Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-11-2011, n. 24719 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

che:

1. la Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva dichiarato illegittimo il termine apposto al contratto di lavoro con decorrenza 2 febbraio 1998 stipulato da Poste Italiane s.p.a. con O.C. ed aveva conseguentemente dichiarato la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a partire dalla data suddetta;

2. per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; la lavoratrice ha resistito con controricorso illustrato da memoria;

il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata;

3. O.C. è stata assunta con più contratti a termine, dei quali il primo (l’unico che rileva in questo giudizio di cassazione), protrattosi dal 2 febbraio 1998 al 30 aprile 1998, è stato stipulato a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane;

4. la Corte di merito ha ritenuto l’illegittimità del termine apposto al suddetto contratto sul presupposto che, anche nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi a norma della L. n. 56 del 1987, art. 23, fosse necessario che l’apposizione del termine fosse stata giustificata da un’esigenza temporanea e specifica concretamente riferibile alla singola assunzione; rilevato che nel caso di specie la società Poste Italiane non aveva provato la riconducibilità delle singole assunzioni alla ristrutturazione aziendale menzionata dalla contrattazione collettiva, ha concluso per l’illegittimità del termine apposto al contratto in esame; (in relazione alle suddette conclusioni la Corte territoriale non ha valutato a legittimità del termine apposto ai contratti successivi);

5. con l’unico motivo di ricorso Poste Italiane s.p.a. denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 cod. civ., e segg., in relazione alla statuizione relativa all’illegittimità del termine; viene dedotto, in particolare, che l’interpretazione data dalla Corte di merito si basa, in sostanza, su una erronea interpretazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e delle norme collettive che hanno disciplinato la fattispecie;

la censura è fondata;

secondo il costante insegnamento di questa Corte di cassazione (cfr., in particolare, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011; Cass. 7 marzo 2005 n. 4862), specificamente riferito ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato;

la Corte di merito ha deciso in palese violazione del suddetto principio di diritto; alla base della motivazione della decisione è l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali; la sentenza, quindi, si muove pur sempre nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1; ciò in contrasto con quanto ripetutamente affermato da questa Corte Suprema e ribadito dalla sentenza delle Sezioni Unite 2 marzo 2006 n. 4588;

6. la sentenza impugnata deve essere conseguentemente cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa ad altro giudice, designato in dispositivo, il quale provvedere a valutare la legittimità del termine apposto ai contratti successivi; il giudice del rinvio provvedere altresì, ex art. 385 cod. proc. civ., sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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