Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-03-2011) 06-07-2011, n. 26292

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 2 luglio 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha respinto la richiesta di riesame e confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere (successivamente sostituita con la misura degli arresti domiciliari) emessa il 25 maggio 2010 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, a carico di G. L., sottoposta ad indagini per i reati di concorso in due fatti di ricettazione (capi U e UU della rubrica); di concorso in estorsione continuata e aggravata in danno di M.G. e M.P., rispettivamente socio accomandante e socio accomandatario della Arcobaleno Hotel Residence s.a.s., con sede in (OMISSIS), dove, il 23 giugno 2007, G.L. aveva festeggiato le sue nozze con B.V., costringendo, secondo la contestazione, con implicite minacce, gli albergatori M. a rinunciare alla metà dell’importo loro dovuto quale corrispettivo per il ricevimento nuziale, e consegnando ai predetti la somma di Euro 10.000,00 anzichè quella di Euro 21.000,00, procurandosi così un ingiusto profitto con danno delle persone offese, reato aggravato ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, convertito nella L. n. 203 del 1991 (capo Z); e, ancora, del delitto previsto dall’art. 416-bis cod. pen., perchè, recandosi ai colloqui con il padre, G.G., capo dell’omonima cosca e detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo, avrebbe fornito un costante contributo alla vita dell’associazione di tipo mafioso consistito nell’aggiornamento del congiunto sugli avvenimenti più recenti, nella comunicazione di messaggi e informazioni da parte degli altri affiliati fuori dal carcere, e, più in generale, nel mettersi a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando alla realizzazione del programma criminoso (capo TT).

Dopo un’ampia premessa relativa al radicamento della cosca Gallico nel territorio di Palmi e alla sua attuale operatività, segnalata dalla partecipazione alla spartizione dei proventi derivanti dalle attività estorsive e, in particolare, da quelle relative ai lavori di ammodernamento dell’autostrada A3, Salerno – Reggio Calabria, nel tratto corrispondente al 5^ macrolotto interessante, tra gli altri, i territori di Rosarno, Gioia Tauro, Palmi, Barriteri e Seminara, per i quali, come riferito dal collaboratore di giustizia D.D. A., le cosche locali (Pesce-Bellocco di Rosarno, Piromalli di Gioia Tauro, Gallico di Palmi, Santaiti-Gioffrè-Laganà di Seminara e Bruzzise di Barritteri) avevano raggiunto un accordo sparti torio su base territoriale che prevedeva una tangente del 3% (cd. tassa ambientale) sull’Importo del capitolato d’appalto, da imporre nelle rispettive zone di dominio criminale, il Tribunale ha richiamato, con riguardo alla specifica posizione di G.L., i contenuti delle conversazioni ambientali captate all’interno del carcere dove era detenuto G.G., dai quali sarebbe emerso il ruolo di postina del genitore nei riguardi degli altri affiliati svolto dalla stessa G., la quale, insieme ai suoi più stretti congiunti (madre, sorella e fratello), avrebbe ricevuto denaro di provenienza illecita, conoscendone la derivazione da attività estorsiva, e avrebbe direttamente partecipato all’estorsione in danno degli imprenditori M. in occasione del ricevimento per le sue nozze, avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen., ovvero della forza di intimidazione discendente dalla fama criminale della cosca Gallico, saldamente radicata e tuttora attiva nel territorio di Palmi, alla quale avrebbero dato un significativo ed efficace contributo, secondo l’ordinanza, proprio le donne dell’estesa famiglia mafiosa, gelose custodi del suo potere territoriale e fedeli perpetuataci delle prassi criminali per conto e in accordo sia con i congiunti detenuti, sia con quelli liberi.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la G., tramite il suo difensore, avvocato Filippa Orlando del foro di Palmi, deducendo tre motivi.

2.1. Con il primo motivo la ricorrente censura la totale mancanza di motivazione in relazione alla contestata esistenza di gravi indizi di colpevolezza, a suo carico, per il delitto di cui al capo UU) presunta ricettazione commessa in concorso con la madre, S. M.C., la sorella, G.I.A., e la moglie dello zio, I.G., compreso nell’ordinanza genetica di applicazione della misura cautelare, ma per nulla considerato dal Tribunale del riesame, nonostante le specifiche doglianze sollevate dalla G. anche con riguardo al detto reato.

2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e mancanza di motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza degli altri reati attribuitile.

Quanto al capo U), che contesta alla ricorrente di aver concorso, insieme alla madre, alla sorella e al fratello, G.A. (classe (OMISSIS)), nel delitto di ricettazione, per aver ricevuto una parte dei proventi derivanti dall’estorsione in danno dei fratelli Campagna di Seminare, contestata a G.T. e G.R. (rispettivamente sorella e fratello del detenuto G.G. e zii paterni dell’indagata), i gravi indizi a carico della G. consisterebbero nel contenuto di una conversazione, tenutasi il 22 febbraio 2007 nella casa circondariale di Secondigliano, in Napoli, tra G.G., da un lato, e la moglie, S.M. C., con il figlio, G.A., dall’altro, alla quale la ricorrente rimase del tutto estranea, rivelatrice, secondo la tesi accusatoria, della distribuzione del denaro proveniente dalle attività estorsive tra tutti i componenti della numerosa famiglia con la consegna della quota spettante a G.G. alla moglie, S., la quale, a sua volta, la distribuiva ai figli, nella comune consapevolezza della sua provenienza delittuosa.

Anche la conversazione dell’11 gennaio 2007, intercorsa tra il padre, G.G., da una parte, e i figli G.I. A. e G.A., nonchè la madre, S.M. C., dall’altra, nella quale il giovane A. aveva riferito al genitore che parte della somma proveniente dalla presunta estorsione in danno dei fratelli C. era stata loro consegnata, sarebbe avvenuta senza la presenza di G.L. e senza che alla stessa fosse stato fatto alcun riferimento da parte dei congiunti colloquianti.

Il Giudice per le indagini preliminari, prima, e il Tribunale del riesame, poi, avrebbero dunque attribuito l’ipotizzata ricettazione all’indagata in assenza di alcun concreto indizio a suo carico e in violazione della disposizione di cui all’art. 273 c.p.p., comma 1- bis, la quale, in caso di dichiarazioni etero accusatorie provenienti da altri coindagati, impone la verifica di riscontri non limitati alla generica sussistenza del fatto, ma estesi alla riferibilita di esso alla persona indicata come autrice o coautrice del medesimo fatto.

Con riguardo, poi, al delitto di cui al capo Z) (presunto concorso di G.L., con il padre, la madre e la zia, G.T.) nell’estorsione in danno degli imprenditori M., gestori dell’hotel ristorante Arcobaleno, dove la giovane festeggiò, il 23 giugno 2007, le sue nozze con B.V., i giudici della misura cautelare non avrebbero precisato il contributo causale apportato dall’indagata alla consumazione dell’ipotizzato reato, posto che, nella conversazione in data 21 marzo 2007, G.L. aveva confidato al padre detenuto di non essere a conoscenza del presunto progetto estorsivo e, nella conversazione del 23 agosto 2007, successiva alle nozze, G.G. aveva appreso dai fratelli della ricorrente, A. e I.A., che per il matrimonio era stata pagata la somma di Euro 10.000,00 mentre le direttive impartite dal genitore escludevano qualsiasi pagamento.

In merito, infine, al delitto associativo, di cui al capo TT), il ruolo di intermediaria e postina per conto del padre detenuto e quello di collegamento tra lo stesso e lo zio parimenti detenuto, G.D., attribuito all’indagata, sarebbe anch’esso sfornito di alcun concreto fondamento.

La conversazione del 28 giugno 2007 tra G.G. e G. L. era costellata di "non so, a me non hanno detto niente, non è che vengono a dirmelo a me" pronunciati dall’indagata, e del tutto neutro sarebbe poi il contenuto del colloquio tra la stessa indagata e lo zio, G.D., detenuto nel carcere di Messina, avvenuto tre giorni dopo le sue nozze e, quindi, all’indomani di un evento familiare di sicura rilevanza giustificante la visita della donna anche agli altri congiunti detenuti, riferito dalla giovane al padre nel predetto incontro del 28 giugno, nell’ambito di rapporti strettamente familiari senza alcuna notizia trasmessa, tramite la G., da un fratello all’altro relativa agli interessi e alle attività criminali dell’omonima cosca.

In sintesi, al di fuori della questione connessa al pagamento del prezzo del suo ricevimento nuziale peraltro gestita da altri congiunti, la ricorrente non sarebbe stata coinvolta in alcuna specifica attività di supposta natura illecita; non avrebbe commesso reati fine nè partecipato attivamente alla vita della presunta associazione criminale, con la conseguente assenza di alcun indizio di un suo concreto contributo causale alla cosca mafiosa, tale non potendo ritenersi neppure il fatto di avere occasionalmente accompagnato la zia, G.T., su richiesta della stessa, a Rosarno e a Cittanova, prima delle sue nozze.

2.3. Con il terzo motivo di gravame la ricorrente lamenta l’omessa motivazione, da parte del Tribunale del riesame, degli elementi pur specificamente addotti a superamento della presunzione di pericolosità sociale di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, essendo emersa l’inesistenza di stabili e attuali legami associativi della G., considerata la sua giovane età e l’anagrafica estraneità al complesso passato criminale della consorteria familiare, così come privo di fondamento, nelle fonti probatorie, sarebbe il pericolo di inquinamento probatorio, di fuga o di reiterazione della condotta criminosa.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è fondato per la totale mancanza di motivazione in ordine ai contestati presupposti della misura custodiate applicata per il delitto di ricettazione di cui al capo UU) e per il sussistente vizio di motivazione a sostegno dell’applicazione della medesima misura per gli altri delitti contestati alla G. ai capi U), Z) e TT).

Il punto critico delle doglianze mosse dalla ricorrente, non adeguatamente risolto dall’investito Tribunale del riesame, riguarda la non tracciata linea di demarcazione tra la conoscenza delle attività della cosca a composizione familiare, con i benefici economici da esse discendenti per la G. come per gli altri componenti dell’esteso gruppo parentale, e la ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza della sua partecipazione all’associazione e del concorso nei reati fine di estorsione e ricettazione in danno, rispettivamente, degli imprenditori M. e C., l’una e gli altri postulanti uno specifico e consapevole contributo causale apportato dalla G. ai fatti contestati.

I vantaggi in termini economici e di influenza locale, fruiti dai singoli componenti di una famiglia mafiosa di lunga e perdurante militanza criminale nel territorio sottoposto alle sue vessazioni, non sono sufficienti a configurare la condotta di partecipazione dei beneficiari all’associazione, che richiede un "rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi" (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, dep. 20/09/2005, Mannino, Rv. 231670).

L’ordinanza impugnata, fondata sui contenuti di conversazioni carcerarie a molte delle quali la G. neppure prese parte (c.f.r. i colloqui dell’11 gennaio e del 22 febbraio 2007), non chiarisce la condotta di partecipazione della ricorrente al sodalizio criminale facente capo al proprio padre, G.G., e ai fratelli di quest’ultimo, e, neppure, quella di concorso nei reati fine ipotizzati.

In particolare, lo specifico ruolo di postina tra i due fratelli detenuti, G.G. e G.D., è attribuito alla ricorrente sulla base di un colloquio in carcere col padre, svoltosi il 28 giugno 2007, nel quale G.L., novella sposa, riferì al genitore di aver fatto visita, due giorni prima, allo zio, G.D., detenuto nel carcere di Messina, chiarendogli il contenuto di una lettera inviatagli dal proprio padre a proposito della revisione di un "antico processo", all’esito del quale G. G. era stato condannato all’ergastolo per il delitto di omicidio, missiva di cui G.D. aveva chiesto spiegazioni alla sorella, G.T., la quale non era stata in grado di dargliele, donde l’intervento chiarificatore della nipote, L..

Nell’episodio richiamato nel predetto colloquio, dunque, la ricorrente si limitò a chiarire il contenuto strettamente personale di una missiva inviata da un fratello all’altro, senza che il giudice del riesame abbia dato ragione della valenza gravemente indiziaria ad esso attribuita rispetto alla ritenuta partecipazione della G. all’associazione criminale diretta dal padre, e senza che siano stati indicati altri specifici elementi a sostegno della condotta partecipativa, se non il vago riferimento ad accompagnamenti in autovettura della zia, G.T., a Cittanova e a Rosarno, dove solo quest’ultima avrebbe incontrato presunti appartenenti alla ‘ndrangheta.

Gli altri colloqui captati in carcere, aventi per oggetto la regolamentazione economica del ricevimento nuziale che vide come protagonista la stessa G.L. e il suo sposo, B. V., evidenziano la volontà di G.G. di non pagare il costo del pranzo nuziale, secondo un’inveterata tradizione estorsiva della propria famiglia (citati colloqui dell’11 gennaio e del 22 febbraio 2007), condivisa da G.L. (colloquio del 24 maggio 2007 nell’imminenza delle nozze), e l’incarico conferito dal boss detenuto al fratello, G.C., all’epoca in libertà vigilata, di imporre agli imprenditori M. il servizio gratuito alla propria figlia, concedendo al massimo che fosse solo lo sposo a pagare la sua quota per i propri ospiti.

L’ordinanza impugnata assume, senza darne adeguata giustificazione motivazionale, l’immediata inferenza dai predetti colloqui del concreto contributo causale che la stessa G. avrebbe apportato all’attività estorsiva, che, invece, risulta espressamente delegata da G.G. ad altri più autorevoli congiunti: il predetto "zio C." appositamente "mandato", e il figlio dello stesso G.G., A. detto " N.", fratello dell’indagata, il quale avrebbe dovuto parlare ai M. a nome del padre (c.f.r., al riguardo, il trascritto contenuto della conversazione captata il 28 giugno 2007).

Non solo.

In altro successivo colloquio del 23 agosto 2007, cui non partecipò la ricorrente, G.G., visitato dai propri figli, A. e I.A., diede sfogo con accenti vivaci a tutto il suo disappunto per l’invadente intromissione nella vicenda della propria sorella, G.T., la quale, senza informare i congiunti direttamente interessati, aveva concordato con i M. il pagamento, effettivamente attuato, della somma di Euro 10.000,00 corrispondente alla metà di quanto loro dovuto per il ricevimento nuziale, restando, pertanto, ulteriormente confermata, alla stregua degli elementi indicati nell’ordinanza impugnata, l’estraneità di G.L., pur informata delle modalità operative della famiglia e con essa concorde, alla gestione dell’estorsione in danno dei M..

In sintesi, la mera conoscenza e approvazione, da parte dell’indagata, della condotta estorsiva, affidata e attuata da altri componenti del suo nucleo familiare, non può ritenersi sufficiente ad integrare la sua partecipazione ad essa anche solo in termini di rafforzamento o agevolazione dell’attività criminosa, materialmente eseguita da altri, in assenza di uno specifico contributo, causalmente rilevante, apportato dalla stessa ricorrente, del quale non vi è traccia nel provvedimento impugnato.

4. Si impone, dunque, in punto di non motivata sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati di ricettazione, estorsione e associazione per delinquere di tipo mafioso a carico di G. L., l’annullamento della gravata ordinanza, con il conseguente rinvio per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., restando assorbito l’ulteriore motivo di censura in tema di ricorrenza delle esigenze cautelari, peraltro soggette alla presunzione relativa di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, in relazione all’ipotizzato delitto associativo e al reato di estorsione aggravata ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 convertito nella L. n. 203 del 1991, cit..

L’attuale stato di custodia domiciliare della G. esclude la comunicazione di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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