T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 09-07-2011, n. 749 Sanzione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La società "T." s.r.l., nel corso dell’anno 2008, si trovava ad eseguire lavori (realizzazione di impianti termoidrici) nell’ambito di un cantiere per la costruzione di un complesso di edilizia residenziale pubblica, in Asti. Ciò, in forza di un contratto di subappalto conferito dalla "E." s.r.l.

In data 22 febbraio 2008 accedevano al cantiere alcuni funzionari dell’Ispettorato del Lavoro di Asti, i quali trovavano intenti al lavoro due operai, di cui uno"occupato in nero dall’11/2/2008". Ne è seguito, in data 22 febbraio 2008, un provvedimento di "sospensione dell’attività imprenditoriale", adottato dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Asti ai sensi dell'(allora vigente) art. 5, comma 1, della legge n. 123 del 2007. Nella motivazione dell’atto, in particolare, si legge che gli ispettori del lavoro avevano riscontrato "l’impiego di personale in calce indicato non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, in misura pari al 100 per cento (n. 1) del totale dei lavoratori regolarmente occupati dalla ditta medesima nella citata unità produttiva all’atto dell’ispezione (n. 1)".

Tale provvedimento di sospensione, impugnato mediante ricorso gerarchico, è stato confermato dalla Direzione Regionale del Lavoro per il Piemonte (provv. n. 6989 del 13 giugno 2008, di rigetto del ricorso gerarchico). Esso, in ogni caso, è stato immediatamente revocato dalla DPL di Asti (provv. n. 2964 del 26 febbraio 2008), così come previsto dall’art. 5, comma 2, della legge n. 123 del 2007, in considerazione del fatto che l’azienda aveva prontamente provveduto a regolarizzare il rapporto di lavoro contestato. La durata complessiva della sospensione, pertanto, è stata di giorni 4.

2. Con il ricorso principale, in epigrafe, la società T. ha impugnato l’atto di sospensione ed il relativo decreto di rigetto del ricorso gerarchico, chiedendone l’annullamento.

I motivi di gravame sono così sintetizzabili:

1) violazione dell’art. 5, comma 1, della legge n. 123 del 2007, con riferimento al calcolo del "totale dei lavoratori regolarmente occupati". Tale norma, infatti, ai fini dell’irrogazione della sanzione della sospensione, richiede che il numero dei lavoratori irregolari impiegati sia "in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori regolarmente occupati": così disponendo essa si riferirebbe – secondo la ricorrente – a tutti i lavoratori regolarmente occupati nell’impresa, e non solo a quelli regolarmente occupati nel cantiere (come, invece, ritenuto dalla DPL). Ciò discenderebbe, in particolare, dalla diversa formulazione della lettera della legge rispetto alla disposizione che ne costituiva l’immediato precedente normativo (il previgente art. 36bis, comma 1, del decretolegge n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, il quale si riferiva al "totale dei lavoratori regolarmente occupati nel cantiere"). Nel caso di specie, precisa la ricorrente, alla data dell’accesso degli ispettori il numero totale dei lavoratori regolarmente occupati dall’impresa era pari a 15: sicché la proporzione rispetto ai lavoratori irregolari (1:15) esprimerebbe una percentuale (6,66%) ampiamente inferiore alla soglia legale del 20%. Peraltro, si aggiunge, "consta che n. 5 dipendenti della Soc. T. SRL, previa autorizzazione della Direzione Lavori, si trovassero ad eseguire lavorazioni" in un laboratorio separato dal cantiere ma funzionale a quest’ultimo: dunque, anche a voler conteggiare unicamente i lavoratori regolari presenti in cantiere (sia pure "distaccati" presso l’adiacente laboratorio), si otterrebbe una percentuale comunque inferiore a quella indicata dalla legge;

2) difetto di motivazione, posto che l’irrogazione della sospensione sarebbe una misura meramente discrezionale da parte della DPL (la quale, in base al richiamato art. 5, comma 1, della legge n. 123 del 2007, "può" adottare tale provvedimento) e posto che, sul punto, l’atto impugnato non giustifica "la legittimità della modulazione discrezionale del potere speso". Inoltre sarebbe assente una motivazione in ordine alla sussistenza, nel cantiere, del grado e del tipo di rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore;

3) violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, posto che, come conseguenza del provvedimento di sospensione, la società ricorrente si vedrebbe esposta al rischio di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni (così come previsto dal medesimo art. 5, comma 1, della legge n. 123 del 2007), con ulteriori conseguenze "sul personale attualmente impiegato nella Impresa deducente": aspetti, tutti, non valutati dall’amministrazione e tuttavia – come la stessa ricorrente riconosce – direttamente riconducibili al dettato normativo. Sul punto, si evidenzia la necessità che, in sede di applicazione dell’art. 5, comma 1, della legge n. 123 del 2007, l’amministrazione proceda "in ragione di un criterio interpretativo della norma rapportato alle fattuali circostanze", al fine di evitare una "pedissequa" ed, in definitiva, ingiusta applicazione della norma. La soglia percentuale del 20%, infatti, non potrebbe mai trovare applicazione per le piccole imprese che occupano un numero minimo di dipendenti, in fattispecie similari a quella per cui è causa: l’impiego di un solo lavoratore irregolare, in tali ipotesi, farebbe comunque sempre scattare l’applicazione della sanzione, laddove tale impiego rimarrebbe comunque impunito per le imprese di grandi dimensioni che occupano un numero rilevante di lavoratori regolari.

3. Si è costituito in giudizio il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, depositando documenti e chiedendo il rigetto del ricorso, senza tuttavia illustrare alcuna argomentazione difensiva.

Tra i documenti depositati dall’Avvocatura vi è anche una relazione sui fatti di causa, predisposta dalla Direzione Regionale del Lavoro per il Piemonte.

4. Nelle more del giudizio, in data 9 agosto 2010, è sopravvenuto il decreto n. 5854 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Direzione Generale per la Vigilanza e la Sicurezza nelle Infrastrutture, con il quale è stato adottato, nei confronti della società T., un "provvedimento interdittivo a contrarre con le pubbliche amministrazioni e a partecipare a gare pubbliche", ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008, quale inserito dall’art. 11, comma 1, lett. a, del d.lgs. "correttivo" n. 106 del 2009 (nel frattempo entrato in vigore).

Tale nuovo provvedimento, nel prendere le mosse dal provvedimento di sospensione irrogato in data 22 febbraio 2008, ha stabilito la durata dell’interdizione in giorni dodici "in rapporto alla durata della sospensione ed alla percentuale dei lavoratori irregolari presenti sul luogo di lavoro".

5. Con motivi aggiunti di ricorso, depositati il 30 settembre 2010, la società T. ha impugnato anche il sopravvenuto decreto di interdizione, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare.

I nuovi motivi di gravame sono, in parte, modellati su quelli già sollevati con il ricorso principale e possono così sintetizzarsi:

4) violazione dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990 (nonché della circolare n. 1733 del 2006 del Ministero delle Infrastrutture), a causa dell’"abnorme" ritardo nell’adozione del provvedimento interdittivo ("ad oltre due anni" dal verificarsi dei fatti);

5) violazione dell’art. 5, comma 1, della legge n. 123 del 2007: il nuovo provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere adottato sulla base di tale norma e non in applicazione della sopravvenuta disposizione di cui all’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008 (quest’ultima, in effetti, ai fini del calcolo dei lavoratori regolarmente occupati, ha inserito l’inciso "sul luogo di lavoro", sostanzialmente ripristinando l’inciso "sul cantiere" che la legge del 2007 aveva, invece, espunto). Viene poi ribadito che, in ogni caso, il provvedimento gravato sarebbe comunque illegittimo (anche a voler ritenere applicabile il sopravvenuto art. 14, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008) poiché "consta che n. 5 dipendenti della Soc. T. SRL, previa autorizzazione della Direzione Lavori, si trovassero ad eseguire lavorazioni" nel già citato laboratorio separato dal cantiere ma funzionale a quest’ultimo;

6) difetto di motivazione, anche alla luce della circolare ministeriale n. 29 del 28 settembre 2006;

7) errata quantificazione del numero dei giorni di interdizione, nonché difetto di motivazione su tale specifico punto;

8) violazione del principio di proporzionalità.

6. L’intimata amministrazione delle Infrastrutture e dei Trasporti non si è costituita in giudizio né ha fatto pervenire memorie o documenti.

7. Con ordinanza n. 755 del 2010 questo TAR ha respinto la domanda cautelare, contenuta nei motivi aggiunti di ricorso, non ritenendo sussistente il requisito del periculum in mora.

8. Con memoria depositata il 20 maggio 2011, la società ricorrente ha ribadito le proprie argomentazioni, evidenziando peraltro che, nelle more del giudizio, è intervenuta la sentenza n. 310 del 2010 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008 nella parte in cui, stabilendo che ai provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale previsti dal comma 1 non si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, esclude l’applicazione ai medesimi provvedimenti dell’articolo 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990.

9. Alla pubblica udienza del 22 giugno 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. Giunge all’esame del merito il gravame proposto dalla società ricorrente avverso (dapprima) il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale (irrogatole, ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 123 del 2007, all’epoca vigente, dalla DPL di Asti) e poi contro il provvedimento di interdizione dalla contrattazione con le p.a. (inflittole, ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008, quale sostituito nel 2009, dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti).

Entrambi i provvedimenti gravati sono stati adottati per effetto del verbale del 22 febbraio 2008, con il quale gli ispettori del lavoro della DPL di Asti avevano riscontrato, nel cantiere dove la società stava realizzando alcuni lavori in subappalto, la presenza di un lavoratore irregolare (insieme ad un altro lavoratore regolarmente assunto e denunciato).

Le censure sviluppate nel ricorso principale e nei motivi aggiunti si riferiscono, in sintesi, ad un non corretto calcolo della base percentuale sulla quale parametrare l’irrogazione della sanzione, nonché ad un’asserita carenza di motivazione ed alla violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa. Nei motivi aggiunti, inoltre, si contesta l’illegittimità del provvedimento di interdizione dalla contrattazione con le p.a. anche sotto il diverso profilo dell’abnorme distanza di tempo (più di due anni) intercorsa tra il verbale di accertamento e la concreta inflizione della sanzione.

2. Il ricorso introduttivo non è fondato.

Si deve, anzitutto, fare chiarezza in ordine alla modalità di inflizione della sanzione (ivi contestata) della sospensione dell’attività imprenditoriale, sanzione che è dalla legge parametrata alla proporzione tra il numero dei lavoratori irregolari e quello dei "lavoratori regolarmente occupati".

In proposito, mentre la misura percentuale di tale proporzione (20%) è rimasta immutata nel repentino succedersi delle fonti normative che, nel breve volgere di tre anni, hanno disciplinato la fattispecie (art. 36bis del decretolegge n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006; art. 5, comma 1, della leggedelega n. 123 del 2007; art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008, quale poi sostituito dal d.lgs. "correttivo" n. 106 del 2009), ciò che ha formato oggetto di una disciplina mutevole nel tempo è stato il concetto di "lavoratori regolarmente occupati".

Dapprima (art. 36bis del decretolegge n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006) i "lavoratori regolarmente occupati" erano considerati quelli presenti "nel cantiere": ciò, peraltro, in coerente linea con l’oggetto del testo normativo, dedicato alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori "nel settore dell’edilizia". Successivamente, con il varo della leggedelega per il riassetto e la riforma della normativa in tema di tutela della salute e della sicurezza "sul lavoro", l’art. 5, comma 1, della legge n. 123 del 2007 ha soppresso l’inciso "nel cantiere", prevedendo semplicemente l’adozione del provvedimento di sospensione allorché fosse riscontrato "l’impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori regolarmente occupati". Con l’entrata in vigore del decreto delegato ( d.lgs. n. 81 del 2008, art. 14, comma 1) la percentuale del 20% è stata invece riferita al "totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro". La novella introdotta con il d.lgs. n. 106 del 2009, infine, nel riferirsi alla sanzione dell’interdizione dalla contrattazione con le p.a., ha nuovamente ribadito che la base di calcolo anche per tale sanzione deve essere individuata con riferimento al "totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro" ed ha così disciplinato tale aspetto: "La durata del provvedimento è pari alla citata sospensione nel caso in cui la percentuale dei lavoratori irregolari sia inferiore al 50 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro; nel caso in cui la percentuale dei lavoratori irregolari sia pari o superiore al 50 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro (…) la durata è incrementata di un ulteriore periodo di tempo pari al doppio della durata della sospensione e comunque non superiore a due anni".

Nella fattispecie per cui è causa, la sanzione della sospensione dell’attività imprenditoriale è stata irrogata nella vigenza, ratione temporis, della legge n. 123 del 2007: da ciò la prima censura sollevata dalla società ricorrente, la quale ha lamentato il fatto che l’amministrazione abbia preso, come base di calcolo, il totale dei lavoratori regolarmente occupati "nel cantiere" (anziché, come sarebbe desumibile dal testo dell’art. 5, comma 1, della legge n. 123 del 2007, tutti i lavoratori regolarmente occupati dall’impresa, anche fuori dal cantiere), così illegittimamente riesumando l’abrogato art. 36bis del decretolegge n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006.

3. La censura non è fondata.

Emerge infatti, sotto una duplice prospettiva, la correttezza dell’opzione ermeneutica fatta propria dall’amministrazione resistente.

3.1. Sotto un primo punto di vista, non può sfuggire la ratio dell’intervento riordinatore e riformatore del legislatore del 2007, efficacemente riassunto nei principi e nei criteri direttivi generali dettati per l’esercizio, da parte del Governo, della delega legislativa: ossia, estendere la normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro "a tutti i settori di attività e a tutte le tipologie di rischio" (così l’art. 1, comma 2, lett. b, della legge), superando il ristretto ambito di operatività del previgente art. 36bis del decretolegge n. 223 del 2006 il quale si era espressamente riferito alla sicurezza del lavoro nel solo settore dell’edilizia.

Del tutto coerentemente, peraltro, quest’ultima norma si era riferita – per ciò che qui interessa – ad una nozione di "lavoratori regolarmente occupati" parametrata ai lavoratori presenti "nel cantiere", con ciò evidenziando il legame tra il settore di attività oggetto di disciplina ed il luogo di lavoro dove assicurare lo standard di sicurezza: ciò, sul logico presupposto che è proprio il luogo di lavoro a costituire lo scenario rilevante ai fini dell’applicazione (e, in definitiva, della stessa ragion d’essere) della normativa sulla sicurezza, trattandosi dello scenario dove sorgono le necessità di tutela per i lavoratori che vi si trovano ad operare e dove risulta, conseguentemente, necessario conferire attuazione alle misure di sicurezza (anche dal punto di vista generalpreventivo, mediante la previsione di un efficace apparato sanzionatorio amministrativo).

La nuova legge del 2007 si è mantenuta negli stessi binari logici, operando anch’essa (sia pure implicitamente) un legame tra i settori oggetto di tutela (potenzialmente, tutti i settori lavorativi) ed il luogo di lavoro da proteggere. E" in tale ottica che va letta la disposizione contestata: il "provvedimento di sospensione" è dalla norma riferito a qualsiasi "attività imprenditoriale" (non solo, più, quella edilizia) e, di conseguenza, anche il luogo di lavoro da proteggere diventa quello in cui l’"attività imprenditoriale" di che trattasi (non più solo quella edilizia) si svolge. Ne consegue che, laddove la norma si riferisce ai "lavoratori regolarmente occupati" ai fini della sanzione della sospensione dell’attività, essa intende chiamare in causa solo quei lavoratori che siano presenti sul luogo dove quella medesima attività si esercita, essendo per l’appunto solo il "luogo di lavoro" l’elemento rilevante per l’applicazione della normativa de qua.

3.2. Sotto un secondo punto di vista, poi, non può non avere rilevanza – nella ricostruzione dell’effettiva intenzione del legislatore – la successiva evoluzione normativa che ha interessato l’odierna questione.

Come già accennato, sia il d.lgs. n. 81 del 2008 (adottato dal Governo proprio in attuazione della delega conferita dalla legge n. 123 del 2007), sia il successivo decreto correttivo n. 106 del 2009 hanno senz’altro, in modo espresso, riferito la base di calcolo per la sanzione de qua proprio ai lavoratori regolarmente occupati "sul luogo di lavoro", ove cioè si svolge l’attività oggetto di sanzione. Se davvero fosse esatta la tesi di parte ricorrente, il risultato sarebbe che solo per pochi mesi (temporalmente collocabili tra il 2007 ed il 2008, ossia dalla vigenza dell’art. 5 della legge n. 123 del 2007 all’entrata in vigore dell’art. 14 del d.lgs. n. 81 del 2008) il calcolo della sanzione andrebbe parametrato a tutti i lavoratori regolari assunti dall’impresa, anziché solo a quelli presenti sul luogo di lavoro: con evidente discontinuità ed irragionevolezza del panorama normativo di risulta, causata da un illogico dire e disdire del legislatore. Ciò, peraltro, tenendo in disparte i consistenti dubbi di incostituzionalità per eccesso di delega che dovrebbero allora essere rivolti alla nuova disciplina introdotta dal d.lgs. n. 81 del 2008 (la quale, si badi bene, ha sul punto provveduto addirittura all’abrogazione della corrispondente norma di legge delega: art. 304, comma 1, lett. c, del d.lgs. n. 81 del 2008): ed è insegnamento noto, in proposito, che, nel dubbio ermeneutico, la legge deve essere interpretata nel modo conforme a Costituzione, anziché nel modo con essa contrastante.

Deve quindi ritenersi che, laddove la disposizione di cui all’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008 ha parametrato l’applicazione della sanzione della sospensione dell’attività imprenditoriale sul numero dei "lavoratori regolarmente occupati sul luogo di lavoro", essa non ha innovato l’ordinamento, ma ha confermato una norma già esistente e contenuta nella legge di delega, ossia nell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 123 del 2007 (contestualmente abrogandola, nell’esercizio del potere di "riordino" della materia conferito dal Parlamento).

Ne consegue, in definitiva, che del tutto legittimamente l’amministrazione ha calcolato la sanzione impugnata prendendo a riferimento i lavoratori regolari presenti sul luogo di lavoro, pur nella vigenza dell’art. 5, comma 1, della legge n. 123 del 2007.

3.3. La non fondatezza del primo motivo, poi, emerge anche lungo l’ulteriore versante di contestazione di parte ricorrente, laddove si evidenzia che, comunque, nel "cantiere" per cui è causa erano presenti non solo i lavoratori fisicamente reperiti dagli ispettori all’atto dell’accesso, ma anche altri lavoratori "distaccati" presso un attiguo laboratorio e svolgenti mansioni funzionali all’operatività del medesimo cantiere.

L’aspetto non è degno di considerazione perché – in disparte la questione, comunque dubbia, circa l’idoneità di tale laboratorio, sia pure "funzionale", ad essere ricompreso nella nozione di "cantiere" pur essendone fisicamente separato – la ricorrente omette di fornire una qualsiasi prova idonea a dimostrare la verità dell’assunto. Essa si limita, invero, a riferire (sia nel ricorso introduttivo, sia nei motivi aggiunti) che le "consta che n. 5 dipendenti della Soc. T. SRL, previa autorizzazione della Direzione Lavori, si trovassero ad eseguire lavorazioni" in tale laboratorio. A sostegno offre, però, unicamente il doc. n. 14 (ossia, la presunta autorizzazione della Direzione dei lavori), il quale però è unicamente la richiesta del direttore dei lavori di fare eseguire alcune lavorazioni "non in cantiere ma presso la propria sede", al dichiarato "fine di limitare il numero degli addetti in cantiere". Non è offerto, invece, alcun documento che comprovi l’avvenuto ed effettivo spostamento di alcuni lavoratori, prima addetti al cantiere, alla diversa sede: né emerge da alcun atto che tali lavoratori, in concreto, fossero nel numero di cinque, come asserito dalla ricorrente.

Deve quindi ritenersi che gli unici lavoratori presenti nel cantiere, come rilevato dagli ispettori all’atto dell’accesso, fossero proprio quelli nominati nel verbale di ispezione, senza possibilità di poter alzare il loro numero in base alle mere (e, comunque, inidonee) allegazioni di parte ricorrente.

4. Non sono fondati neanche gli ulteriori motivi di gravame, contenuti nel ricorso introduttivo.

Non è, anzitutto, rinvenibile alcun difetto di motivazione nel provvedimento che ha irrogato la sanzione della sospensione dell’attività imprenditoriale, essendo in esso riportato l’esito dell’accertamento degli ispettori del lavoro in data 22 febbraio 2008.

Premesso, sul punto, che ora un obbligo di motivazione è senz’altro sussistente in capo all’amministrazione, per effetto della recente sentenza n. 310 del 2010 della Corte costituzionale (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale proprio dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008 nella parte in cui escludeva l’applicabilità dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990), deve comunque rilevarsi che, in ordine alla scelta di adottare il provvedimento interdittivo, non può comunque configurarsi alcun onere motivazionale dell’autorità procedente: ciò perché, a ben vedere, non può neanche configurarsi una vera e propria "scelta" nell’adozione di tale provvedimento. Quest’ultimo, infatti, è dalla legge automaticamente ricollegato all’impiego di lavoratori irregolari in misura superiore al 20% del totale dei lavoratori regolarmente occupati, sicché il provvedimento interdittivo è del tutto vincolato.

Ad una diversa conclusione, del resto, non conduce affatto l’evocata circolare ministeriale n. 29 del 28 settembre 2006, la quale, al contrario, precisa che il provvedimento sanzionatorio debba "di norma" essere adottato allorché si riscontri la sussistenza dei presupposti stabiliti dalla legge, e che una motivazione debba semmai assistere la decisione di non comminare la sanzione allorché sia valutata l’esistenza di "circostanze particolari". In altre parole, mentre l’amministrazione è ordinariamente vincolata ad adottare la sanzione, allorché ne ricorrano i presupposti di legge, essa eccezionalmente è abilitata a non adottarla in presenza di circostanze particolari le quali, allora, devono essere adeguatamente illustrate in motivazione: diversamente, la motivazione potrà consistere nell’indicazione delle risultanze del verbale degli ispettori (come è avvenuto, del tutto legittimamente, nella fattispecie de qua).

4.1. Non è neanche di pregio l’ultimo motivo dedotto, ossia la violazione del principio di proporzionalità. A parte la considerazione (meramente fattuale) che la sospensione si è protratta per soli 4 giorni (a seguito della repentina regolarizzazione del lavoratore), è qui dirimente osservare che nessuno spazio di discrezionalità, nemmeno nella modulazione della sanzione, è dalla legge riservato all’amministrazione, la quale deve semplicemente applicare, in modo del tutto automatico, le previsioni (anche di carattere matematico) di legge.

La censura di parte ricorrente, semmai, avrebbe dovuto essere rivolta direttamente alla fonte legislativa che ha previsto siffatto meccanismo sanzionatorio. Nell’atto introduttivo, in verità, vi è una contestazione che ridonda in dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge n. 123 del 2007, ma sotto il (diverso) profilo della disparità di trattamento che, mediante tale norma, si determinerebbe tra piccole imprese (le quali possono avere alle proprie dipendenze solo pochi lavoratori) e le grandi imprese (che ne possono avere molti): lo sbarramento percentuale del 20%, imposto dalla legge, condurrebbe ad una possibile applicazione della sanzione, nella fattispecie di impiego di un unico lavoratore irregolare, solo per le imprese di piccole dimensioni (che, di norma, hanno alle proprie dipendenze un numero minimo di lavoratori regolari, con conseguente superamento della soglia del 20%), ma non anche per le imprese di grandi dimensioni (le quali, assumendo un numero maggiore di lavoratori regolari, hanno la possibilità di andare esenti da sanzione per l’impiego di pochi lavoratori irregolari, non raggiungendo la soglia di proporzione del 20%).

Il dubbio di costituzionalità così prospettato, però, pecca anzitutto del requisito della rilevanza nella presente causa. Secondo la prospettazione di parte ricorrente, infatti, la legge sarebbe costituzionalmente illegittima non perché produce un effetto sanzionatorio per l’impresa di piccole dimensioni (che è, invece, la fattispecie oggetto di giudizio), ma al contrario perché – in modo, peraltro, del tutto eventuale – non lo produce per l’impresa di grandi dimensioni. Quello che ha rilevanza, nel presente giudizio, è l’applicazione della sanzione per l’impiego di un lavoratore irregolare, a fronte della presenza di un altro lavoratore in regola nel cantiere: non ha invece rilevanza stabilire quale sarebbe stato il risultato in presenza di diversa impresa con un numero maggiore di lavoratori regolarmente assunti.

Peraltro, è evidente che ad essere disallineata rispetto alla complessiva ratio di protezione perseguita dalla legge è, semmai, la mancanza di una sanzione per le imprese di grandi dimensioni, anziché la previsione dell’applicazione di una sanzione per le piccole imprese. Un’eventuale riconduzione ad unitatem del meccanismo afflittivo, pertanto, dovrebbe semmai essere operata nel senso di estendere alle imprese che assumono molti lavoratori la sanzione per l’impiego di pochi lavoratori in nero, anziché nel senso di escludere dal raggio afflittivo anche le imprese che assumono pochi lavoratori.

Sicché, in definitiva, l’eccezione di incostituzionalità ventilata nel ricorso introduttivo deve essere dichiarata non rilevante e manifestamente infondata, ai sensi dell’art. 23, comma 2, della legge n. 87 del 1953.

5. Passando ora alla disamina dei motivi aggiunti di ricorso (rivolti, come detto, contro il successivo provvedimento di interdizione dalla contrattazione con le p.a.), deve anzitutto essere esaminata la prima censura, incentrata sull’asserita violazione dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, a causa dell’abnorme durata del relativo procedimento (più di due anni).

La censura è fondata.

Come di recente statuito da questo TAR in un’analoga fattispecie (TAR Piemonte, sez. II, n. 464 del 2011), pure allorché la legge non stabilisca espressamente un termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio, deve trovare applicazione il generale canone di ragionevolezza cui l’azione amministrativa, anche di natura sanzionatorioafflittiva, è comunque soggetta in ossequio ai predicati costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità ( art. 97 Cost.). L’applicazione di un provvedimento di interdizione che intervenga a distanza notevole di tempo (nel caso di specie, a più di due anni) dall’accertamento della commessa violazione per un verso non è manifestamente in grado di assicurare le finalità preventive e repressive che la ratio della norma persegue, e per altro verso si pone in stridente contrasto con elementari principi di correttezza dell’agire amministrativo in relazione agli interessi del privato coinvolto.

Ciò, in particolare, assume un peso ancora più grave nella fattispecie oggetto del presente giudizio, in considerazione di quanto disposto dalla circolare ministeriale n. 1733/2006 proprio con riferimento al termine di conclusione del procedimento per l’adozione dei provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale ed interdittivi alla pubblica contrattazione: tale procedimento, come si legge nella circolare, "deve essere normalmente concluso entro 45 giorni dalla data di ricezione del provvedimento di sospensione; la Direzione generale per la regolazione emana tempestivamente il provvedimento finale una volta acquisita la documentazione…". Nel caso di specie la nota di comunicazione, da parte della DPL di Asti, dell’intervenuta violazione è datata 25 febbraio 2008 (doc. n. 11 dell’Avvocatura), mentre solo in data 9 agosto 2010 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha adottato il provvedimento di interdizione.

Il comportamento tenuto dall’amministrazione, pertanto, come denunciato da parte ricorrente, aveva dapprima fatto insorgere nell’interessata la ragionevole convinzione che il procedimento volto all’adozione del provvedimento interdittivo si fosse ormai concluso con un nulla di fatto (anche perché la comunicazione di avvio del procedimento era stata inviata il 12 marzo 2008), con il conseguente formarsi di un’aspettativa in ordine all’ordinaria prosecuzione dei propri rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni aggiudicatrici; ma poi, del tutto inaspettatamente, quella convinzione e quell’aspettativa sono state tradite. Il provvedimento di interdizione adottato con simile ritardo, pertanto, si palesa essere stato, al contempo, non funzionale alle ragioni di pubblico interesse per le quali il d.lgs. n. 81 del 2008 ha conferito il potere sanzionatorio ed obiettivamente in antitesi rispetto ai canoni della correttezza e della buona fede che devono governare i rapporti della p.a. con i cittadini, nell’ottica delle garanzie di partecipazione e di difesa di questi ultimi.

6. I motivi aggiunti di ricorso devono essere, pertanto, accolti, con assorbimento delle ulteriori censure.

In considerazione della natura della presente controversia, il Collegio rinviene giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,

a) respinge il ricorso introduttivo;

b) accoglie i motivi aggiunti di ricorso e, per l’effetto, annulla il decreto n. 5854, del 9 agosto 2010, del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

c) compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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