Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-11-2011, n. 24738 Domande nuove

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 15-5-1991 C.C. e L.S., proprietari di un edificio in (OMISSIS), confinante con quello di N.G., Na.Mi. e R.T., convenivano questi ultimi dinanzi al Tribunale di Benevento, per sentirli condannare al ripristino dello stato dei luoghi, in relazione ad aperture lucifere trasformate in vedute e ad una tettoia trasformata in terrazza, nonchè alla rimozione di grondaie e di apparecchiature di refrigerazione rumorose ed al risarcimento del danno per infiltrazioni di acque meteoriche.

Si costituiva solo Na.Mi., resistendo alla domanda.

A seguito del decesso del predetto convenuto, il giudizio veniva proseguito nei confronti dei suoi eredi.

Con sentenza in data 11-10-2005 il Tribunale di Benevento, in accoglimento per quanto di ragione della domanda, condannava i convenuti a ripristinare la tettoia trasformata in terrazza senza il rispetto delle distanze legali, con eliminazione dei parapetti- ringhiere, in modo da renderla impraticabile eccetto esigenze straordinarie di manutenzione, e a ridurre a vano-finestra il vano- porta di uscita sulla stessa terrazza; condannava, inoltre, gli stessi convenuti al riposizionamento delle grondaie nella dislocazione anteriore ed al risarcimento dei danni da infiltrazioni.

Avverso la predetta decisione proponevano appello principale il C. e appello incidentale N.G. e M. M., N.V., T. e P., gli ultimi quattro quali eredi di Na.Mi..

Con sentenza depositata l’11-9-2008 la Corte di Appello di Napoli, in parziale accoglimento degli appelli incidentali, riduceva la somma capitale dovuta a titolo risarcitorio all’attore, rigettando invece l’appello principale.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono N.G., N.T., N.V., N.P. e M.M., il primo in proprio e gli altri quali eredi di Na.Mi., sulla base di due motivi.

In prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria ex art. 378 c.p.c., alla quale hanno allegato documentazione.

Il C. non ha depositato controricorso, ma ha partecipato solo alla discussione orale.

Motivi della decisione

1) In via preliminare deve darsi atto della inammissibilità della produzione documentale (copia dell’ordinanza della Corte di Appello di Napoli depositata il 1-2-2010) allegata dai ricorrenti alla memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

A norma dell’art. 372 c.p.c., infatti, nel giudizio innanzi alla Corte di Cassazione non è consentito il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero la nullità della sentenza impugnata.

2) Con il primo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.. Nel far presente di aver dedotto con l’appello incidentale il vizio di ultrapetizione in cui era incorso il Tribunale nel pronunciare la loro condanna al ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad una terrazza sovrastante a quella oggetto della domanda dell’attore, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda proposta dai convenuti sul presupposto che la stessa avrebbe dovuto essere fatta valere in occasione delle operazioni peritali.

Rilevano che nella specie non ci si trova in presenza di una domanda nuova, in quanto gli appellati non avrebbero potuto evidenziare in primo grado l’errore compiuto in sede di emanazione della sentenza, con la quale i convenuti, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sono stati condannati alla rimozione ed alla modifica di manufatti il cui ripristino non era mai stato richiesto dall’attore.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se nell’ipotesi di domanda proposta in appello per violazione dell’art. 112 c.p.c., la stessa possa configurarsi o meno come domanda nuova vietata dall’art. 345 c.p.c.".

Il motivo è inammissibile.

Giova rammentare che, in base ai principi affermati in materia da questa Corte, il quesito di diritto che, secondo la previsione dell’art. 366 bis c.p.c., comma 1 (applicabile ratione temporis alla presente fattispecie), deve concludere a pena d’inammissibilità il motivo di ricorso per cassazione, deve essere conferente rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio e rilevante per la decisione della controversia.

Nel caso in esame, il quesito formulato non appare pertinente e risolutivo, in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nella quale la Corte di Appello ha dato atto che il Tribunale ha recepito le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio riguardo alla dislocazione della terrazza che, secondo le indicazioni contenute nella citazione introduttiva, era stata realizzata dai convenuti a seguito della trasformazione della preesistente tettoia e che, secondo quanto accertato dal consulente tecnico, aveva comportato la creazione di una veduta con affaccio sul fondo attoreo. L’ulteriore rilievo svolto dal giudice del gravame, secondo cui gli appellati avrebbero dovuto evidenziare nel corso delle operazioni peritali eventuali difformità delle indagini sulle terrazze, non fa Venir meno tale ratio decidendo, basata sostanzialmente sull’acclarata identità tra la terrazza oggetto della domanda attrice e quella individuata nella consulenza tecnica d’ufficio e nella sentenza di primo grado.

Il quesito posto dal ricorrente, pertanto, limitandosi a porre l’interrogativo se costituisca domanda (recte, eccezione) nuova, vietata dall’art. 345 c.p.c., la domanda proposta in appello per violazione dell’art. 112 c.p.c., risulta disancorato dall’effettivo percorso argomentativo della sentenza impugnata, si da non apparire idoneo ad incidere sulla decisione.

Orbene, come è stato puntualizzato da questa Corte, la mancanza di conferenza del quesito di diritto rispetto al deciso – che si verifica allorchè la risposta allo stesso, pur positiva per il richiedente, è priva di rilevanza nella fattispecie, in quanto il deciso attiene a diversa questione, sicchè il ricorrente non ha interesse a proporre quel quesito dal quale non può trarre alcuna conseguenza concreta utile ai fini della causa – è assimilabile all’ipotesi di mancanza del quesito, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., con conseguente inammissibilità del motivo; e ciò in applicazione del principio già affermato dalla giurisprudenza in tema di motivi non attinenti al decisum, secondo cui la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al "decisum" della sentenza impugnata, è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (Cass. Sez. Un. 21-6-2007 n. 14385).

2) Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa motivazione in ordine al motivo di appello incidentale con cui si censurava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva qualificato come veduta e non come semplice luce l’apertura in favore dell’appellante.

Il motivo è privo di fondamento, in quanto la Corte di Appello ha sufficientemente illustrato le ragioni per le quali ha disatteso il motivo di gravame incidentale relativo all’apertura in questione, dando atto, con apprezzamento in fatto non censurabile in questa sede, che la stessa, per le sue caratteristiche strutturali, consente ad un soggetto di normale statura un comodo affaccio nel giardino sottostante e non può, pertanto, essere qualificata come luce.

3) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dai resistenti nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 1.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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