Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03-05-2011) 06-07-2011, n. 26360 Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Velletri propone ricorso per Cassazione, limitatamente a Dirigenti ed Istruttori dell’UTC di Marino, progettisti privati dei permessi di costruire in rubrica e componenti della Commissione Edilizia del Comune di Marino, avverso la sentenza emessa dal Giudice per l’Udienza Preliminare il 30.9.2008 con cui veniva dichiarato non doversi procedere perchè il fatto non sussiste nei confronti di M.L. + 58.

La contestazione accusatoria trae origine da un intervento effettuato in sede di autotutela del Comune di Marino che con Delib. 4 novembre 2003, n. 45 aveva annullato la precedente Delib. 29 ottobre 2001, n. 50 con cui si era dichiarata per la zona B3 del PRG del Comune di Marino l’intervenuta inefficacia delle norme di salvaguardia (indice di fabbricabilità fondiaria 2 mc/mq stabiliti in sede di NTA del PRG approvato con delib. Giunta Regionale Lazio n. 1075 del 1979) per decorso del termine quinquennale; e la rideterminazione di tale indice portandolo da 2 mc/mq a 3 mc/mq per tutta la zona 13.

Conseguentemente il Comune di Marino aveva provveduto ad esercitare – in sede di autotutela – l’annullamento di tutte le concessioni edilizie rilasciate sulla base della prima delibera.

In relazione a quanto accaduto venivano avviati due distinti procedimenti penali. In un primo tempo venivano, infatti, chiamava a rispondere del delitto di abuso d’ufficio tutti i consiglieri comunali e i dirigenti dei vari settori amministrativi interessati, che avevano partecipato a vario titolo all’adozione della delibera consiliare de qua, ed un singolo privato, V.E., richiedente un primo permesso di costruire.

Successivamente, nell’ambito di un distinto procedimento, veniva contestato il reato di abuso d’ufficio a tutti i dirigenti del settore urbanistico, istruttori e firmatari di innumerevoli permessi di costruire, a tutti i privati richiedenti ed a tutti i tecnici progettisti che hanno permesso l’aumento dei volumi dei fabbricati nella zona B del Comune di Marino.

In relazione al primo procedimento veniva inizialmente emessa sentenza di condanna nei confronti dei consiglieri comunali e dei dirigenti e veniva assolto il privato richiedente – V. E. – e successivamente, in sede di appello proposto dagli imputati, dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Peraltro questa Corte era stata nelle more chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto da V.E. finalizzato ad ottenere il dissequestro dell’immobile e lo aveva rigettato in data 22 luglio 2004, rilevando tra l’altro che il nuovo indice di fabbricabilità 3 mc/mq è previsto da una variante di piano regolatore soltanto adottata dal Consiglio Comunale ma non ancora approvata dalla Regione Lazio, rendeva obbligatoria l’applicazione delle misure di salvaguardia e che ad analoghe conclusioni doveva pervenirsi in caso di convenzione o di atto unilaterale d’obbligo ai sensi della L. n. 10 del 1977, art. 7 – ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 17) in quanto trattasi di accordi procedimentali che non assumono autonoma rilevanza rispetto alla concessione edilizia (ora permesso di costruire), ma ne modellano il contenuto con carattere propter rem.

Il procedimento in esame il GIP veniva, invece, definito in sede di udienza preliminare con la sentenza di non luogo a procedere emessa in data 30 settembre 2008.

Il Giudice dell’Udienza Preliminare ha ritenuto l’insussistenza delle fattispecie delittuose contestate ( art. 323 cod. pen. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b)) rilevando che:

– le concessioni edilizie rilasciate illecitamente secondo la prospettiva accusatoria dovevano ritenersi invece legittimamente emesse a seguito di una delibera del Consiglio Comunale (n. 50 del 29.10.2001);

– la Delib. citata era senz’altro legittima ai sensi della L. n. 1187 del 1968, art. 2 nella parte in cui stabilisce che le indicazioni del piano regolatore generale che incidono su beni determinati ed assoggettano gli stessi a vincoli preordinati all’espropriazione o a vincoli che ne comportino l’inedificabilità perdono efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati adottati i piani particolareggiati o autorizzati i piani di lottizzazione convenzionata:

– la giurisprudenza amministrativa ha esteso l’efficacia quinquennale ai vincoli ed strumentali, quelli cioè che subordinano l’edificabilità di un’area all’inserimento della stessa in un programma pluriennale di attuazione ovvero alla formazione di un piano esecutivo;

la decadenza dai vincoli strumentali non ha luogo nei soli casi in cui, in alternativa al piano particolareggiato, sia prevista dal PRG la possibilità dell’adozione di un piano di lottizzazione ad iniziativa dei privati, ipotesi questa non prevista quanto alla zona B del PRG del Comune di Marino;

– va esclusa la necessità della previa adozione di uno strumento attuativo per il rilascio della concessione edilizia in zone già urbanizzate;

– la piena legittimità dell’atto presupposto costituito dalla Delib.

Consiglio Comunale 29 ottobre 2001, n. 50 rende legittimo il successivo rilascio della concessioni edilizie, rendendo insussistente la contestazione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b);

Ha aggiunto poi che, in ogni caso, quand’anche si volesse ritenere che tale delibera fosse stata adottata contra legem sul presupposto del difetto di adozione di una procedura di variante, non si può ritenere illecito il comportamento dell’UTC di Marino che si era uniformato ad un atto consiliare che incaricava il Responsabile del 5^ settore Urbanistica per l’attuazione della presente deliberazione ed andava considerata comunque l’insussistenza del dolo intenzionale richiesto dall’art. 323 cod. pen. non essendo emerso alcun consilium fraudis tra pubblici amministratori e privati beneficiari che avrebbe potuto confortare l’ipotesi della finalizzazione della condotta a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale a terzi.

Ciò premesso, deduce in questa sede il Procuratore della Repubblica ricorrente l’inosservanza ed erronea applicazione della legge e la contraddittorietà della motivazione come risultante dal testo del provvedimento e da atti specificamente indicati del procedimento.

Lamenta, tra l’altro, il PM ricorrente che il GUP è incorso in errore nell’affermare che la decadenza dai vincoli strumentali (quelli che subordinano l’edificabilità di un’area all’inserimento della stessa in un programma pluriennale di attuazione od un piano esecutivo) non ha luogo nei soli casi in cui, in alternativa al piano particolareggiato, sia prevista dal PRG la possibilità dell’adozione di un piano di lottizzazione ad iniziativa dei privati, in quanto in sede di approvazione, la Regione Lazio aveva imposto l’estensione della possibilità di consentire l’edificazione diretta, in assenza di piani attuativi, nella zona di Marino Centro e Santa Maria delle Mole (zona B3) con il rispetto dei più stringenti indici di fabbricabilità: 2 mc/mq; e la possibilità di attuare le previsione di PRG non soltanto con Piani particolareggiati di Esecuzione ma anche con piani di lottizzazione privata. Aggiunge che alla luce del tenore del PRG, art. 8 NTA, il decorso del quinquennio non poteva incidere sull’applicabilità delle misure di salvaguardia che, per le zone B3, prevedevano un indice di fabbricabilità pari a 2 mc/mq.

E fa rilevare anche che il TAR con le prime decisioni avverso l’annullamento delle concessioni aveva confermato la tesi per cui non poteva sostenersi la caducazione dell’efficacia del vincolo nascente dall’obbligo del piano particolareggiato di iniziativa pubblica non potendo lo stesso rientrare tra quelli di inedificabilità assoluta Sottolinea come l’operazione speculativa realizzata con la Delib.

Consiglio Comunale 29 ottobre 2001, n. 50 aveva posto le premesse per un saccheggio del territorio: 1) ampliando l’indice di fabbricabilità delle zone b3 da 2 mc/mq a 3 mc/mq; 2) favorendo una slavina di concessioni singole per tutta la zona B e che sulle vicende legate alla delibera citata era intervenuta il 23.10.2008, sentenza di condanna per i responsabili, da parte del Tribunale di Velletri.

Insiste, pertanto, sulla necessità dell’adozione della procedura di variante al Piano Regolatore Generale, e si rileva che M. e Gr. non potevano ritenersi nè soggetti estranei all’amministrazione nè sforniti delle competenze tecniche necessarie. Deduce infine come la decisione del GUP anche in relazione all’elemento soggettivo del reato di abuso di atti di ufficio non aveva correttamente applicato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

L’Avv.to Lemme ha depositato memoria in cui rileva che in tutta la vicenda complessivamente considerata non sono riscontrabili nè l’elemento oggettivo nè, tantomeno quello soggettivo, del reato di abuso d’ufficio e che la decisione adottata dal Giudice dell’Udienza Preliminare è esente da ogni censura in sede di legittimità.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.

Va in premessa evidenziato che appare effettivamente illogico sostenere la non necessità del dibattimento in presenza di una sentenza di condanna in primo grado (poi riformata nel senso della declaratoria di prescrizione dei reati) per l’altro procedimento originato dalla vicenda in esame ed in presenza di decisioni reiettive dei TAR avverso l’annullamento delle concessioni rilasciate dall’amministrazione comunale fondate sulle argomentazioni svolte dal PM ricorrente, nonchè di questa Corte sul sequestro concernente la V. posto che tutte le predette decisioni vanno nel senso della irregolarità della procedura di rilascio dei permessi di costruire. E ciò senza nemmeno indagare sulle ragioni che hanno addirittura spinto l’amministrazione comunale ad adottare autonomamente il provvedimento di annullamento della delibera e di rilascio dei permessi di costruire.

Ed anche le osservazioni sull’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 323 contenute nel ricorso meritano attenta valutazione.

Occorre tuttavia rilevare anche che nelle more del giudizio dinanzi a questo Collegio tutti i reati ipotizzati si sono prescritti.

La contestazione ha riguardo, infatti, al delitto di cui agli artt. 110 e 323 cod. pen. e per il solo M. anche di quello di cui all’art. 81 cpv cod. pen. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) in relazione al periodo intercorrente dal 29.10.2001 – 10.6.03.

All’evidenza, dunque, alla data odierna deve ritenersi comunque decorso il termine massimo di prescrizione (anni sette e mesi sei) anche per gli ultimi episodi aventi ad oggetto la contestazione di cui all’art. 323 cod. pen..

Puntualizzato quanto sopra, si pone allora il problema di verificare anzitutto l’interesse alla coltivazione del ricorso da parte del PM stante la sopravvenienza della causa estintiva del reato.

Più volte si è affermato che anche l’impugnazione del pubblico ministero per essere ammissibile, deve tendere alla eliminazione della lesione di un diritto o di un interesse giuridico dell’impugnante, non essendo prevista la possibilità di proporre un’impugnazione che si risolva in una mera pretesa teorica che miri alla sola esattezza giuridica della decisione, che di per sè non sarebbe sufficiente a integrare il vantaggio pratico in cui si compendia l’interesse normativamente stabilito che sottende l’impugnazione di ogni provvedimento giurisdizionale (cfr.; Sez. Un., 29 maggio 2008, Parovel; Sez. Un., 13 dicembre 1995, Timpani; Sez. Un., 11 maggio 1993, n. 6203, Amato, m. 193743; Sez. Un., 24 marzo 1995, n. 9616, Boido, m. 202018; Sez. 3, n. 12482 del 08/01/2009 Rv.

243502). E tale principio vale anche per l’impugnazione delle sentenze ex art. 425 c.p.p.. E’ stato ritenuto, infatti, inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione proposto dal P.M. avverso una sentenza di non luogo a procedere, emessa a norma dell’art. 425 c.p.p., comma 3, qualora si denunci, al fine di ottenere l’esatta applicazione della legge, la violazione di una norma di diritto sostanziale o processuale, senza indicare come da tale rettificazione possa derivare per l’impugnante un risultato praticamente e concretamente favorevole. (Sez. 6 12/02/2009 n. 12722, RV 243242). Ora, con riguardo a tali sentenze, si deve rilevare come anche in dottrina venga sottolineato che l’oggetto processuale della decisione di non luogo a procedere rimane pur sempre l’opportunità del passaggio alla fase dibattimentale. La funzione dell’udienza preliminare resta infatti quella di verificare l’esistenza dei presupposti per l’accoglimento o meno della domanda del PM pur alla luce di una valutazione contenutistico più pregnante in linea con i più recenti sviluppi normativi.

L’accertamento di merito imposto dalla decisione rimane circoscritto alla necessità della decisione sulla opportunità del rinvio a giudizio e non assume alcun carattere di stabilità. Essa – com’è stato rilevato – rappresenta l’alternativa al rinvio a giudizio e si fonda sui materiali delle indagini, a differenza di quella di proscioglimento che di norma e salvo alcune eccezioni, rappresenta l’alternativa alla condanna e si fonda sulle prove formatesi nel dibattimento (così Sez. 6, n. 21310 del 26/02/2007 Rv. 236471 che evidenzia il diverso regime giuridico della sentenza di non luogo a procedere, a differenza di quella dibattimentale, non è una sentenza "irrevocabile" (v. artt. 434 e ss. c.p.p.); e si differenzia sul piano della sua efficacia e, segnatamente, in tema di giudicato – artt. 648 e 654 c.p.p – e di esecuzione – art. 669 c.p.p. -).

Nella stessa linea si pongono le decisioni secondo le quali in materia di revisione, nella nozione di "altra sentenza penale irrevocabile" ( art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a)), non rientrano la sentenza di non luogo a procedere emessa all’esito dell’udienza preliminare, nè il provvedimento di archiviazione, trattandosi di atti per loro natura inidonei a rappresentare in termini di stabilità e definitività situazioni di fatto utilizzabili come parametri per un giudizio di revisione (Sez. 6 n. 26189 del 04/06/2009, RV 244534).

E coerentemente con quanto detto in precedenza si afferma costantemente che il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere, non può avere per oggetto gli elementi acquisiti dal Pubblico Ministero ma solo la giustificazione adottata dal giudice nel valutarli e, quindi, la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d’insieme degli elementi acquisiti, (ex plurimis Sez. 4 n. 2652 del 27/11/2008 RV 242500).

La soppressione della appellabilità delle sentenze va anch’essa – a parer del Collegio – nel senso di accentuare il carattere processuale della decisione di non luogo a procedere.

E la caducazione in particolare della disposizione originariamente contenuta all’art. 428 c.p.p., comma 6 secondo cui "In caso di appello del procuratore della Repubblica o del procuratore generale, la corte di appello, se non conferma la sentenza, pronuncia decreto che dispone il giudizio ovvero sentenza di non luogo a procedere con formula meno favorevole all’imputato" contribuisce a ritenere che l’interesse per l’accusa all’impugnazione non può essere riconosciuto solo in vista di una pronuncia meno favorevole per l’imputato.

Ora poichè nella specie non sembra derivare alcuna conseguenza sul piano processuale dall’accoglimento del ricorso essendo comunque i reati improcedibili per l’intervenuta prescrizione, il ricorso – alla luce di quanto detto – deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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