Cons. Stato Sez. III, Sent., 11-07-2011, n. 4158

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L’appellato, già ricorrente in primo grado, cittadino albanese presente in Italia con regolare permesso di soggiorno, nel 2003 ha chiesto il rinnovo del suddetto permesso.

Con atto del 29 maggio 2006 il Questore di Latina ha respinto l’istanza. Nella motivazione, in buona sostanza, si dà atto che l’interessato aveva fatto regolare ingresso in Italia il 15 luglio 2000 con visto d’ingresso e nulla osta provvisorio del competente Ufficio Immigrazione, sulla base di una proposta di assunzione seguita poi da regolare contratto di lavoro; e che di conseguenza aveva ottenuto il permesso di soggiorno del quale ora veniva chiesto il rinnovo.

Nessun cenno veniva fatto riguardo ad illeciti o semplici irregolarità verificatisi dopo il suddetto ingresso del 2000. Peraltro era emerso che in precedenza e cioè nel 1999 l’interessato era stato espulso e che pertanto il reingresso nell’anno 2000 era stato effettuato in violazione del divieto derivante da quell’atto di espulsione. Conclusivamente il Questore osservava che, non potendo l’interessato fare lecitamente ingresso in Italia, il permesso di soggiorno non poteva essere rinnovato.

2. L’interessato ha fatto ricorso al T.A.R. Latina. Il ricorso è stato accolto con il seguente argomento; se è vero che il primo permesso di soggiorno (anno 2000) era stato rilasciato erroneamente, stante la perdurante preclusione determinata dalla espulsione del 1999, la Questura comunque non poteva esimersi dal considerare se quella originaria preclusione non si potesse ritenere superata dalle circostanze sopravvenute.

3. L’Amministrazione propone appello. L’interessato non si è costituito.

4. Il Collegio osserva che in astratta linea di principio la tesi sostenuta dall’Avvocatura dello Stato si può ritenere condivisibile.

Infatti il decreto di espulsione emesso nei confronti dell’interessato nel 1999 comportava il divieto di fare ritorno in Italia entro i successivi cinque anni, salvo che venisse rilasciata un’apposita e speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno. In questa situazione il permesso di soggiorno rilasciato nel 2000 dal Questore non era valido, non avendo il Questore il potere di eludere gli effetti del provvedimento di espulsione e tanto meno di revocarlo.

5. Incidentalmente va notato che la Questura ha giustificato l’errore commesso nel 2000 – e dunque il ritardo nella scoperta del vizio invalidante il permesso di soggiorno – perché l’espulsione del 1999 era stata decretata con riferimento ad altre (false) generalità.

A questo proposito il Collegio osserva che benché negli scritti difensivi dell’Amministrazione si adombri che l’interessato si fosse reso responsabile del reato di dichiarazione di false generalità, non risulta che sia stata presentata una denuncia per siffatto reato. In effetti, per quanto possa rilevare, il Collegio osserva che la difformità riguardava solamente la grafìa del cognome dell’interessato (X. invece del corretto X.) mentre tutti gli altri elementi (nome proprio, data di nascita) risultavano conformi. In questa situazione è ragionevole supporre che non vi sia stata dichiarazione di false generalità, ma solo un errore di trascrizione da parte dei funzionari di P.S. che hanno compilato gli atti del procedimento di espulsione.

In ogni modo, questo dettaglio delle diverse generalità appare irrilevante ai fini del presente giudizio.

6. Ciò premesso, il Collegio osserva che nondimeno, nella concretezza della fattispecie, si deve giungere a conclusioni favorevoli all’interessato, e ciò sulla base di un argomento contenuto (sia pure per accenni) nel ricorso di primo grado.

Si deve infatti tener conto della circostanza che coevamente alla vicenda del (mancato) rinnovo del permesso di soggiorno era stato emanato il decreto legge n. 195/2002, convertito in legge n. 222/2002, che com’è noto ha consentito la regolarizzazione dei rapporti di lavoro "nero" degli extracomunitari clandestini. Condizione essenziale della sanatoria era che vi fosse stata prestazione di lavoro nel trimestre compreso fra il 10 giugno e il 10 settembre 2002 e che il lavoratore straniero non avesse precedenti penali ovvero processi in corso e simili. Potevano essere regolarizzati anche gli stranieri che si trovassero in Italia in violazione di un provvedimento di espulsione ancora valido; in tal caso la sanatoria implicava la revoca dell’espulsione. Il beneficio tuttavia non veniva concesso se con l’espulsione concorressero altri elementi negativi ovvero si trattasse di una espulsione caratterizzata da determinate motivazioni.

Dall’analisi di queste disposizioni e dal loro confronto con ciò che risulta dagli atti emerge che se al momento dell’emanazione del decreto legge n. 195/2002 l’attuale appellato si fosse trovato in Italia quale lavoratore clandestino in violazione del provvedimento di espulsione del 1999, egli avrebbe potuto senza dubbio beneficiare della sanatoria. A parte quella espulsione, infatti, non sono stati evidenziati a suo carico altri elementi ostativi, sicché l’espulsione sarebbe stata revocata di diritto per effetto della regolarizzazione. Sta di fatto, inoltre, che l’interessato ha prestato attività lavorativa prima, durante e dopo il trimestre giugnosettembre 2002 (la circostanza si può dare per pacifica, così come è pacifico che si trattasse di un rapporto di lavoro debitamente formalizzato).

Paradossalmente, dunque, l’unica ragione per cui l’interessato non ha potuto avvalersi della sanatoria del 2002 è che in quel momento egli si trovava in Italia non quale clandestino, bensì quale titolare di un permesso di soggiorno apparentemente del tutto regolare (ancorché viziato come poi è emerso) e con un rapporto di lavoro altrettanto regolare. La sua condizione era dunque giuridicamente poziore rispetto a quella dei beneficiari della sanatoria. Sarebbe manifestamente illogico se adesso il permesso di soggiorno gli venisse negato in considerazione di quel decreto di espulsione del 1999 che sarebbe stato ope legis revocato se l’interessato si fosse avvalso della sanatoria del 2002.

7. In conclusione, l’appello va respinto dovendosi confermare la sentenza appellata, sia pure con diversa motivazione.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese, non essendovi stata costituzione di controparti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello. Nulla per le spese:

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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