Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 28-06-2011) 07-07-2011, n. 26606

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 21 settembre 2010, il Tribunale di Catanzaro, accogliendo parzialmente la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di P.G. avverso l’ordinanza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale il 10 settembre 2010, con la quale era stata applicata nei confronti del predetto la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di tentata estorsione pluriaggravata, ha escluso l’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 confermando nel la impugnata ordinanza e la misura applicata.

Propone ricorso per cassazione il difensore il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Si rileva, infatti, che è ben vero che l’indagato si fosse più volte recato nel cantiere della parte offesa con atteggiamento di intimidazione, ma ciò solo per ottenere il pagamento dei lavori effettuati e non per procurarsi un ingiusto profitto. Pertanto, il reato ravvisabile non è la tentata estorsione, ma, semmai, il reato di minaccia odi esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Nè sussisterebbero le prospettate esigenze cautelari stante la personalità dell’indagato, incensurato e privo di pendenze, e la occasionalità del comportamento.

Il ricorso è palesemente inammissibile in quanto il ricorrente si limita a formulare generiche ed assertive doglianze che si concentrano esclusivamente su profili di fatto, già tutti ampiamente scandagliati dal giudice del riesame in termini del tutto congrui agli effetti della verifica dei presupposti che legittimano l’applicazione della misura applicata. I motivi rassegnati dal ricorrente risultano, dunque, solo formalmente evocativi dei prospettati vizi di legittimità, ma in concreto sono articolati esclusivamente sulla base di generiche deduzioni di merito, tendenti ad una rivalutazione delle relative statuizioni adottate dalla Corte territoriale. Statuizioni, per di più, sviluppate sulla base di un esauriente corredo argomentativo, proprio sui punti in relazione ai quali il ricorrente ha svolto le proprie censure, evidentemente tese ad un improprio riesame del fatto, estraneo al perimetro entro il quale può svolgersi il sindacato riservato a questa Corte.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza a norma dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *