3, ma aveva completamente omesso di indicare l’esistenza di specifici e concreti elementi che consentissero di ritenere ancora attuale la pericolosità degli indagati.

Motivi della decisione

1. I ricorsi, che muovono censure in larga parte sovrapponibili – sovente al limite dell’ammissibilità – sono nel complesso infondati.

2. Le censure riferite alla violazione dell’art. 309 c.p.p., comma 5, per la mancata trasmissione al Tribunale del riesame dei supporti delle video-registrazioni posti a disposizione del Giudice per le indagini preliminari, sono infondate.

Il Tribunale, dopo avere effettuato scrupolosamente i doverosi accertamenti, ha rilevato, anche in base alla attestazione rilasciata dalla Procura il 5.11.2010 che detti supporti non erano stati affatto trasmessi al Giudice per le indagini preliminari, che aveva visionato i resoconti delle conversazioni e alcune immagine estrapolate e allegate agli atti poi trasmessi al Tribunale.

La contestazione sul punto contenuta nel ricorso Abet è del tutto generica ed è contraddetta da quanto affermato nel ricorso Davino, nel quale espressamente si osserva che il difensore aveva subito dopo l’emissione della misura e il deposito degli atti, estratto copia integrale degli stessi constatando che le videoregistrazioni non erano state trasmesse al Giudice per le indagini preliminari.

Non sussiste perciò alcuna violazione dell’art. 309 c.p.p., comma 5, che ha riguardo esclusivamente alla necessità che gli atti conosciuti dal Giudice delle indagini preliminari coincidano con quelli ostesi al Tribunale del riesame.

3. Del tutto infondate sono anche le doglianze relative al termine, in tesi inadeguato, riconosciuto alle difese per prendere visione ed estrarre copia delle videoregistrazioni.

Va ricordato che all’udienza dell’8 novembre 2011 il Tribunale del riesame, avvedutosi che le videoregistrazioni erano rimaste presso la Procura e che non risultava evasa la richiesta di copie avanzata dai difensori, rinviava al 12 novembre per consentire agli stessi di ottenere quanto richiesto dalla Procura. Il provvedimento, preso a scioglimento di riserva, veniva notificato il 9 novembre ai difensori, che si dolevano, e si dolgono, del fatto che non avevano goduto di tre giorni liberi e della ristrettezza del tempo loro concesso, ridotto di fatto a 24 ore, per esaminare le videoregistrazioni.

Ora però, come giustamente ha rilevato il Tribunale, non essendo riscontrabile alcuna violazione dell’art. 309 c.p.p., comma 5, neppure in astratto era ipotizzabile un diritto della difesa alla rinnovazione degli avvisi e dei termini di comparizione.

Mentre il lasso di tempo del quale le parti hanno goduto per esaminare i filmati è stato ritenuto congruo dal Tribunale con apprezzamento di fatto che, atteso quanto riportato a proposito dei contenuti delle videoregistrazioni che interessavano i ricorrenti, non è affatto implausibile e non è perciò censurabile in questa sede (tanto più a fronte della genericità della lamentela, nella quale nulla in concreto neppure si dice sulla durata delle registrazioni e sul tempo che materialmente sarebbe occorso per visionarle).

4. In relazione alla gravità indiziaria, le censure d’omessa risposta e quelle riferite alla violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3, sono infondate. Il Tribunale ha infatti considerato i rilievi difensivi (riportandoli anche nella premessa in fatto del provvedimento impugnato) e ha dato ad essi puntuali e argomentate risposte, osservando che, nello specifico, non vi erano motivi per ritenere non credibili le dichiarazioni dei diversi collaboratori che non erano da considerare circolari (perchè, come si vedrà subito appreso, avevano raccontato fatti direttamente percepiti o loro riferiti da fonti diverse) e che avevano trovato "eclatanti" riscontri nelle intercettazioni.

Le valutazioni espresse dai giudici di merito sul significato degli elementi raccolti e sulla attendibilità dei dichiaranti sono quindi coerenti e corrette e le critiche articolate nei ricorsi sotto forma di censure di manifesta illogicità, carenza o contraddittorietà, si risolvono in confutazioni del merito, improponibili in questa sede.

Basterà ricordare che in relazione al reato associativo il provvedimento impugnato richiama le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia: M.G., Ma.Gi. e M.S., diffuse, dettagliate e sostanzialmente corrispondenti; le conversazioni intercettate, intrattenute tra A.V. e i suoi familiari durante i colloqui in carcere, e in particolare quelle del 22.11.2007, 20.12.2007, in cui V. veniva puntualmente informato degli accadimenti importanti per il clan; del 9.4.2007, in cui V. delineava la strategia difensiva per il cognato P.C. accusato dell’omicidio dei fratelli Ca.; del 24.4.2008, in cui V. riceveva informazioni sulla faida con i C..

In relazione all’omicidio di C.F. vengono quindi valutate le convergenti dichiarazioni (ancora una volta dettagliatamente riportate e valutate attendibili anche per la loro convergenza) dei collaboratori di giustizia Ma.Gi. – presente alle riunioni in cui era stata presa la risoluzione operativa dell’omicidio e dunque dichiarante su fatti direttamente conosciuti -; Ma.Sa. – che aveva riferito di avere saputo dei fatti, del mandato e dell’esecuzione, in carcere, da A. C., il quale gli aveva parlato, lamentandosene, anche dell’inidoneità dell’esecutore Ca.Vi., teste dunque non de relato dal fratello -; S.C. e S.G. – che avevano dichiarato di sapere, a causa della loro militanza malavitosa, che l’omicidio C. s’inseriva nella guerra tra il gruppo Celeste-Guarino e gli Aprea -; nonchè il contenuto, estremamente significativo, della conversazione intercettata in carcere il 18 ottobre 2007 nel corso del colloquio tra A. V. e i fratelli P., Pa. e G., i quali accompagnavano tale conversazione con gesti – videoripresi – che – secondo la plausibile interpretazione datane dai giudici di merito – dimostravano inequivocabilmente che i fratelli chiedevano e spiegavano (a parole, poche; a domande e risposte labiali; a gesti mimati sotto il tavolo) chi aveva sparato e dove stava, con indicazioni su soprannomi, parentele e abitazioni che erano risultate, a seguito di accertamenti, sicuramente riferibili ai due esecutori indicati dai fratelli Ma., A.G. e Ca.Vi.. A tanto, logicamente aggiungendosi la valenza indiziaria dell’argomento del ruolo di capo di A.V. attesa l’importanza "strategica" per il clan dell’omicidio e i riscontri acquisiti sugli esecutori materiali.

L’ampiezza del materiale considerato e la sostanziale sua univocità, la diffusa illustrazione dei riscontri acquisiti alle dichiarazioni dei collaboratori tramite le intercettazioni e le videoregistrazioni, rendono per conseguenza ineccepibili le conclusioni raggiunte dal Tribunale in punto sia di credibilità dei collaboratori in relazione agli specifici fatti di cui si discute sia di univocità e grave forza dimostrativa del compendio probatorio acquisito, letto nel suo insieme.

5. Inammissibili perchè manifestamente infondate e generiche sono da ultimo le doglianze relative alle esigenze cautelari, attesa la corretta evocazione della presunzione dell’art. 275 c.p.p., comma 3, l’assenza di indicazione di elementi capaci di vincerla, la protrazione sino ad epoca relativamente recente del delitto associativo, la descritta personalità degli indagati.

6. I ricorsi vanno per tale ragioni rigettati e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.

Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà dei ricorrenti, la cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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