Cons. Stato Sez. III, Sent., 11-07-2011, n. 4151

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.La ricorrente, cittadina del Marocco, impugnava dinanzi al Tar Veneto il provvedimento Cat A11.09/Uff. Immigrazione I° Sezione di rigetto della richiesta di rilascio di permesso di soggiorno per lavoro subordinato emesso dalla Questura di Venezia il 2.9.2009 e notificato l’11.2. 2010. La ricorrente esponeva di essere entrata in Italia il 2 maggio 2007 per motivi di lavoro subordinato su richiesta dalla signora N. A., ma di essersi dimessa dal posto di lavoro poco tempo dopo.

La Questura di Venezia respingeva la istanza di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro perchè la ricorrente non risultava avere prestato la propria opera lavorativa presso il datore di lavoro che aveva richiesto il nulla osta. Deduceva la ricorrente la violazione dell’articolo 5 comma 5 del d.lgs. 25 luglio 1998 n.286 e della circolare del Ministero dell’Interno 20 agosto 2007.

Il Tar respingeva il ricorso evidenziando che l’art. 22 del d.lgs. 25 luglio 1998 n.286 prevede che il rapporto di lavoro debba essere instaurato con il datore di lavoro che ha richiesto il nulla osta mentre la ricorrente, non ha mai dimostrato la volontà di procedere ad un effettiva assunzione, inoltre che la fattispecie non rientrava tra quelle previste dalla circolare del Ministero degli Interni del 7 luglio 2006 e del 20 agosto 2007 mentre il provvedimento impugnato costituiva esercizio di attività vincolata.

2. Nell’atto di appello la ricorrente assume la erroneità della sentenza del Tar. Alla camera di consiglio del 27 maggio fissata per l’esame della istanza cautelare, previo avviso alle parti della possibilità della adozione di una sentenza in forma semplificata, la causa veniva trattenuta dal Collegio per la decisione.

3. Espone la ricorrente di avere fatto ingresso in Italia munita di regolare visto concesso a seguito di autorizzazione al lavoro rilasciata dallo sportello unico per l’immigrazione di Trieste in qualità di collaboratrice domestica dalla signora N. A., residente a Trieste in via Udine n.28.

Poichè le mansioni che le venivano richieste risultavano più adatte ad un infermiera professionale che ad una badante la ricorrente si dimettava restando senza lavoro.

Successivamente la ricorrente riusciva quindi a reperire una diversa attività lavorativa alle dipendenze, prima della società Ortofrutta Castello e successivamente alle dipendenze della Ambra Servizi Società Cooperativa dove ha lavorato sino al momento della notifica del gravato provvedimento di diniego.

Nel frattempo la Questura di Venezia comunicava alla odierna ricorrente che all’esito di alcuni accertamenti sulla documentazione prodotta a sostegno della richiesta di rilascio del permesso di soggiorno erano state riscontrate delle presunte irregolarità in merito al rapporto di lavoro originariamente dichiarato. Risultava infatti a carico della signora J. un procedimento penale incardinatosi presso la Procura della Repubblica di Trieste per il reato di cui agli artt. 479, 48 e 110 c.p..

La Questura respingeva quindi la domanda della ricorrente di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro. La ricorrente esponeva dinanzi al Tar che nelle more del procedimento amministrativo volto alla disamina della posizione della appellante la stessa avesse reperito altra attività lavorativa, che d’altro canto il procedimento penale instaurato era stato archiviato con provvedimento del 16.1.2010.

Erronea quindi sarebbe la sentenza del primo giudice nel non tenere in alcun conto dell’avvenuta archiviazione del procedimento penale all’epoca incardinato a carico della signora Jasi risultando evidente che il presupposto che aveva giustificato il diniego notificato dalla Questura alla appellante e cioè la falsità del rapporto intercorso con la signora Acimovic era assolutamente indimostrato.

Verrebbe in applicazione nella fattispecie l’art. 5 del d.lgs. 286 del 1998 essendo sopraggiunti nuovi elementi che sebbene non presenti al momento della domanda lo sono in un momento appena successivo e che consentono il rilascio del permesso di soggiorno.

4.L’appello non merita accoglimento.

L’ingresso in Italia di stranieri per motivi di lavoro avviene sulla base delle esigenze manifestate dai futuri datori di lavoro che debbono al riguardo ottenere una specifica autorizzazione, sulla base degli impegni da assumere nei confronti del lavoratore, con rilascio del relativo nulla osta nei limiti consentiti dalla disciplina normativa, periodicamente emanata in materia di flussi migratori, secondo scelte che attengono sia alla quantità che alla qualità dei nuovi ingressi di cittadini stranieri, in termini ritenuti compatibili con le esigenze e con la capacità di accoglienza del Paese ospitante. Discende da quanto sopra, l’indubbia rilevanza del rispetto dell’iter procedurale previsto, dal momento in cui il singolo cittadino straniero riceve un’offerta di lavoro al successivo ingresso in Italia del medesimo, fino al concreto avvio del rapporto contrattuale, alla cui formazione, sia il datore di lavoro che il lavoratore si sono impegnati. Tenuto conto della reciprocità e della valenza pubblicistica di tali obblighi, la vigente normativa prevede forme sia di controllo che di tutela delle parti disponendo che il datore di lavoro, che omette di comunicare allo sportello unico per l’immigrazione qualunque variazione del rapporto di lavoro intervenuto con lo straniero, è punito con la sanzione amministrativa da 500 a 2.500 euro ed ancora (art. 22 comma 11, d.lg. n. 286 del 1998) che la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario; la stessa revoca del permesso, per sopravvenuta carenza dei requisiti di ingresso è, poi, prevista dall’art. 5, comma 5 del più volte citato d.lg. n. 286 del 1998, ma sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi, che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili.

Nel caso in esame, preso atto della avvenuta archiviazione della indagine penale a carico della ricorrente, rileva la Sezione che l’atto impugnato, adottato dalla Questura di Venezia, evidenzia che il visto di ingresso alla ricorrente era stato rilasciato sin dalla origine ai fini dello svolgimento di un rapporto di lavoro in forma subordinata a tempo indeterminato ma che non vi erano elementi significativi, dalla documentazione prodotta, che il rapporto di lavoro fosse stato mai instaurato con il titolare del nulla osta, né che sia stata comunicata dalla istante allo sportello unico della immigrazione la indisponibilità del datore di lavoro alla assunzione ai sensi della circolare del Ministero dell’Interno 20 agosto 2007, ed ancora che la titolare del nulla osta non si era fatta carico di provvedere al ritorno in patria della ricorrente come stabilito dall’art. 5 bis comma 1 lettera b) del d.lgs.vo 286/1998.

In sostanza emerge dalla documentazione che l’ingresso in Italia della ricorrente non era stato effettivamente finalizzato alla costituzione di un reale rapporto di lavoro, ma era stato attivato per consentire un ingresso nel territorio nazionale per la ricerca di soluzioni lavorative del tutto aleatorie, da rinvenire successivamente in una situazione di illegalità sin dall’origine, non aderente ai motivi legittimanti l’ingresso in territorio italiano dello straniero. Tali conclusioni della Questura risultano confermate dalla stessa ricorrente che a pagina 2 del ricorso introduttivo, riconosce di essersi dimessa volontariamente dopo breve tempo dal lavoro.

Senonchè la ricorrente, come previsto dalla sopradetta circolare del 20 agosto 2007, non ha richiesto il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione allegando alla domanda una apposita dichiarazione a firma dei responsabile dello sportello unico dell’immigrazione in ordine ai motivi della mancata formalizzazione dell’assunzione o alla cessazione del rapporto.

5. La istante incentra l’appello sulla mancata valutazione di nuovi elementi sopravvenuti in base all’art. 5 co.5 del T.U. Immigrazione.

Al riguardo deve tenersi conto che il provvedimento della Questura porta la data del 2.9.2009 mentre il provvedimento di archiviazione richiamato dalla ricorrente porta la data del 16.1.2010 ed ancora che non si hanno elementi univoci quanto ai nuovi rapporti lavorativi instaurati.

In materia di rilascio del permesso di soggiorno, se è vero che l’Amministrazione deve tenere conto di situazioni sopravvenute, ciò vale solo con riguardo a fatti e circostanze intervenuti fino al momento di adozione del provvedimento impugnato, mentre, se sopravvenute rispetto al provvedimento stesso, tali circostanze non sono in grado di minarne la legittimità. Ciò, peraltro, non esclude che l’interessato possa sottoporre all’Amministrazione una nuova istanza di rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5 comma 5, d.lg. n. 286 del 1998, che dia rilievo ai sopraggiunti nuovi elementi, se ed in quanto effettivamente intervenuti nelle more.

6.L’appello pertanto non merita accoglimento.

7. Spese ed onorari attesa la natura del petitum possono essere compensati.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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