Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-03-2011) 06-07-2011, n. 26296

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 5 agosto 2010 (depositata il successivo 20 settembre) il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., ha confermato l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, il 16 luglio 2010, di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Z.A., sottoposto ad indagini, insieme a numerose altre persone, per il delitto di partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta, operante nella provincia di Reggio Calabria, nel territorio nazionale (Italia settentrionale) e all’estero (Australia, Canada, Germania e Svizzera), secondo un’organizzazione criminale transnazionale, articolata, nella regione calabrese, in ventiquattro unità territoriali di base, chiamate "locali", e in cinque aggregazioni più estese, corrispondenti alle "società" di Rosarno, Polistena, Reggio Calabria, Melito di Porto Salvo e Siderno, suddivise nei tre "mandamenti" di Reggio Calabria (al centro), ionico (ad est) e tirrenico (ad ovest), con un organo di vertice, detto "Provincia", avente funzioni di coordinamento tra le plurime locali e società, di controllo e risoluzione di eventuali controversie, di garanzia del rispetto delle regole e di applicazione delle sanzioni nei confronti dei trasgressori.

L’attuale ricorrente, Z.A., detto (OMISSIS), è indicato come partecipante alla locale di Roghudi (località sulla costa ionica confinante, a sud, con il territorio di Melito di Porto Salvo), insieme con St.Ma.Gi. (capo ed organizzatore della locale), T.G., Si.

G., R.S. (già capo locale prima dello S.), M.G., M.A., S. S., Mo.Le. e Tr.Gi., con il compito di assicurare le comunicazioni tra gli associati, di partecipare alle riunioni ed eseguire le direttive degli organismi sovraordinati, nel rispetto delle gerarchie e delle regole interne del sodalizio.

L’ordinanza impugnata ha ravvisato i gravi indizi di colpevolezza a carico dello Z. nel contenuto di alcune conversazioni intercettate all’interno della casa, in (OMISSIS), di P. G. (classe (OMISSIS), alias G., esponente di vertice, appartenente ad altra locale, della medesima associazione criminale), il quale, mentre era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, tra il (OMISSIS), accolse nella sua abitazione diversi esponenti di altre locali e società vicine, affrontando, in particolare, l’urgente tema della successione a R.A. (deceduto per morte naturale il 10 gennaio 2010) nella direzione della locale di Roghudi.

In proposito, si fronteggiavano due posizioni: quella del P., appoggiato da Mo.Ro. (classe (OMISSIS)), figlio del più noto capo cosca Mo.Gi. detto (OMISSIS), e di altri eminenti rappresentanti di gruppi vicini, come C.P., i quali propugnavano una successione per linea diretta a favore del giovane Z.A. (attuale ricorrente), figlio di Z.L., fratello del patriarca del gruppo, Z. S., morto ammazzato insieme col figlio, M., nel (OMISSIS), nel corso della sanguinosa faida che aveva visto contrapposti i Z.- R., da una parte, e i p.- F., dall’altra parte, con vittoria conseguita dai primi; e la posizione sostenuta da L.A. (detto N.), componente di vertice della società di Reggio Calabria, e da T.G. (classe (OMISSIS), detto Gi.), i quali, appellandosi alla volontà del defunto capo, R.A., il quale avrebbe designato come suo successore lo stesso T. conferendogli il grado di quartino, superiore a quello di trequartino rivestito dal giovane Z., tendeva invece a favorire l’ascesa del T..

La designazione del nuovo gruppo dirigente della locale di Roghudi, dopo sei anni di sanguinosa "guerra" mafiosa, dal 1992 al 1998, che aveva visto vincitori i Z.- R. anche grazie all’appoggio loro dato dai Mo., era resa particolarmente difficoltosa dalla diversità di grado dei candidati (il giovane Z., da un lato, e il più titolato e anziano T., dall’altro); dal fatto che fosse ancora in vita il padre del defunto capo, R.S. (classe (OMISSIS)), il quale non era interessato, anche per ragioni di età, ad assumere la direzione del gruppo; e dalla circostanza che il cugino omonimo dell’attuale ricorrente, Z.A., detto (OMISSIS), figlio dello storico capo cosca, Z.S., era detenuto in espiazione di lunga pena e, perciò, impossibilitato ad assumere il comando.

Al termine di plurimi incontri e discussioni tra il Pelle ed eminenti personaggi dei gruppi criminali vicini, tutti interessati al nuovo assetto del potere mafioso in Roghudi, con la partecipazione anche di esponenti della società di Reggio Calabria sud, tra cui il predetto L.A., Pr.Se., G.N. e G.F., questi ultimi più favorevoli alla candidatura di T.G., e previa riunione tenutasi nel marzo 2010 nel capoluogo reggino, finalmente, nell’aprile 2010, si raggiunse un compromesso che assegnava la direzione della locale a St.

M.G. (detto (OMISSIS)), già vicino agli Z., e posizioni di pari rango a Z.A. e T.G., per evitare insoddisfazioni e rancori reciproci e assicurare stabilità e sicurezza alla cellula criminale riorganizzata.

Il Tribunale, quindi, sulla base del contenuto delle conversazioni captate di chiara ed univoca significatività, dell’indiscutibile attendibilità dei conversanti (tutti elementi di vertice della ‘ndrangheta), e del contesto storico-logistico in cui si inserivano i dialoghi captati nell’urgenza di riorganizzare l’apparato dirigente della locale di Rodughi in modo tale da garantire sia la continuità e fedeltà alle tradizionali regole della ‘ndrangheta, sia l’avanzamento dei giovani rampolli della famiglia vincente senza umiliare gli altri pur quotati aspiranti, ha ritenuto che vi fossero elementi sufficienti e gravi per indiziare Z.A., esplicitamente menzionato in numerose conversazioni, di appartenenza alla ‘ndrangheta con un ruolo di sicura rilevanza nella locale di Roghudi, presumendo le esigenze cautelari per l’attualità del suo inserimento nel sodalizio mafioso di consolidato radicamento territoriale, con la conseguente adeguatezza della sola misura carceraria a fronteggiarle.

2. Avverso la predetta ordinanza ricorre per cassazione lo Zavtttieri, tramite il suo difensore, deducendo violazione di legge e mancanza di motivazione a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 273 c.p.p., e art. 416 bis c.p..

Dopo aver premesso ampli richiami alla giurisprudenza di legittimità sui requisiti che gli indizi di colpevolezza devono indefettibilmente possedere per giustificare la limitazione della libertà personale e sul ridotto valore probatorio da attribuire alle conversazioni inter alios con riguardo alla condotta criminale del soggetto terzo, sia che si ritenga applicabile la regola di giudizio di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3, sia che si postuli come sufficiente, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, quella di cui allo stesso art. 192 c.p.p., comma 2, il ricorrente denuncia il difetto di motivazione con riguardo ai ritenuti gravi indizi di colpevolezza a carico dello Z. per le seguenti ragioni:

2.1. incertezza di identificazione dell’indagato, poichè, contrariamente a quanto sostenuto nell’ordinanza, egli non sarebbe mai stato designato col soprannome di (OMISSIS), non pronunciato dagli interlocutori e, comunque, riferibile al solo padre del ricorrente;

2.2. i certificati anagrafici prodotti dal difensore, in sede di udienza camerale davanti al Tribunale del riesame, attesterebbero che ben sette persone portano il nome di Z.A., nel comune di Roghudi, e non vi sarebbe alcun elemento idoneo a giustificare l’identificazione nell’attuale indagato della persona menzionata, con quel nome, nelle conversazioni intercettate;

2.3. non risponderebbe, inoltre, ad alcuna logica, in applicazione della regola di successione per linea retta nel comando criminale, sostenuta nell’ordinanza impugnata, la mancata designazione come capo della locale del padre vivente dell’indagato, Z.L., già imputato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso ed assolto con sentenza irrevocabile della Corte di assise di Reggio Calabria del 22 aprile 2002;

2.4. il Tribunale avrebbe dato una risposta puramente apodittica e congetturale all’obiezione difensiva circa l’impossibilità, da parte dell’indagato, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza ( (OMISSIS)), di recarsi a (OMISSIS) per la riunione di ‘ndrangheta del giorno (OMISSIS), in cui avrebbe ricevuto "un fiore" (id est: un avanzamento di grado), come si afferma in una delle conversazioni captate;

2.5. nell’intercettazione del 10 marzo 2010 il riferimento a Z.A. andrebbe inteso come richiamo a (OMISSIS), cugino omonimo dell’attuale indagato, che, invece, non sarebbe mai stato specificamente evocato con il suo nome o con il preteso soprannome di (OMISSIS);

2.6. inesistente sarebbe, poi, il rapporto di parentela tra St.Ma.Gi. ((OMISSIS)) e l’attuale indagato, Z.A., al quale si fa riferimento in un altro passaggio di un dialogo captato;

2.7. Il Tribunale avrebbe, inoltre, omesso di rendere ragione di un brano della conversazione del 10 marzo 2010 nel quale gli interlocutori alludono all’uguale età dei candidati al comando, ciò che escluderebbe l’indagato (nato nel (OMISSIS)), ben venti anni dopo T.G. (nato nel (OMISSIS)), quale competitore di quest’ultimo per la direzione della locale di Roghudi, tanto più che a Roghudi esiste un altro Z.A., nato nel (OMISSIS) e, quindi, coetaneo del T.;

2.8. il ricorrente, infine, non sarebbe mai stato segnalato in compagnia degli altri coindagati e, in particolare, di C. P., Mo.Ro. e St.Ma.Gi., i quali, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero svolto il ruolo di intermediari tra lo stesso Z.A. e P. G..

Da tutti i predetti elementi il difensore deduce la violazione di legge e, comunque, il difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata per palese carenza del quadro indiziario a carico di Z. A.: in primo luogo, per l’insuperata incertezza della sua identificazione; in secondo luogo, perchè la sua presunta partecipazione al sodalizio criminale sarebbe affidata al contenuto di colloqui tra terzi privi di alcun elemento incrociato di controllo.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile perchè ripropone tutte le censure sollevate nella richiesta di riesame, alle quali il Tribunale ha già dato adeguata risposta nel provvedimento impugnato, e richiede a questa Corte la non consentita rivalutazione della valenza indiziaria dei medesimi elementi.

L’ordinanza impugnata con motivazione coerente e puntuale, immune da vizi logici e giuridici, ha già esaminato e superato tutte le obiezioni difensive intese a negare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dello Z., come segue.

3.1. Ha, innanzitutto, affermato che non possono nutrirsi dubbi sull’identificazione nel ricorrente della persona chiamata " N." e " N." e, in un’occasione, designata con il nome completo di " Z.A.", nel corso delle conversazioni captate nella casa del Pe. con riguardo alla nomina del nuovo capo locale di Roghudi. L’esistenza di numerosi omonimi del ricorrente nello stesso Comune, come da certificazione anagrafica prodotta dal difensore, non esclude, secondo la ponderata valutazione del Tribunale, che la persona di cui si parla nelle conversazioni di interesse investigativo sia l’attuale indagato, tenuto conto del tema in discussione, del contesto socio-criminale di riferimento, e del fatto che solo l’indagato appartiene all’omonima famiglia coinvolta nella sanguinosa faida che vide contrapposti i Z.- R., da un lato, e i p.- F., dall’altro, con vittoria dei primi.

3.2. Quanto al soprannome di Orma, che i conversanti intercettati non avrebbero mai usato con riferimento allo Z. e che apparterrebbe esclusivamente al padre dello stesso, Z. L., trattasi di elemento adeguatamente valutato nell’ordinanza impugnata come non ostativo all’identificazione della persona evocata nell’attuale indagato, posto che i soprannomi, soprattutto nei centri di modeste dimensioni come Roghudi, sono comunemente riferiti al gruppo familiare, essendo utilizzati per indicare la gens di appartenenza piuttosto che il singolo individuo, argomento, quest’ultimo, non specificamente contestato dal ricorrente e, comunque, di valenza marginale nella ricca argomentazione motivazionale a sostegno dell’operata identificazione.

3.3. Riguardo poi all’esistenza di un cugino omonimo del ricorrente, Z.A., soprannominato (OMISSIS), figlio dello storico capo cosca, Z.S., assassinato il (OMISSIS), l’esclusione dello stesso dal novero di candidati alla direzione della locale di Roghudi, evocati nelle discussioni captate in casa Pelle, è pure adeguatamente motivata con lo stato di detenzione del predetto Z., in espiazione di pena con scadenza prevista nel lontano 2029, e, quindi, nell’impossibilità di assumere la reggenza della cellula criminale.

3.4. La pretesa illogicità, per contrasto con la regola della successione in linea retta, della promozione del ricorrente a capo locale invece del proprio padre, Z.L., già imputato di associazione di tipo mafioso ed assolto con sentenza irrevocabile della Corte di assise di Reggio Calabria in data 22 aprile 2002, è motivatamente esclusa nell’ordinanza impugnata con l’osservazione che il principio successorio non va inteso come ereditarietà stricto sensu della carica criminale, ma nel senso che il successore deve essere individuato tra gli esponenti della stessa famiglia/fazione del predecessore, nel rispetto dei "sacrifici" fatti, nel caso in esame, dal nucleo vincente degli Z.- R. durante la precedente faida degli anni novanta, e con attenzione a promuovere i giovani della famiglia a compiti di maggiore responsabilità nel sodalizio criminale di appartenenza.

3.5. La pur contestata impossibilità che il ricorrente abbia potuto partecipare alla riunione di ‘ndrangheta svoltasi a Reggio Calabria il (OMISSIS), di cui C.P. parla con P. G. nella conversazione del precedente 7 marzo, atteso che Z.A. era, all’epoca, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza di (OMISSIS) e non poteva, perciò, recarsi a Reggio Calabria, postula, secondo la motivata valutazione del Tribunale del riesame, un irrealistico rigore nell’osservanza delle prescrizioni da parte dei prevenuti in un contesto socio- territoriale, come quello in esame, ad alta densità criminale, e altrettanti improbabili stringenti controlli delle forze dell’ordine;

in ogni caso, trattasi di obiezione del tutto irrilevante nell’economia del giudizio sulla gravità indiziaria, perchè, come pure coerentemente motivato nel provvedimento impugnato, lo Z., su consiglio dei suoi sostenitori, Pe.Gi. e Mo.Ro., non si sarebbe recato, nella predetta occasione, a Reggio Calabria, in attesa di chiarire la posizione del T. e di superare il contrasto sulla successione che, all’epoca, li divideva.

3.6. Quanto alla rilevanza probatoria delle dichiarazioni eteroaccusatorie, lo stesso ricorrente ammette che il contenuto di una intercettazione, anche quando si risolva in una precisa accusa in danno di una terza persona, non è equiparabile alla chiamata in correità e pertanto, pur dovendo essere attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello probatorio, non è però soggetto, nella predetta valutazione, ai canoni di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3, (Sez. 5, n. 21878 del 26/03/2010, dep. 08/06/2010, Cavallaro, Rv. 247447; Sez. 5, n. 38413 del 07/02/2003, dep. 09/10/2003, Alvaro, Rv. 227411). Ciò premesso, il ricorrente non deduce specifici vizi motivazionali, oltre quelli già sopra indicati e adeguatamente confutati dal giudice del riesame, nella valutazione dei contenuti delle conversazioni tra presenti richiamanti la persona dell’indagato, connotandosi pertanto il motivo in esame come generico.

3.7. Le altre omissioni e incongruenze motivazionali denunciate (allusione, in una conversazione captata, alla stessa età che avrebbero avuto i competitori per la direzione della locale di Roghudi, mentre lo Z. è di ben 20 anni più giovane del T.; inesistenza di un legame di parentela tra lo Z. e St.Ma.Gi., pur evocato nella conversazione intercettata in data 11/03/2010; assenza di segnalazioni dell’attuale ricorrente in compagnia di altri coindagati) attengono a circostanze di non determinante rilievo per incrinare il grave quadro indiziario emerso a carico dello Z. sulla base di tutti gli altri elementi, sopra riassunti, puntualmente esaminati e valutati nella diffusa motivazione dell’ordinanza impugnata.

4. L’inammissibilità del ricorso determina, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della sanzione pecuniaria che si stima equo determinare nella misura media, tra il minimo e il massimo previsto, di Euro 1.000,00.

La cancelleria provvederà alle comunicazioni previste dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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