Cass. civ. Sez. VI, Sent., 23-11-2011, n. 24710 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L.R. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha rigettato il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo iniziato avanti al Tar Campania in data 4.1.2000 e ancora in corso alla data di presentazione della domanda (27.3.2008).

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Motivi della decisione

La Corte d’appello ha rigettato la domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo per l’irragionevole durata di un giudizio avanti al giudice amministrativo in quanto ha ritenuto insussistente nella specie il patema d’animo conseguente alla pendenza del giudizio sia in considerazione della condotta processuale della parte che ha omesso di svolgere qualunque attività sollecitatoria per quasi un decennio, dimostrando così il disinteresse al giudizio, sia per la ritenuta originaria consapevolezza della totale infondatezza della pretesa.

La seconda ratio decidendi, idonea da sola a giustificare la pronuncia in quanto "In tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la piena consapevolezza della infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità – che deve essere desunta sulla base di elementi indiziari precisi e concordanti – è causa di inesistenza del danno non patrimoniale, perchè incompatibile con l’ansia ed il malessere correlati all’incertezza sull’esito del processo (Sez. 1, Sentenza n. 25519 del 16/12/2010), non è stata adeguatamente censurata dal ricorrente che si è limitato genericamente a contestare la sussistenza della prova in ordine alla ritenuta consapevolezza mentre nulla ha obbiettato in relazione alla precisa affermazione contenuta in motivazione secondo la quale era fin dall’origine chiaro che "la domanda fatta valere … attiene ad una pretesa risarcitoria ampiamente prescritta".

L’infondatezze delle esaminate censure rende ultroneo l’esame di quelle ulteriori.

Il ricorso deve dunque essere rigettato con le conseguenze di rito in ordine alle spese.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 1.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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