Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-03-2011) 06-07-2011, n. 26297 Custodia cautelare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 4 agosto 2010, depositata il successivo 7 agosto, il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha confermato l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, il 16 luglio 2010, di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di G.D., sottoposto ad indagini, insieme a numerose altre persone, per il delitto di partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta, operante nella provincia di Reggio Calabria, nel territorio nazionale (Italia settentrionale) e all’estero (Australia, Canada, Germania e Svizzera), secondo un’organizzazione criminale transnazionale, articolata, nella regione calabrese, in ventiquattro unità territoriali di base, chiamate "locali", e in cinque aggregazioni più estese, corrispondenti alle "società" di Rosarno, Polistena, Reggio Calabria, Melito di Porto Salvo e Siderno, suddivise nei tre "mandamenti" di Reggio Calabria (al centro), ionico (ad est) e tirrenico (ad ovest), con un organo di vertice, detto "Provincia", avente funzioni di coordinamento tra le plurime locali e società, di controllo e risoluzione di eventuali controversie, di garanzia del rispetto delle regole e di applicazione delle sanzioni nei confronti dei trasgressori.

L’attuale ricorrente, G.D., è indicato come partecipante alla locale di Uliveto (ubicata nella parte meridionale della città di Reggio Calabria), insieme con il padre, G. A., con i fratelli, G.N. (avente il ruolo di dirigente ed organizzatore) e Ga.An., e con G. C. e C.S..

Dopo avere illustrato la rilevante funzione esercitata, nell’ambito della ‘ndrangheta, da G.N., fratello dell’indagato e coinvolto nella medesima indagine (denominata "Operazione crimine"), per gli stretti rapporti trattenuti dallo stesso con l’organismo associativo di vertice, "Provincia", e per la sua partecipazione ai momenti decisionali più solenni della ‘ndrangheta, tra cui l’annuale riunione, il 2 settembre, dei capi delle varie articolazioni territoriali presso il santuario aspromontano della Madonna della Montagna, in (OMISSIS), al fine di formalizzare il conferimento di cariche mafiose preventivamente ponderate e discusse dagli esponenti locali di maggiore rilievo, il Tribunale esamina la specifica posizione di G.D. e individua i gravi indizi della sua partecipazione al sodalizio criminale negli elementi di seguito indicati.

Il primo elemento è costituito dalla conversazione in data 31 luglio 2008 tra G.N. e F.G., a bordo dell’autovettura Mercedes nella disponibilità del primo, oggetto di intercettazione ambientale, nella quale il G., interpellato dal F., a sua volta sottoposto ad indagini come componente di spicco della ‘ndrangheta, gli dice di avere due fratelli, entrambi graduati, uno con la carica ‘ndranghetistlca di quartino e l’altro con quella di trequartino, senza specificare la precisa distribuzione di esse tra i germani, Ga.An. (classe (OMISSIS)) e l’attuale ricorrente, G.D. (classe (OMISSIS)); la spontaneità della confidenza e la totale assenza di elementi millantatori o calunniatori nelle dichiarazioni di G.N., unitamente al livello criminale di entrambi gli interlocutori e alla coerenza della dichiarata appartenenza dei componenti della famiglia alla ‘ndrangheta, la quale fonda proprio sui legami parentali uno dei principali fattori della sua coesione e solidità, costituiscono, secondo il Tribunale del riesame, d’accordo con la valutazione del Giudice per le indagini preliminari, elementi che conferiscono piena attendibilità all’indicazione di G.D. come appartenente alla ‘ndrangheta senza la necessità di riscontri esterni individualizzanti, non applicandosi alle dichiarazioni eteroaccusatorie captate nel corso di intercettazioni telefoniche o ambientali la regola di giudizio, prevista dall’art. 192 c.p.p., comma 3, per la chiamata in correità nel corso di procedimento penale.

Il secondo elemento indiziario di ritenuta pregnanza è costituito da un viaggio in Sicilia compiuto, il 4 gennaio 2009, dallo stesso G.D. insieme al fratello Nicola e ad un amico dello stesso D., tale D.D.A. di Reggio Calabria, il quale conosceva a Catania una persona, identificata in C.C. G., vicina al clan Santapaola, la quale avrebbe dovuto aiutarli ad evitare che gli arredi (poltrone e divani) di una società calabrese, individuata nella Eraclea Sofà, con sede in Rovereto di Isola di Capo Rizzuto (KR), protetta dagli Oppedisano di Rosarno (altra famiglia della ‘ndrangheta il cui anziano capo, O.D., classe (OMISSIS), insignito del massimo titolo di capo crimine, era al vertice dell’intera "provincia"), fossero esclusi dall’esposizione in un centro commerciale della città etnea.

Dalle battute della conversazione a tre, svoltasi a bordo dell’autovettura Mercedes, in uso a G.N., nel corso del viaggio da Reggio Calabria a Catania, sarebbe emerso, secondo il Tribunale, il livello criminale di tutti gli interlocutori per la rivendicazione di autorità da parte del D.D. "faccio fare come dico io"); per la relativizzazione delle minacce solo "verbali" che sarebbero state adoperate dallo stesso D.D., secondo il rassicurante commento di G.D.; per lo scambio di favori esplicitamente evocato dall’indagato con la frase, riferita alle persone che il D.D. avrebbe contattato in Sicilia per fare un favore agli amici dei G. e degli O.: "Se si può aggiustare a noi ci fanno… una grande cortesia… quando hanno bisogno là a Reggio… di qualsiasi cosa, che ci disturbino… ci mettiamo a disposizione"; per il riferimento del D.D. ad un suo influente cugino che "in questo momento – testuali parole – è sotto con Santapaola", nel senso, di seguito specificato, che era detenuto nel carcere milanese di Opera, dove, come precisa sempre il D.D., è ristretto anche R.T..

Lo sviluppo successivo della vicenda sarà infruttuoso, poichè la società gestrice del centro commerciale, tale "Cogest Italia s.r.l.", definita sprezzantemente come sbirraglia, nel corso di successive telefonate intercettate sull’utenza di G.N., non accederà alle pressioni mirate a permettere l’esposizione dei divani della società calabrese protetta dai G., e nondimeno, secondo il Tribunale, le conversazioni captate e le modalità dell’intervento nonchè il contesto da esse evocato deporrebbero inequivocabilmente per l’elevata caratura criminale degli interlocutori e, in particolare, per il loro consolidato inserimento in compagini delinquenziali di estesa ramificazione.

La ritenuta esistenza di un grave quadro indiziario di appartenenza di G.D. all’associazione mafiosa e l’insussistenza di elementi per ritenere cessati i suoi vincoli criminali hanno, quindi, consentito al Tribunale di apprezzare positivamente le esigenze cautelari e di confermare l’applicazione all’indagato della misura di massimo rigore.

2. Avverso la predetta ordinanza ricorre il G., tramite il suo difensore, articolando due motivi.

2.1. Con il primo motivo deduce violazione di norme processuali e mancanza di motivazione a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), in relazione all’art. 273 c.p.p., comma 1-bis, art. 125 c.p.p., art. 192 c.p.p., comma 1 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e).

Il ricorrente rileva che la valutazione della gravità indiziaria in sede cautelare deve seguire le stesse regole di giudizio imposte per la valutazione della prova nel giudizio, sussistendo solo una differenza quantitativa tra gli elementi probatori nelle due suddette fasi, nel senso che i dati cautelari sono cartolari e allo stato degli atti, pur suscettibili di sviluppi e approfondimenti nel prosieguo, mentre prevalentemente orale e dialettico è il compendio probatorio che si forma nel corso del giudizio.

La regola di valutazione, tuttavia, rimane costante e, pertanto, nel caso di dichiarazioni eteroaccusatorie è necessario disporre di riscontri individualizzanti, nella specie del tutto carenti con riguardo all’indicazione dei propri fratelli, da parte di G. N., come appartenenti alla ‘ndrangheta.

D’altronde sussisterebbe anche un elemento logico contrario alla credibilità della detta indicazione, costituito dal fatto che F.G. ignorava la presunta partecipazione alla ‘ndrangheta dei fratelli del suo interlocutore, ciò che è decisamente incompatibile con l’elevato rango criminale allo stesso F. attribuito dai giudici della cautela.

Del tutto arbitraria, poi, sarebbe la deduzione della partecipazione di G.D. alla ‘ndrangheta dalla presunta militanza dei suoi congiunti nel medesimo sodalizio, sulla base di una ricognizione degli organigrammi criminali fondata sul solo vincolo parentale, in contrasto con i fondamentali principi di personalità della responsabilità penale e di tassatività e tipicità dei comportamenti punibili.

2.2. Con il secondo motivo si deduce la carenza motivazionale anche con riguardo alle inferenze indiziarie che il Tribunale ha ritenuto di trarre dal viaggio in Sicilia compiuto dai fratelli G., N. e D., insieme a D.D.A..

Non vi sarebbe, infatti, alcuna prova che l’intervento dell’indagato sia stato attuato in una prospettiva associativa, anzichè in una dimensione individuale e familiare; i dati acquisiti, inoltre, non consentirebbero di ravvisare l’esplicazione di alcuna forza intimidatoria nella promozione della permanenza degli arredi della società raccomandata nell’area espositiva del centro commerciale siciliano; al contrario, l’esito infruttuoso dell’intervento testimonierebbe proprio il contrario e, cioè, che si trattò di un tentativo di favorire un’impresa amica del tutto lecito; il ricorrente, G.D. si sarebbe limitato, in particolare, a fornire al fratello, Nicola, il numero di cellulare del referente del D.D. in Catania, il predetto C.C.G., senza più avere alcun contatto con quest’ultimo dopo il viaggio del 4 gennaio 2009, ad ulteriore dimostrazione che il suo coinvolgimento nella vicenda fu meramente episodico e di collegamento tra il fratello e gli altri soggetti, e, pertanto, assolutamente asintomatico della sua partecipazione all’associazione criminale e, tanto meno, dell’esercizio della forza intimidatoria derivante dai pretesi vincoli delinquenziali.

Motivi della decisione

3.1. Il primo motivo è inammissibile.

Esso postula, quanto alla denunciata violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., l’assimilazione dell’indicazione di G.D. come appartenente alla ‘ndrangheta proveniente dal fratello dello stesso, G.N., inserito nella medesima associazione criminale, nel corso di una conversazione con F.G. tenutasi a bordo dell’autovettura del primo, ad una chiamata in correità da corroborare, anche in sede cautelare, con riscontri individualizzanti, in forza dell’art. 273 c.p.p., comma 1-bis e del rinvio in esso operato alle disposizioni dell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4.

Al contrario, la giurisprudenza di questa Corte ha già costantemente affermato che il contenuto di una intercettazione, anche quando si risolva in una precisa accusa in danno di terza persona, indicata come concorrente in un reato alla cui consumazione uno degli interlocutori dichiari di aver partecipato, non è in alcun senso equiparabile alla chiamata in correità e pertanto, se va anch’esso attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello probatorio, non è però soggetto, nella predetta valutazione, ai canoni di cui all’art 192, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 13614 del 19/01/2001, dep. 04/04/2001, Primerano, Rv. 218392; Sez. 5, n. 38413 del 07/02/2003, dep. 09/10/2003, Alvaro, Rv. 227411; Sez. 4, n. 35860 del 28/09/2006, dep. 26/10/2006, Della Ventura, Rv. 235020;

Sez. 5, n. 21878 del 26/03/2010, dep. 08/06/2010, Cavallaro, Rv.

247447).

Riguardo, poi, alle pur denunciate incongruenze motivazionali dell’impugnata ordinanza, la quale, in violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2, avrebbe accreditato le dichiarazioni di G. N., indicato dirigente della locale di Oliveto, circa l’affiliazione criminale di entrambi i suoi fratelli e, segnatamente, dell’attuale ricorrente, G.D., senza farsi carico dell’irrazionale ignoranza del preteso grado criminale di quest’ultimo da parte dell’interlocutore del dichiarante, F. G., a sua volta indicato come esponente di rilievo della ‘ndrangheta, trattasi di argomento non decisivo per escludere la riconosciuta elevata attendibilità dell’indicazione proveniente da G.N., del quale viene valorizzata dal Tribunale, con motivazione adeguata e coerente, la posizione di vertice ricoperta all’interno del sodalizio e il rapporto di stretta parentela con l’attuale ricorrente per escludere alcun intento calunniatorio o millantatorio nella sua attribuzione al fratello, G.D., della qualità di partecipe al sodalizio criminale.

3.2. E’ inammissibile anche il secondo motivo di ricorso, che si concentra nella critica della valenza gravemente indiziaria di appartenenza alla ‘ndrangheta del viaggio in Sicilia compiuto dal ricorrente insieme al proprio fratello, G.N., e a tale D.D.A., legato al clan "Santapaola" di Catania, al fine di contattare una persona influente nel territorio siciliano che avrebbe dovuto convincere il rappresentante della "Cogest Italia s.r.l." a mantenere in esposizione, presso un centro commerciale locale, i divani prodotti da un’impresa calabrese protetta da O. M. (classe (OMISSIS)), figlio dell’indicato capo crimine, O.D..

Ad avviso del ricorrente, il giudice della misura cautelare avrebbe arbitrariamente presunto la natura intimidatoria dell’intervento in ausilio dell’imprenditore calabrese, che, invece, alla stregua delle risultanze emergenti sia dai contenuti dei dialoghi tra i fratelli G., N. e D., e il D.D. captati a bordo dell’autovettura del primo, sia dell’esito infruttuoso della mediazione attestato dai contenuti delle successive comunicazioni telefoniche, che impegnarono solo G.N. e non anche l’attuale ricorrente, avrebbe dovuto essere esclusa.

Le predette argomentazioni si rivelano del tutto inidonee a configurare alcun vizio motivazionale, se rapportate al ricco apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata che, con valutazione adeguata e coerente, esalta lo specifico episodio evocato come emblematico della militanza mafiosa di G.D. per la caratura criminale degli interlocutori e dei loro indicati referenti;

per il progetto perseguito (agevolazione di un imprenditore calabrese, titolare dell’Eraclea Sofà" di Isola Capo Rizzuto, in violazione delle regole della corretta concorrenza); per i chiari accenni al metodo da adottare, allusivo e indiretto; per lo scambio di favori che gli esponenti della cosca calabrese, per bocca dello stesso G.D., promettono all’emissario della mafia siciliana, D.D., nell’auspicato aggiustamento, grazie all’intervento di tale C.C.G., soggetto organico al clan "Santapaola" contattato dal D.D., del problema dell’imprenditore calabrese in terra di Sicilia.

La pure addotta circostanza dell’esito infruttuoso dell’intervento è, infine, del tutto irrilevante anch’essa a configurare alcun vizio di legittimità del provvedimento impugnato, considerato che la contestazione cautelare per cui è stata disposta la limitazione della libertà personale del ricorrente attiene al solo delitto associativo e non al rilievo criminale dell’episodio in esame, con la conseguenza che esso è stato correttamente valutato nei limiti della sua rilevanza sintomatica della partecipazione di G.D. all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta.

4. L’inammissibilità del ricorso determina, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della sanzione pecuniaria che si stima equo determinare nella misura media, tra il minimo e il massimo previsto, di Euro 1.000,00.

La cancelleria provvedere alle comunicazioni previste dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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