T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 11-07-2011, n. 6175 concorrenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con provvedimento del 15 luglio 2009, AGCM ha avviato un’istruttoria, ai sensi dell’art. 14 della legge 10 ottobre 1990 n. 287 nei confronti di MasterCard Incorporated, MasterCard International Incorporated, MasterCard Europe S.p.r.l., Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., Banca Nazionale del Lavoro, Banca Sella Holding S.p.A., B.B. plc, Deutsche Bank S.p.A., Intesa SanPaolo S.p.A., ICBPI S.p.A. e Unicredit S.p.A. al fine di accertare se "la struttura ed il funzionamento del circuito MasterCard e dei contratti di licenza stipulati tra lo stesso circuito e i licenziatari acquirer" possano configurare fattispecie restrittive della concorrenza.

In particolare:

– i contratti di licenza sottoscritti da MasterCard e gli acquirer del circuito prevedono, per ogni singola transazione in circolarità effettuata con carta di pagamento, che l’acquirer corrisponda all’issuer una commissione interbancaria ("MIF" o "interchange fee");

– tali interchange fee sono stabilite dal circuito MasterCard in misura uniforme a parità di tipologia di carta e di transazione e rappresenterebbero, pertanto, una voce di costo omogenea e comune per tutti gli acquirer;

– le interchange fee verrebbero poi riversate a valle, "sulla base dei contratti di licenza", rappresentando una delle principali ed uniformi voci di costo della cd. merchant fee, cioè la commissione che ciascun esercente paga alla banca con la quale è convenzionato.

B., come anche le altre parti coinvolte nel procedimento, ha presentato impegni ai sensi dell’art. 14ter della legge 287/1990, rigettati dall’Autorità in quanto ritenuti manifestamente inadeguati.

Con provvedimento notificato il 28 maggio 2010, AGCM ha inviato a B. la Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (CRI).

In data 13 ottobre 2010 si è svolta l’audizione finale di tutte le parti coinvolte; mentre, il successivo 27 ottobre 2010, il Tribunale Amministrativo del Lazio, con sentenza n. 33474, ha annullato, nei limiti di cui in motivazione, la decisione dell’AGCM del 22 dicembre 2009 con la quale I’AGCM aveva rigettato gli impegni presentati da MasterCard in quanto manifestamente inadeguati, stabilendo che "l’Autorità procedente dovrà nuovamente valutare se gli impegni proposti siano satisfattivi al fine di eliminare i profili anticoncorrenziali in relazione ai quali è stato avviato il procedimento, nel qual caso la delibera del 22 dicembre 2009, per come emendata dalle parti illegittime, rimarrà vincolante per la ricorrente ed il procedimento sarà suscettibile di chiusura senza l’accertamento di alcuna infrazione".

Con provvedimento del 3 novembre 2010, AGCM ha sanzionato MasterCard in relazione alla sola asserita intesa orizzontale, sanzionando invece le banche in relazione alla asserita intesa consistente in un fascio di intese verticali.

Nel provvedimento, AGCM ha deliberato che MasterCard e le sue società licenziatarie, ivi inclusa B., avrebbero posto in essere un fascio di intese verticali – costituito dai contratti di licenza – in violazione dell’art. 101 TFUE, "in quanto avente per oggetto ed effetto non solo il trasferimento sulla merchant fee delle MIF, come sopra definite, ma anche l’adozione di specifiche clausole con gli esercenti nell’interesse di entrambe le parti del contratto di licenza a diffondere il marchio con la MIF più elevata in assenza di confronti competitivi tra i circuiti e tra le banche"; ed ha, conseguentemente, irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria pari a Euro 50.000,00 a B., con riferimento alla asserita pratica verticale, ordinando che essa si astenga in futuro "dall’applicazione di regole del circuito, cui rinviano i contratti di licenza, e di clausole nei contratti con i merchant, che limitano il confronto competitivo nel mercato dell’acquiring".

Questi i motivi di censura:

1) Violazione dell’art. 3 della legge 241/1990 per difetto di istruttoria eccesso di potere conseguente alla erronea rappresentazione dei presupposti assunti a fondamento della decisione. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla qualifica di MasterCard nei termini di una associazione di imprese e con riferimento alla rilevanza della posizione di B. al suo interno.

Nel considerare che MasterCard possa essere qualificata come associazione di imprese, AGCM si sarebbe basata su un chiaro travisamento dei fatti, discostandosi dai principi di diritto europeo applicabili.

AGCM, dopo aver sostenuto che le licenziatarie parteciperebbero alle decisioni di MasterCard sulle MIF direttamente e indirettamente tramite il Global Board e lo European Board, conclude che ciò consentirebbe di qualificare tali decisioni come deliberazioni di associazione di imprese.

Il processo di individuazione dei primi amministratori, nel maggio 2006, dimostrerebbe, al contrario, l’indipendenza di questi ultimi, non riconducibili – nemmeno indirettamente – alle banche.

Nell’escludere che la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione – i 9 eletti dagli azionisti di Classe A su un totale di 12 – siano nominati o riconducibili neppure indirettamente alle banche ed ai loro interessi, assume conseguentemente parte ricorrente che la conclusione di AGCM secondo la quale sarebbe dimostrato il "ruolo attivo" delle licenziatarie nelle nomine del Global Board, sia del tutto infondata ed erronea in fatto e in diritto.

Analoghe considerazioni vengono espresse quanto alla conclusione di AGCM secondo la quale "le MIF risultano definite dal circuito attraverso gli organi di governance dello stesso, ai quali partecipano direttamente e indirettamente le licenziatarie".

Le casistiche italiana ed europea dimostrano che – anche se il concetto di "associazione di imprese" è stato utilizzato in contesti e nei confronti di entità diverse, ivi incluse cooperative agricole, ordini professionali, associazioni noprofit – al fine di stabilire l’esistenza di una associazione di imprese è necessario verificare che le delibere di tali organismi o enti siano assunte da organi o soggetti direttamente riconducibili ai membri dell’associazione.

Nessuno dei criteri individuabili al fine di stabilire l’esistenza di una associazione di imprese sarebbe soddisfatto nel caso di MasterCard, in quanto il capitale con diritto di voto di MasterCard non è detenuto dalle banche, il suo Global Board non è nominato dalle banche (salvo che per una sparuta minoranza) ed agisce (almeno anche) nell’interesse di tutto il circuito MasterCard (azionisti, titolari di carte di pagamento, esercenti).

L’AGCM, dunque, nel discostarsi dall’interpretazione data dalle Corti comunitarie all’applicabilità dell’art. 101 TFUE, avrebbe violato il principio della supremazia del diritto europeo.

Se, come dalla ricorrente sostenuto, le banche non hanno il potere di decidere le MIF e se, conseguentemente, MasterCard non agisce quale associazione delle banche nel loro esclusivo interesse, l’adesione al circuito ed alle sue regole non costituirebbe una intesa orizzontale tra le banche, ma il normale funzionamento di ogni rapporto verticale tra licenziante e licenziatario, dove il licenziatario accetta le regole del circuito, ivi inclusa la definizione della MIF.

Nell’assumere che la propria posizione è quella di mera licenziataria di MasterCard, che subisce la imposizione del pagamento della MIF. Evidenzia B. che AGCM non avrebbe chiarito il discrimine, nel caso concreto, tra un rapporto puramente verticale (ad esempio, di licenza o di franchising) e il supposto accordo orizzontale.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 101.1 TFUE. Violazione e mancata applicazione dell’art. 101.3 TFUE. Eccesso di potere per erronea rappresentazione dei presupposti in ordine alla asserita esistenza di una intesa orizzontale. Violazione dell’art. 3 della l. 241/1990 per difetto di istruttoria ed insufficienza di motivazione. Eccesso di potere per violazione dei canoni di imparzialità e buon andamento conseguenti alla ingiustificata inversione dell’onere della prova relativamente all’esistenza degli elementi costitutivi del preteso illecito.

Secondo AGCM, le decisioni relative alle MIF intranazionali costituirebbero deliberazioni di un’associazione di imprese, rappresentata dal circuito MasterCard, e si configurerebbero come una intesa restrittiva della concorrenza avente ad oggetto la definizione coordinata di una comune soglia minima, in assenza di analisi e giustificazioni economiche, con la sola finalità di separare le MIF italiane dalle MIF crossborder e di mantenerle ad un livello elevato.

AGCM non ha dimostrato che la fissazione di una MIF comune rientri nel campo di applicazione dell’art. 101 TFUE, né ha verificato se l’eventuale restrizione derivante dalla fissazione di una interchange fee comune fosse ragionevolmente necessaria per il funzionamento del circuito MasterCard e, dunque, se il sistema quadripartito potesse funzionare anche in assenza di una MIF comune.

L’Autorità ha omesso di considerare che la fissazione di una interchange fee comune è necessaria per il funzionamento del circuito MasterCard, in quanto il fine della MIF è quello di consentire il funzionamento stesso del circuito, l’adesione allo stesso di tutte le banche (anche di quelle di piccole o medie dimensioni che non potrebbero altrimenti parteciparvi non essendo in grado di concludere innumerevoli accordi bilaterali) e la velocità delle transazioni, evitando al contempo il rischio che il consumatore si trovi nella impossibilità di procedere ad un pagamento a causa della mancanza di un accordo bilaterale tra la sua banca emittente e quella con la quale l’esercente è convenzionato.

Né AGCM avrebbe provato che l’accordo avesse l’effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza, con riveniente violazione dell’obbligo di motivazione dato che incombe sull’Autorità la prova che una determinata condotta costituisca una infrazione all’art. 101, paragrafo 1.

Le MIF hanno formato aggetto di decisioni di esenzione nel passato, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo in quanto, in considerazione dei rischi concorrenziali connessi alla fissazione centralizzata delle commissioni interbancarie, occorre valutarne la compatibilità con la normativa sulla concorrenza seguendo un approccio di efficienza complessiva del sistema.

Nell’escludere di essere in alcun modo coinvolta nella determinazione delle MIF, le quali sono stabilite unilateralmente dalla licenziante MasterCard, sostiene B. di non essere in grado di valutare appieno se le MIF come stabilite da MasterCard rispondano ai requisiti cumulativi di cui all’art. 101, paragrafo 3, pur dando atto della presenza di numerosi profili di incongruenza nelle argomentazioni sul punto sviluppate dall’Autorità; la quale avrebbe considerato illecita la fissazione della MIF domestica non in base al fatto che una analisi economica ha dimostrato che essa è eccessiva ed ingiustificata, ma per il fatto che MasterCard avrebbe basato la determinazione della MIF nel 2007 su una valutazione "empirica" dei costi ad essa connessi.

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 101.1 TFUE. Violazione e falsa applicazione del regolamento 330/2010. Eccesso di potere per erronea rappresentazione dei presupposti assunti a fondamento della decisione in ordine alla asserita esistenza di una intesa verticale. Violazione dell’ art. 3 della l. 241/1990 per insufficienza della motivazione. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà della motivazione.

L’Autorità ha sostenuto che "attraverso i contratti di licenza tra il circuito MasterCard e le singole banche si realizza, non solo il trasferimento da parte delle licenziatarie/acquirer delle MIF, come sopra definite dall’intesa orizzontale, sulle merchant fee, ma le licenziatarie pongono in essere condotte che amplificano l’impatto delle commissioni interbancarie, garantendone l’applicazione in assenza di rischi competitivi a vantaggio delle stesse licenziatarie e del circuito".

Secondo AGCM, le banche introdurrebbero nei contratti di convenzionamento con gli esercenti alcune clausole aventi la "finalità di assicurare alle banche stesse e al circuito che le MIF, da quest’ultimo definite, siano trasferite sulle merchant fee in assenza di confronti competitivi con altri circuiti (blending), strumenti di pagamento (NDR), tipi di carte (HACR) e di transazione (onus), così producendo la massima diffusione proprio del circuito con MIF più elevate, nel comune interesse del circuito e delle banche.

Nell’ipotesi in cui l’adito giudice dovesse condividere le conclusioni dell’AGCM sull’esistenza di una intesa orizzontale costituita delle MIF e negare la pur esplicitata funzionalità e dipendenza dell’asserito fascio di intese verticali rispetto alla intesa orizzontale, deduce parte ricorrente le argomentazioni di seguito riportate.

La possibilità di revoca dell’esenzione per categoria da parte dell’autorità nazionale è prevista dal Regolamento n. 330/2010 con riferimento a quelle situazioni nelle quali l’accesso al mercato rilevante o la concorrenza al suo interno risultino significativamente limitati dall’effetto cumulativo di reti parallele di accordi verticali simili posti in essere da fornitori o acquirenti concorrenti.

Nel caso in esame, non solo le clausole considerate da AGCM non comporterebbero alcun rischio di chiusura del mercato, ma, soprattutto, ciò non è mai stato nemmeno ipotizzato dall’Autorità.

Come indicato negli Orientamenti sulle restrizioni verticali della Commissione Europea, inoltre, la responsabilità per gli effetti cumulativi anticoncorrenziali può essere attribuita solo a quelle imprese che vi contribuiscono in misura significativa, mentre gli accordi conclusi da imprese il cui contributo all’effetto cumulativo è insignificante non ricadono nel divieto sancito dall’art. 101, paragrafo l, del trattato, e non sono pertanto soggetti al meccanismo di revoca.

Data la ridotta quota di mercato attribuibile a B. (inferiore all’1%, la contestazione relativa all’eventuale effetto di cumulo derivante dall’applicazione generalizzata di determinate clausole non sarebbe applicabile a B..

Inoltre, una volta stabilito che il mercato è effettivamente di difficile accesso per i concorrenti, occorre anche verificare se il singolo contratto contribuisca in modo significativo all’effetto di blocco.

L’Autorità ha sanzionato le banche per l’asseritamente illecito "fascio di intese verticali", reiterando affermazioni già comprese nella CRI, secondo le quali la restrittività di tale fascio di intese verticali sarebbe "dimostrata pertanto nell’oggetto in quanto finalizzato non solo a trasferire a valle le MIF, attraverso le merchant fee, ma anche ad amplificarne l’impatto, attraverso le sopra citate clausole con i merchant", sulla base di una indimostrata comunanza di interessi tra circuito e banche, reciprocamente avvantaggiate dal livello elevato delle MIF.

Nell’ipotesi in cui I’AGCM, pur menzionando l’effetto cumulativo, abbia voluto invece contestare alle banche violazioni di tipo diverso, viene rilevata una palese contraddizione e conseguente vizio di motivazione, sia per il fatto di avere AGCM ingenerato confusione, riferendosi al Regolamento n. 330/2010, sia per non aver fornito alcun diverso inquadramento giuridico al concetto di "fascio di intese verticali" utilizzato per sanzionare le banche, con conseguente violazione dell’obbligo di motivazione.

In ogni caso, sia per l’ipotesi dei cumulo sia per l’ipotesi di altra contestazione verticale, si evidenziano una violazione di legge e del principio di supremazia del diritto comunitario nonché la più totale assenza di motivazione in ordine alla responsabilità attribuita a B., per non avere L’AGCM considerato che – quale che sia la costruzione giuridica applicata – il contratto di licenza tra MasterCard e B. (che asseritamente costituirebbe intesa verticale illecita) non ricadrebbe affatto nell’ambito di applicazione dell’art. 101 TFUE, ma nella categoria di quegli accordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza.

Nell’osservare come l’Autorità abbia sanzionato esclusivamente MasterCard in relazione all’intesa orizzontale e le banche esclusivamente con riferimento al "fascio di intese verticali", rileva la ricorrente come il provvedimento non evidenzi quale sia la contestazione che le viene mossa in relazione all’aspetto "verticale" per il quale essa è stata sanzionata.

Se, in vari punti del provvedimento, AGCM identifica il "fascio di accordi verticali" illeciti nei contratti di licenza conclusi tra MasterCard e ciascuna delle licenziatarie, attribuendo loro valenza autonoma di illecito verticale, in altri punti l’adesione al circuito MasterCard tramite i contratti di licenza è diversamente riguardata come la dimostrazione della consapevole adesione delle banche alla intesa orizzontale.

Non è inoltre chiaro se il trasferimento a valle della MIF costituisca (secondo AGCM) una violazione verticale e ulteriore rispetto alle clausole contenute nei contratti di convenzionamento.

Se, come detto, AGCM identifica il "fascio di intese verticali" illecite nei contratti di licenza, essa ha, tuttavia, sanzionato le banche in ragione delle clausole contenute nei contratti di convenzionamento.

Quanto sopra osservato denoterebbe la completa assenza di ogni logica nella teoria di un "fascio di intese verticali", in quanto il ribaltamento a valle della MIF sulla merchant fee non potrebbe che essere considerato quale mera attuazione deil’intesa orizzontale, correndosi diversamente il rischio di sanzionare due volte la stessa condotta, con conseguente inassoggettabilità di B. per tale aspetto orizzontale, per il quale AGCM ha ritenuto responsabile la sola MasterCard.

4) Nel merito, sul fascio di intese verticali. Travisamento dei fatti, illogicità manifesta, assenza di motivazione.

La teoria della comunanza di interessi non è provata, è illogica e comunque inapplicabile a B..

Non solo la teoria del fascio di intese verticali sarebbe del tutto priva di fondamento ma AGCM giunge alle proprie conclusioni sulla base di mere affermazioni prive di qualunque elemento di prova e, a loro volta, fortemente illogiche.

L’AGCM afferma che vi sarebbe una comunanza di interessi tra circuito e banche per mantenere alte le MIF, in quanto il circuito sarebbe avvantaggiato dalla diffusione delle sue carte di pagamento, le licenziatarie vedrebbero aumentare i propri ricavi nel mercato della emissione di carte di pagamento (issuing), le banche acquirer "trasferendo sulla merchant fee l’identica MIF, estrarrebbero il margine di profitto in misura crescente al crescere della probabilità di avere transazioni con il circuito.

Nel rilevare come l’affermazione di una comunanza di interessi rimanga una pura assunzione di AGCM priva di qualunque elemento di prova e di alcuna analisi economica, osserva parte ricorrente che la teoria della cointeressenza presuppone che le licenziatarie siano attive sia sul lato issuing, sia sul lato acquiring (laddove, tanto maggiore è la MIF retrocessa all’issuer, tanto minore sarà il guadagno per la banca acquirer).

Non solo AGCM non ha effettuato una comparazione degli incentivi lato issuing e lato acquiring all’interno del circuito MasterCard per stabilire la reale esistenza dell’asserita comunanza di interessi, ma è del tutto mancata la comparazione degli incentivi tra circuiti (in ragione del fatto che le banche sono spesso – o nella quasi totalità dei casi – licenziatarie sia del circuito VISA sia del circuito MasterCard).

Non solo la teoria della comunanza di interessi rimarrebbe priva di prove e di analisi economica, ma essa – anche qualora provata – non sarebbe comunque applicabile a B..

Nell’osservare come il contratto di licenza concluso tra MasterCard e B. preveda esclusivamente che l’acquirer paghi la MIF all’issuer, non esisterebbe:

– alcuna previsione, obbligo o invito a trasferire l’intero costo rappresentato dalla MIF sull’esercente tramite la merchant fee;

– prova alcuna di un interesse da parte di B., net acquirer, a mantenere elevato il livello delle MIF.

Quanto alla clausola che obbliga gli acquirer e gli esercenti ad accettare tutte le carte del circuito (HACR), assume parte ricorrente che clausole verticali quali quella in oggetto – che risponde alla obiettiva necessità di assicurare la piena operatività ed universalità del circuito, evitando che il singolo consumatore subisca il rifiuto di accettare la sua carta di pagamento – non costituiscono una violazione dell’art. 101 TFUE in quanto "disciplinano il controllo indispensabile per la tutela dell’identità della reputazione della rete di distribuzione contraddistinta dall’insegna".

La teoria dell’AGCM secondo la quale tutte le banche includerebbero determinate clausole nei contratti di convenzionamento al solo fine di ampliare la diffusione del circuito con le MIF più alte sarebbe, poi, contraddetta dalla circostanza – rilevata dalla stessa Autorità – che dette clausole sono adottate in maniera parziale e differenziata dalle banche.

Nell’escludere la presenza di alcuna prova di un coinvolgimento di B. nell’asserito "fascio di intese verticali", assume la ricorrente che il provvedimento dovrebbe essere annullato, quanto meno, nei suoi confronti.

5) Violazione dell’art. 3 della l. 241/1990 per difetto di motivazione conseguente alla mancata valutazione delle difese esposte nelle osservazioni alla CRI. Violazione dell’art. 3 e dell’art. 10 della l. 241/1990 nonché dell’art. 14 della l. 287/1990 conseguente alla omessa considerazione delle deduzioni di B. nel corso della fase istruttoria.

Nel rilevare di avere contestato, con le proprie osservazioni, la CRI tanto in relazione al fondamento giuridico della ricostruzione avanzata da AGCM, quanto in relazione alla totale assenza di istruttoria in merito ai punti fondamentali di tale ricostruzione, si duole la ricorrente che nessuna delle relative argomentazioni sia stata valutata da AGCM nel conclusivo provvedimento, neppure al fine di confutarla.

6) Violazione del principio di economicità ed efficienza di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241 e dell’art. 2 della stessa legge per omessa sospensione del procedimento avente ad oggetto analoga questione pendente dinanzi al giudice dell’Unione Europea. Violazione del generale canone di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. Violazione dell’art. 3 della l. 241/1990 per omessa motivazione. Eccesso di potere per difetto di ragionevolezza e proporzionalità.

Nel rammentare di aver chiesto, sin dalle fasi iniziali della procedura, che AGCM sospendesse il procedimento avviato, in attesa dell’esito del ricorso presentato da MasterCard e altri dinanzi al Tribunale UE per l’annullamento (in tutto o in parte) della Decisione UE MasterCard – in presenza di un obiettivo interesse (di rilevanza anche pubblica) ad attendere la definizione del contenzioso pendente in sede europea, attesa la sostanziale assimilabilità delle questioni giuridiche trattate – evidenzia la ricorrente come il modus operandi seguito da AGCM non possa ritenersi conforme ai principi di economicità ed efficienza, atteso che anche il risultato finale dell’attività amministrativa posta in essere potrebbe rendersi inutile alla luce delle determinazioni che il Tribunale UE è in procinto di assumere.

7) Violazione dell’art. 3 della l. 241/1990 per insufficienza della motivazione del provvedimento di rigetto degli impegni. Eccesso di potere per illogicità della motivazione in ordine alla impossibilità di presentare impegni limitati nel tempo. Eccesso di potere per irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione.

Con riferimento alla decisione del 22 dicembre 2009, con la quale AGCM ha rigettato gli impegni proposti da B., viene censurata la determinazione dell’Autorità, nella parte riferita al carattere di temporaneità degli impegni stessi (previsto espressamente dall’art. 9 del Regolamento n. 1/2003), laddove la Commissione europea ha accettato gli impegni provvisori offerti da MasterCard nel caso europeo, temporalmente legati alla sentenza del Tribunale UE (e la stessa AGCM, in casi precedenti, ha accettato impegni temporalmente limitati).

Anche nel merito degli impegni assunti da B., la motivazione offerta da AGCM sarebbe arbitraria in quanto non coerente con gli impegni stessi.

Con riferimento al fatto che gli impegni di B. (e di tutte le altre banche) non potevano essere accettati in quanto condizionati all’accoglimento degli impegni di MasterCard, la ricorrente evidenzia che questa è la conseguenza naturale del fatto che le MIF sono stabilite unilateralmente da MasterCard e che B. non ha alcun potere di influenzarle.

Nel rammentare che il TAR Lazio ha annullato la decisione di AGCM di rigetto degli impegni di MasterCard con sentenza n. 33474 del 27 ottobre 2010, rileva parte ricorrente che tale decisione riverbera direttamente i suoi effetti anche nei confronti delle banche coinvolte e, per quanto qui rileva, nei confronti di B..

8) Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione della durata della infrazione. Eccesso di potere per difetto di proporzionalità nella irrogazione della sanzione.

L’AGCM afferma che nella quantificazione della sanzione essa ha tenuto conto anche della durata dell’intesa orizzontale e del fascio di intese verticali, identificando la data di inizio con il mese di aprile 2007, data di introduzione della MIF specifica per l’Italia.

Risulta palese l’errore in cui è incorsa AGCM con riferimento a B., posto che la banca ha cominciato ad operare in Italia solo a partire dalla fine del 2008, circostanza nota all’Autorità e mai contestata.

Ne consegue che sanzione è stata quantificata considerando un periodo almeno doppio rispetto a quello di effettiva durata della pretesa infrazione e che, pertanto, la sanzione dovrebbe essere

ricalcolata in funzione della effettiva minore durata dell’asserito illecito.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L’Autorità intimata, costituitasi in giudizio, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte dalla parte ricorrente, conclusivamente insistendo per la reiezione del gravame.

La domanda di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, dalla parte ricorrente proposta in via incidentale, è stata dalla Sezione accolta con ordinanza n. 884, pronunziata nella Camera di Consiglio del 10 marzo 2011.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 22 giugno 2011.

Motivi della decisione

1. Con ricorso n. 2203 del 2010, MasterCard Incorporated, MasterCard International Incorporated e MasterCard Europe S.p.r.l. hanno impugnato, dinanzi a questo Tribunale, il provvedimento con il quale AGCM, il 22 dicembre 2009, aveva rigettato gli impegni dalla stesse parti presentati ai sensi dell’art. 14ter della legge 287/1990 nel quadro del procedimento 1720 – Carte di credito.

Anche gli impegni presentati dagli altri Istituti di credito interessati dal medesimo procedimento – quantunque diversamente atteggiati anche in relazione alla specificità della posizione al riguardo vantata dai singoli soggetti – venivano parimenti rigettati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Tale determinazione – alla quale ha fatto, poi, seguito, il provvedimento oggetto del presente gravame – non veniva peraltro impugnata dai suddetti Istituti di credito in via autonoma, diversamente da quanto come sopra effettuato da MasterCard.

Impregiudicate, per il momento, le conseguenze riverberate sul presente giudizio dalla strategia processuale diversamente adottata dalle parti del procedimento di cui sopra, giova soggiungere che il giudizio incardinato da MasterCard avverso la decisione di rigetto degli impegni è stato da questa Sezione definito con sentenza n. 33474 del 16 novembre 2010.

Avverso la sentenza anzidetta, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato interponeva appello dinanzi alla Sezione VI del Consiglio di Stato, distinto al R.G. dell’anno 2011 con il n. 87.

La stessa Autorità, peraltro, nelle more della pubblicazione della decisione come sopra resa in prime cure, definiva il procedimento preordinato all’accertamento di violazioni antitrust, adottando, in data 3 novembre 2010, il provvedimento oggetto della presente impugnativa, con il quale:

– a MasterCard, qualificata come associazione di imprese, veniva ascritta la costituzione di un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, avente ad oggetto la definizione di una commissione interbancaria multilaterale (MIF) per i pagamenti con carta di credito;

– ed alle banche licenziatarie dello suo circuito veniva contestato di avere posto in essere un "fascio di intese verticali", in violazione dell’articolo 101 TFUE, avente per oggetto il trasferimento della MIF MasterCard nazionale sulle merchant fee applicate dai licenziatari agli esercenti convenzionati, nonché l’applicazione da parte degli stessi licenziatari di specifiche clausole che avrebbero ampliato la portata restrittiva di tale commissione nel mercato dell’acquiring.

Il ricorso in appello come sopra proposto avverso la sentenza resa a fronte del rigetto degli impegni MasterCard veniva trattenuto per la decisione dalla Sezione VI del Consiglio di Stato all’udienza pubblica del 15 marzo 2011; in esito alla quale – e, quindi, di seguito al passaggio in decisione della causa – il Collegio giudicante:

– rilevata la presenza di "seri dubbi in ordine alla ammissibilità del ricorso proposto in primo grado dalle società del gruppo MasterCard, in relazione alla questione dell’impugnabilità (immediata ovvero differita) del provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato" aveva respinto "la proposta di impegni formulata da un’impresa coinvolta in un’istruttoria per l’accertamento di illeciti antitrust"

– assegnava alle parti un termine di quindici giorni "per presentare memorie vertenti su quest’unica questione".

Nuovamente portata in decisione la controversia alla pubblica udienza del 29 aprile 2011, la Sezione VI rendeva il dispositivo di sentenza n. 2587/2011 pubblicato il successivo 2 maggio, con il quale – definitivamente pronunciando sull’appello – lo accoglieva e per l’effetto annullava senza rinvio la decisione impugnata dichiarando inammissibile l’originario ricorso.

2. Nell’osservare come, al momento in cui il presente gravame viene trattenuto in decisione, le motivazioni della sentenza da ultimo citata non risultano essere state ancora pubblicate, nondimeno l’adozione di una pronunzia in rito rende evidente che il Giudice d’appello abbia ritenuto non autonomamente impugnabile la determinazione con la quale l’Autorità abbia rigettato gli impegni proposti ai sensi dell’art. 14ter della legge 287/1990.

Tale disposizione, giova rammentarlo, stabilisce che "entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento della violazione degli articoli 2 o 3 della presente legge o degli articoli 81 o 82 del Trattato CE, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria. L’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione".

Sotto un profilo strutturale, la presentazione degli impegni introduce, all’interno del procedimento "principale" avviato con l’apertura dell’istruttoria da parte di AGCM, una subsequenza procedimentale la cui definizione è suscettibile di riverberare conseguenze su quest’ultimo, nel senso che l’accettazione degli impegni ne determina la chiusura, precludendo l’eventuale accertamento dell’infrazione.

Tassative sono le ipotesi nelle quali lo stesso art. 14ter (comma 3) consente all’Autorità la riapertura d’ufficio del procedimento, in presenza:

– di una situazione di fatto modificata rispetto ad un elemento su cui si fonda la decisione

– della contravvenzione, da parte delle imprese interessate, agli impegni dalle medesime assunti,

– ovvero, dell’incompletezza, inesattezza o del carattere fuorviante delle informazioni trasmesse dalle parti sulle quali si sia fondata la decisione di accoglimento degli impegni.

Nel rinviare a quanto nella sopra citata sentenza n. 33474/2010 diffusamente esposto con riferimento alla ritenuta immediata impugnabilità della decisione di rigetto degli impegni – in merito alla quale la Sezione non può che ribadire il proprio convinto convincimento, pur nell’attesa di conoscere le (evidentemente non omogenee) conclusioni alle quali è diversamente pervenuto il Giudice d’appello – il thema decidendum posto all’attenzione del Collegio per effetto dell’odierna impugnativa propone, in primo luogo, la questione in ordine alla rilevanza assunta dalla decisione di che trattasi ai fini (non soltanto del prosieguo dell’iter procedimentale avviato dall’Autorità con l’apertura dell’istruttoria; ma, soprattutto) dell’adozione della conclusiva effusione provvedimentale.

Tale problematica è trasversale all’intero complesso dell’impugnative proposte avverso il provvedimento finale dell’Autorità in data 3 novembre 2010 – tutte portate in decisione all’odierna pubblica udienza – atteso che:

– se gli Istituti di credito (asseritamente) parte dell’intesa illecita hanno impugnato siffatta determinazione in una con il gravame proposto avverso l’atto conclusivo del procedimento (secondo una strategia processuale che, alla stregua di quanto osservato, appare omogenea alle valutazioni espresse dal Giudice d’appello);

– diversamente MasterCard, in esito alla pubblicazione del dispositivo di sentenza del quale si è dato precedentemente conto, ha gravato con motivi aggiunti, nell’ambito del giudizio proposto avverso il provvedimento anzidetto, la decisione di rigetto degli impegni.

Se l’interesse alla proposizione del mezzo di tutela da ultimo indicato si è, con ogni evidenza, radicato proprio a seguito della pubblicazione del dispositivo di che trattasi (costituendo in capo a MasterCard una evidente legittimazione alla sollecitazione di una tutela giurisdizionale, altrimenti preclusa), deve conseguentemente ritenersi che:

– ferma l’inequivoca ammissibilità dell’impugnative con le quali, in una con la critica del conclusivo provvedimento dell’Autorità, venga ulteriormente eccepita l’illegittimità della (presupposta; o, almeno, anteriore) decisione di rigetto degli impegni (nel quadro di una sistematica di sollecitazione della tutela giurisdizionale che, si ripete, "appare" omogenea alle considerazioni che, con ogni evidenza, hanno ispirato la decisione assunta dalla Sezione VI del Consiglio di Stato in ragione della pubblicazione del dispositivo della quale si è innanzi dato conto)

– parimenti ammissibile si dimostra la critica nel caso di MasterCard veicolata a mezzo di motivi aggiunti (successivamente) proposti avverso la reiezione degli impegni (autonomamente impugnata con autonomo mezzo di tutela), atteso che (impregiudicata ogni valutazione in ordine alla correttezza logicogiuridica del percorso valutativo che ha condotto il Giudice d’appello alla declaratoria di inammissibilità anzidetta), quanto meno la novità della questione (inedita nel panorama giurisprudenziale) ben si presta all’applicazione dell’art. 37 cpa, la cui operatività è, come noto, veicolata anche dalla rilevata presenza di "oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto".

3. Sgombrato il campo dalle ipotizzabili questioni in rito che si pongono con carattere di preliminare rilevanza – e, conseguentemente, dato atto della piena esaminabilità dell’intero novero dei ricorsi portati in decisione all’odierna udienza – non può esimersi il Collegio dal rivolgere la propria attenzione sul rapporto intercorrente fra la decisione con la quale l’Autorità, ai sensi del citato art. 14ter, rigetti l’assunzione degli impegni ed il conclusivo provvedimento con cui (proseguito il procedimento) venga accertata l’infrazione alla disciplina antitrust e, conseguentemente, applicato il previsto apparato sanzionatorio.

Il ventaglio di ipotesi che, in linea di principio, si propone all’interprete può così configurarsi:

– assoluta insensibilità della conclusiva determinazione rispetto alla precedente decisione in materia di impegni;

– invalidità del provvedimento finale in ragione della (eventuale) illegittimità della decisione ex art. 14ter, sotto il profilo della presenza di un effetto direttamente caducante;

– invalidità rilevante, sulla base del medesimo presupposto, ma con carattere meramente viziante.

3.1 La prima delle delineate opzioni va senz’altro scartata.

Se è ben vero che la (sub)sequenza avviata dalla presentazione degli impegni muove da un’iniziativa di parte a carattere meramente eventuale, non può omettere il Collegio di sottolineare due aspetti aventi sicura rilevanza in argomento:

– in primo luogo, a fronte della presentazione degli impegni, l’Autorità è obbligata a rendere una decisione, nel senso dell’accoglimento – ovvero del rigetto – di questi ultimi;

– secondariamente – ed è questo il nesso di conseguenzialità fra sequenze procedimentali la cui rilevanza non può essere eclissata – il prosieguo del procedimento principale (e la definizione di quest’ultimo) è condizionata al mancato accoglimento degli impegni stessi, in quanto una decisione positiva in ordine a questi ultimi determina, come si è avuto modo di vedere, un arresto procedimentale la cui irreversibilità viene meno nelle sole ipotesi descritte al comma 3 dell’art. 14ter.

Può quindi convenirsi in ordine alla presenza:

– non solo di distinte serie procedimentali, una delle quali ad innesto eventuale rispetto al "principale" percorso avviato con l’apertura dell’istruttoria

– ma anche di un collegamento fra procedimenti, realizzato attraverso la "sensibilità" – normativamente contemplata – che le vicende riguardanti il procedimento "principale" dimostrano rispetto a quelle concernenti la valutazione degli impegni, atteso che l’accoglimento di questi ultimi preclude la prosecuzione degli accertamenti in ordine alla presenza di illeciti antitrust.

3.2 L’oggetto dell’indagine, alla stregua di quanto precedentemente rappresentato, si dimostra dunque "ristretto" alle ipotesi in cui la negativa conclusione del subprocedimento sugli impegni riverberi sulla conclusiva determinazione provvedimentale effetti caducanti, ovvero conseguenze ad effetto (esclusivamente) viziante.

Noti sono gli insegnamenti giurisprudenziali in ordine alla configurazione delle indicate categorie giuridiche, nonché alle conseguenze diversamente indotte nel rapporto fra atto presupposto e conseguenziale.

In presenza di vizi accertati dell’atto presupposto, la distinzione fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante comporta che:

– se, per la prima fattispecie, l’annullamento dell’atto presupposto si estenda automaticamente a quello conseguenziale, anche ove quest’ultimo non venga impugnato

– la seconda, rende l’atto conseguenziale annullabile, purché sia stato impugnato nei termini;

ai fini della concreta individuazione della predetta tipologia di effetti, essendo pacifico che si debba valutare l’intensità del rapporto di conseguenzialità, con riconoscimento dell’effetto caducante ove tale rapporto sia immediato, diretto e necessario (nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito della stessa sequenza procedimentale, come inevitabile conseguenza di quello anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi: cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 23 febbraio 2011 n. 1114 e 17 gennaio 2011 n. 244 e sez. V, 25 novembre 2010 n. 8243).

Alla distinzione, nell’ambito del rapporto di presupposizione corrente fra atti inseriti all’interno di un più ampio contesto procedimentale, fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante consegue, dunque, che:

– se nel primo caso, l’annullamento dell’atto presupposto determina l’automatico travolgimento dell’atto conseguenziale, senza bisogno che quest’ultimo sia stato autonomamente impugnato e che siano state vagliate positivamente le censure proposte;

– diversamente, nel caso di illegittimità ad effetto viziante l’atto conseguenziale diviene invalido per vizio di invalidità derivata, ma resta efficace, salva apposita ed idonea impugnazione, resistendo all’annullamento dell’atto presupposto (Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 2010 n. 1260 e 2 novembre 2009 n. 6710; Cons. Stato, sez. VI, 23 dicembre 2008 n. 6520).

Nell’ambito del generale fenomeno dell’invalidità derivata, l’illustrata distinzione tra la figura della cd. invalidità ad effetto caducante e quella dell’invalidità ad effetto viziante transita, dunque, attraverso la verifica della sussistenza – o meno – di uno stretto rapporto di presupposizione tra provvedimenti, intesa come conseguenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso che l’atto successivo si ponga come inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove e ulteriori valutazioni di interessi, né del destinatario dell’atto presupposto, né di altri soggetti

Diversamente, quando l’atto successivo, pur facendo parte della stessa sequenza procedimentale in cui si colloca l’atto precedente, non ne costituisce conseguenza inevitabile, perché la sua adozione implica nuove e ulteriori valutazioni di interessi, specie se di terzi soggetti, l’immediata impugnazione dell’atto presupponente non fa venire meno la necessità di impugnare l’atto successivo, a pena di improcedibilità del primo ricorso (Cons. Stato, Sez. VI, 23 ottobre 2007, n. 5559; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 25 marzo 2008 n. 1526).

3.3 Quanto sopra riportato orienta, inevitabilmente, la valutazione oggetto della presente indagine nel senso della rilevabilità della presenza – fra determinazione di rigetto degli impegni e provvedimento conclusivo del procedimento "principale" volto ad accertare la presenza di un’infrazione antitrust – di un rapporto di conseguenzialità ad effetto (meramente) viziante.

Rispetto alla sistematica individuativa della dicotomia "invalidità derivata ad effetto caducante o ad effetto (meramente) viziante", la fattispecie (di collegamento) procedimentale all’esame si atteggia, invero, con singolare peculiarità, atteso che è riscontrabile una sensibile asimmetria nel rapporto di conseguenzialità fra (procedimenti ed) atti, in ragione del difforme "segno" che può assumere la (preordinata) decisione sugli impegni.

Solo l’accoglimento di questi ultimi, nel determinare l’arresto del procedimento principale, integra carattere di necessaria presupposizione, in quanto la decisione favorevole assunta ai sensi dell’art. 14ter impone – esclusa ogni diversa e/o ulteriore valutazione in ordine alla condotta oggetto di esame da parte dell’Autorità – l’adozione di una determinazione di chiusura del procedimento.

Diversamente, rispetto al rigetto degli impegni assume carattere di stretta conseguenzialità la sola prosecuzione dell’iter procedimentale (principale): il cui esito, peraltro è suscettibile di difforme configurazione, in presenza della molteplicità di conclusioni alle quali l’Autorità può astrattamente pervenire una volta percorso l’intero iter valutativo in ordine alla posizione assoggettata ad indagine antitrust.

Tali considerazioni, pur ribadita la variabilità degli esiti conseguenti alla (sola) decisione di rigetto degli impegni, consentono di escludere che fra tale ultima determinazione ed il provvedimento conclusivo del procedimento principale sia ravvisabile un carattere di necessarietà ed inevitabilità che, alla stregua delle coordinate giurisprudenziali di riferimento, connota il rapporto di conseguenzialità fra atti, sì da consentire di annettere all’invalidità del primo di essi effetti automaticamente caducanti sul secondo.

3.4 A ben vedere, peraltro, la pur riscontrata valenza (meramente viziante) che l’eventuale invalidità della decisione di rigetto degli impegni è suscettibile di trasmettere alla conclusiva determinazione conclusiva del procedimento antitrust, non assume dirimente rilievo in ordine alla definizione della controversia all’esame.

La devoluzione al sindacato giurisdizionale del conclusivo provvedimento è infatti transitata – omogeneamente per tutte le impugnative proposte dalle banche del circuito MasterCard – attraverso la presupposta – ed unitariamente esplicitata in seno all’atto introduttivo del giudizio – contestazione della legittimità della decisione di rigetto degli impegni.

Con l’unica eccezione – in precedenza partitamente analizzata – rivelata dalla posizione della stessa MasterCard, in un quadro di (pur) difforme percorrenza degli strumenti di tutela processuale, che non infirma, tuttavia, l’ammissibilità della rimessione al competente giudice amministrativo delle questioni inerenti la decisione sugli impegni (e, di seguito, della conclusiva determinazione provvedimentale con la quale AGCM ha chiuso il procedimento de quo).

L’unico onere che viene infatti a gravare sulla parte che intenda dolersi dell’illegittimità dell’atto conseguenziale per effetto dell’affermata invalidità dell’atto presupposto (laddove quest’ultimo, in presenza delle ragioni in precedenza indagate, sia suscettibile di trasferire sul secondo effetti meramente vizianti) è infatti rappresentato – una volta esclusa l’operatività di automatica trasmissione di conseguenze caducanti – dall’obbligatoria impugnazione dell’atto conseguenziale stesso.

E, dal momento che il perimetro del delineato thema decidendum – sia pure all’interno delle suindicate differenziazioni – omogeneamente ricomprende, per tutte le parti del procedimento n. I720 – Carte di Credito, sia la decisione di rigetto degli impegni, che il conclusivo provvedimento del 3 novembre 2010, deve allora darsi atto della piena espansione della sindacabilità rimessa alla Sezione con rifermento all’intera vicenda procedimentale di che trattasi.

4. Viene, allora, in primo luogo in considerazione la decisione con la quale l’Autorità ha escluso l’accoglibilità degli impegni proposti sia da MasterCard, sia dalle banche facenti parte del relativo sistema.

Se – per come appalesato dal dispositivo di sentenza pubblicato dalla Sezione VI del Consiglio di Stato in esito all’appello proposto da AGCM avverso tale decisione – il merito delle relative questioni non è stato affrontato dai Giudici di Palazzo Spada (essendosi arrestata la delibazione a questi ultimi rimessa alla valutazione in rito refluita poi nella pure citata pronunzia di inammissibilità dell’originario ricorso MasterCard), de plano consegue la (rinnovata) delibabilità delle questioni proposte avverso la decisione in materia di impegni, non "coperta" da giudicato, né altrimenti preclusa dall’operatività del ne bis in idem.

4.1 Ciò osservato, non può esimersi la Sezione, in argomento, dal ribadire – con rinnovata convinzione – le considerazioni già rassegnate a proposito della menzionata impugnativa con cui MasterCard ha gravato, in via autonoma, la decisione di che trattasi.

Nell’adunanza del 22 dicembre 2009, l’Autorità ha così motivato la decisione di non accogliere gli impegni presentati dalle parti del procedimento:

– "con riguardo agli impegni presentati da MasterCard, essi non sono idonei a far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria, come descritti nel provvedimento del 15 luglio 2009, in quanto: (i) sono limitati temporalmente, prevedendo una riduzione delle commissioni interbancarie multilaterali (…) per una durata massima di 18 mesi, decorsa la quale il circuito non è più vincolato agli impegni; (ii) sono condizionati al diritto di recesso da parte di MasterCard in funzione, tra l’altro, del giudizio dello stesso circuito sugli impegni presentati dalle banche parti del procedimento; (iii) stabiliscono una riduzione delle MIF sulla base di motivazioni che non rispondono, trattandosi di commissioni interbancarie multilaterali che definiscono identiche voci di costo, ad una analisi economica di efficienza del sistema basata su una valutazione costi/benefici e comparazioni tra diversi mezzi di pagamento";

– "con riguardo agli impegni presentati dalle banche parti del presente procedimento, essi non sono idonei a far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria, come descritti nel provvedimento di avvio del 15 luglio 2009, in quanto non risultano suscettibili di un’attuazione duratura e facilmente verificabile, ed, in particolare:

– i diversi ed autonomi meccanismi di verifica delle merchant fee in funzione delle MIF di MasterCard non sono apprezzabili nel loro impatto sul mercato in quanto: (i) per Deutsche Bank e Banca Sella non è previsto alcun meccanismo di rinegoziazione delle merchant fees; (ii) per BNL, BMPS, ICBPI, Intesa Sanpaolo risultano indefiniti nella metodologia; (iii) per Unicredit e B. cono comunque condizionati a variabili a disposizione della banca oltre alle MIF che non consentono di valutare come si rifletta effettivamente una riduzione di queste ultime sulle merchant fees;

– gli impegni stabiliscono solo una prima riduzione delle merchant fees in funzione di una eventuale riduzione delle commissioni interbancarie multilaterali di MasterCard prevedendo (i) per BMPS, BNL, ICBPI una evoluzione indeterminata delle merchant fees future e (ii) per B. un limite temporale di 18 mesi".

4.2 L’evidente – quanto imprescindibile – connessione che ricongiunge, anche con riferimento all’assunzione (e, conseguentemente, al rigetto) degli impegni, per come evidenziata nel riportato apparato motivazionale della deliberazione AGCM del 22 dicembre 2009, ben consente al Collegio di riportarsi – integralmente, quanto convintamente – alle considerazioni già rassegnate in sede di definizione del ricorso MasterCard 2203/2010.

4.2.1 Imprescindibile si rivela, in primo luogo, l’individuazione delle coordinate di riferimento – di carattere normativo ed interpretativo – che caratterizzano la configurazione (e le rivenienti modalità di applicazione) dell’istituto degli "impegni" in materia anticoncorrenziale.

Introdotto dall’art. 9 del Regolamento CE n. 1/2003, tale istituto prevede che:

– "1. Qualora intenda adottare una decisione volta a far cessare un’infrazione e le imprese interessate propongano impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione preliminare, la Commissione può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese. La decisione può essere adottata per un periodo di tempo determinato e giunge alla conclusione che l’intervento della Commissione non è più giustificato";

– "2. La Commissione, su domanda o d’ufficio, può riaprire il procedimento:

a) se si modifica la situazione di fatto rispetto a un elemento su cui si fonda la decisione;

b) se le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti; oppure

c) se la decisione si basa su informazioni trasmesse dalle parti che sono incomplete, inesatte o fuorvianti".

Gli obblighi assunti dalle imprese hanno carattere vincolante e, pertanto, la loro violazione comporta, oltre la riapertura del procedimento, l’applicazione di un’ammenda ai sensi dell’art. 23, par. 2, del cit. Reg. n. 1/2003.

Le misure correttive proposte debbono essere "pertinenti" rispetto all’oggetto del procedimento e, quindi, funzionali alla soluzione del problema evidenziato dalla Commissione; né è, evidentemente compatibile con le finalità dell’istituto un uso strumentale dello stesso, rilevabile laddove esso si dimostri esclusivamente preordinato a scongiurare l’applicazione della sanzione, depotenziando, così, l’efficacia deterrente della missione affidata alle Autorità nazionali e alla Commissione.

L’istituto, piuttosto, appare concepito per fornire una rapida risposta all’interesse pubblico al mantenimento di un mercato concorrenziale, in fattispecie complesse o nuove, rispetto alle quali si appalesa opportuno raggiungere una soluzione di tipo negoziato.

Le decisioni con impegni, infatti, non producono quell’effetto di chiarimento della regola giuridica che deriva, invece, dalle decisioni di infrazione.

In questo senso va tenuto presente che, secondo il "considerando" n. 13 del Regolamento n. 1/2003, le decisioni concernenti gli impegni non sono "opportune" nei casi in cui la Commissione intenda comminare un’ammenda, il che induce a ritenere applicabile l’istituto soprattutto nei casi meno gravi.

Ciò osservato, va ulteriormente dato atto che costituisce jus receptum il principio secondo cui la Commissione gode di un’ampia discrezionalità nel valutare se accettare le misure proposte dalle imprese, e quindi rendere obbligatoria una decisione ai sensi dell’art. 9 del Reg. n. 1/2003.

Al riguardo, nel leading case di cui alla sentenza 11 luglio 2007 (Alrosa c. Commissione, in causa T 170/06), il Tribunale di Primo Grado ha chiaramente affermato che "la Commissione non è mai tenuta, in forza dell’art. 9, n. 1 del regolamento n. 1/2003 a decidere di rendere obbligatori degli impegni piuttosto che ad agire ai sensi dell’art. 7 del medesimo regolamento. Non è pertanto tenuta a fornire le ragioni per le quali degli impegni non le sembrano idonei ad essere resi obbligatori in modo da concludere il procedimento" (punto 130).

Nella stessa decisione, il TPG ha anche affermato "che l’obiettivo dell’art. 7, n. 1 del regolamento n. 1/2003 è lo stesso di quello perseguito dall’art. 9, n. 1, e coincide con l’obiettivo principale del regolamento n. 1/2003, che è quello di garantire un’efficace applicazione delle regole di concorrenza previste dal Trattato" (punto 95) e che "per il conseguimento di tale obiettivo la Commissione dispone di un margine di valutazione discrezionale nella scelta offertale dal regolamento n. 1/2003 di rendere obbligatori gli impegni proposti dalle imprese interessate e di adottare una decisione ai sensi dell’art. 9 o di seguire la via prevista dall’art. 7, n. 1 del medesimo regolamento, che esige l’accertamento di un’infrazione" (punto 96). Tuttavia "l’esistenza di tale margine di valutazione discrezionale (…) non esonera la Commissione dall’obbligo di rispettare il principio di proporzionalità quando decide di rendere obbligatori impegni offerti ai sensi dell’art. 9 n. 1 del regolamento n. 1/2003" (punto 97). Inoltre "sarebbe (…) in contrasto con l’economia del regolamento n. 1/2003 che una decisione la quale, ai sensi dell’art. 7, n. 1, del medesimo regolamento, dovrebbe essere considerata non proporzionata all’infrazione accertata, possa essere adottata facendo ricorso al procedimento ex art. 9, n. 1, sotto la forma di impegno reso obbligatorio, per il motivo che l’infrazione non ha potuto essere formalmente provata in tale contesto" (punto 101).

La Commissione Europea, dal canto suo, aveva già in precedenza chiarito, relativamente all’applicazione dell’art. 9 del Regolamento n. 1/2003 (Memo/04/217 in data 17 settembre 2004) che "This instrument is novel and the conditions for its use are flexible" e "efficiency reasons justify that the Commission limits itself to making the commitments binding, and does not issue a formal prohibition decision".

L’unico limite di opportunità all’adozione di una decisione con impegni è, secondo la Commissione, quello dei procedimenti riguardanti i cartelli segreti c.d. "hardcore" ("the case is not one where a fine would be appropriate (this therefore excludes commitment decisions in hardcore cartel cases))".

Nelle sue prime decisioni in materia (cfr. in particolare, il provvedimento n. 16151 del 15 novembre 2006, caso I646, Produttori vernici marine, il cui impianto argomentativo è stato pienamente avallato da questa Sezione con sentenza n. 14157 del 29 dicembre 2007), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è sembrata propensa a ritenere che l’idoneità delle misure correttive proposte dalle imprese debba essere rapportata all’oggetto dell’istruttoria, con riguardo non solo ai profili concorrenziali in atto, ma anche agli effetti eventualmente già prodottisi.

L’Autorità ha, in particolare, valutato "non appropriati" gli impegni relativi a condotte che hanno già pienamente realizzato i loro effetti restrittivi e che non siano in grado di rimuovere questi ultimi con efficacia retroattiva; precisando, ulteriormente, che gli impegni presentati debbano comunque essere suscettibili di un’attuazione piena, tempestiva e facilmente verificabile.

4.2.2 La disciplina comunitaria in materia è stata recepita dall’art. 14ter della legge 287/1990, il quale stabilisce che, entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento della violazione degli artt. 2 o 3 della stessa legge o degli artt. 81 o 82 del Trattato CE, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria; l’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione.

L’articolo è stato aggiunto dall’art. 14 del decretolegge 223/2006, come modificato dalla relativa legge di conversione 248/2006, entrata in vigore il 12 agosto 2006.

In materia di accettazione degli impegni, la norma ha attribuito all’Autorità un potere discrezionale, da esercitare nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario.

Il procedimento di cui all’art. 14ter della legge 287/1990, pertanto, è un procedimento ad istanza di parte in cui, a fronte degli impegni presentati dall’impresa nei cui confronti sia stata avviata un’istruttoria, l’Autorità procedente valuta la loro idoneità a determinare il venire meno dei profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria stessa: potendo, in caso di valutazione positiva, arrestare il procedimento senza accertare l’infrazione rendendo gli impegni obbligatori per il proponente.

Va da sé che l’imposizione di obblighi all’impresa postula che gli impegni siano esattamente quelli che l’impresa ha proposto, non potendo l’Autorità aggiungere ulteriori obblighi a quelli che l’impresa si è dichiarata pronta ad accettare.

In altri termini, l’Autorità esercita un potere discrezionale nella valutazione degli impegni proposti, ma, se ritiene che detti impegni siano idonei a fare venire meno i profili concorrenziali in relazione ai quali ha avviato la procedura di accertamento, arresta il procedimento e rende obbligatori gli stessi senza avere la possibilità di aggiungere integrazioni non previste dall’impresa e, quindi, con la stessa non previamente concordate.

In definitiva, l’Autorità ha il potere di valutare il grado di satisfattività – o meno – degli impegni proposti ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, cui è istituzionalmente preposta; con la conseguenza che, nel caso di giudizio positivo, arresta il procedimento e rende obbligatori gli stessi e non anche altri, mentre, in caso contrario, prosegue il procedimento volto all’accertamento dell’infrazione.

4.3 Essenziale snodo ai fini della valutazione in ordine alla rimessa questione relativa alla correttezza del percorsologico motivazionale sotteso all’assunzione della determinazione circa l’accettazione – o meno – degli impegni, è rappresentato dalla individuazione dei relativi presupposti e dal connesso apprezzamento della sussistenza/consistenza degli stessi: elementi che, al fine di annettere apprezzabile carattere di legittimità all’esercizio del relativo potere da parte dell’Autorità, inevitabilmente debbono refluire nell’apparato motivazionale a corredo della decisione da quest’ultima assunta.

4.3.1 Sulla base di quanto precedentemente esposto, va evidentemente osservato come la decisione in ordine all’accettazione – ovvero al rigetto – degli impegni presentati dalla parte intervenga in una fase nella quale il quadro cognitivo e fattuale in ordine alla vicenda oggetto di indagine non necessariamente è perfezionato con carattere di compiutezza.

In difetto del completamento degli accertamenti istruttori – e, quindi, dell’acquisizione di tutti i necessari elementi suscettibili di refluire nella conclusiva valutazione in ordine alla portata anticoncorrenziale (o meno) di una determinata condotta – il giudizio che precede la determinazione in ordine agli impegni:

– se da un lato può assumere carattere necessariamente prognostico;

– e se, conseguentemente, non può essere parametrato, quanto alla valutazione dell’idoneità degli impegni stessi ad eliminare profili anticompetitivi, se non sul contenuto delle contestazioni mosse con l’atto di apertura del procedimento istruttorio;

– in ogni caso, non può prescindere dall’osservanza delle coordinate fondamentali rappresentate dalla compiuta idoneità delle condotte rivenienti dall’attuazione degli impegni a rimuovere i profili anticompetitivi oggetto di contestazione e dal rispetto del principio di proporzionalità, alla stregua di quanto specificato infra sub 3.3.

4.3.2 Sotto il primo degli indicati profili, la disamina si dimostra invero priva di profili particolarmente problematici.

Non può, infatti, essere pretermessa la rilevanza assunta dalla previsioni di cui al rammentato tredicesimo "considerando" del Regolamento comunitario (in precedenza citato) n. 1/2003, laddove si puntualizza che le decisioni concernenti gli impegni non sono opportune nei casi in cui la Commissione intende comminare un’ammenda.

Nel ribadire come l’Autorità nazionale sia tenuta a procedere anche alla stregua dei parametri previsti in ambito comunitario, consegue che, allorché la stessa Autorità ritenga di dovere irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria in considerazione della natura e dell’entità dell’intesa, correttamente può respingere gli impegni, senza che sia tenuta ad esplicitare un apparato motivazionale particolarmente diffuso.

Se l’accettazione degli impegni è sconsigliata nei casi di intese che appaiano, al momento in cui va assunta la decisione di rilevante gravità (cc.dd. violazioni hard core), viene a delinearsi un (primo) punto di arresto, ai fini della valutazione in materia rimessa all’Autorità, al momento in cui venga prospettata, ad opera di taluna delle parti, l’assunzione di impegni: nel senso che, laddove il quadro degli elementi fattuali e giuridici di valutazione sia già tale da rendere doverosa l’irrogazione della sanzione pecuniaria (e, comunque, laddove sia emersa, con carattere di incontroversa consistenza, la presenza di una fattispecie restrittiva della concorrenza avente obiettivo, quanto dimostrabile, carattere di rilevante gravità), allora:

– non soltanto gli impegni non possono formare oggetto di accoglimento;

– ma la motivazione relativa al rigetto può concretamente connotarsi in maniera congruamente sintetica, atteso che l’inaccoglibilità degli impegni viene a dimostrarsi in re ipsa laddove si sia in presenza (di elementi di valutazione tali da dimostrare la consistenza) di una fattispecie "importante" di violazione dei meccanismi proccompetitivi.

4.3.3 Il giudizio in materia rimesso all’Autorità si rivela, peraltro, attributario di ulteriori due profili di valutazione, consistenti:

– nell’apprezzamento in ordine all’idoneità (dei comportamenti conseguenti all’assunzione) degli impegni a rimuovere i profili anticoncorrenziali già oggetto di constatazione in sede di apertura del procedimento;

– e, ulteriormente, nella considerazione del carattere di "proporzionalità" degli impegni medesimi rispetto al complesso delle condotte suscettibili di indurre, sul mercato preso in considerazione, effetti contrastanti con una fisiologica dialettica della competitività.

Ancora una volta, è necessario ricorrere ai principi esemplarmente esplicitati dal Tribunale di Primo Grado nella già citata sentenza 11 luglio 2007 (Alrosa/Commissione).

Il ragionamento in proposito condotto dall’organo giudiziario europeo di prima istanza muove dall’ineccepibile presupposto che "l’obiettivo dell’art. 7, n. 1, del Regolamento n. 1/2003 è lo stesso di quello perseguito dall’art. 9, n. 1, e coincide con l’obiettivo principale del regolamento n. 1/2003, che è quello di garantire una efficace applicazione delle regole di concorrenza previste dal Trattato".

Se "per il conseguimento di tale obiettivo la Commissione dispone di un margine di valutazione discrezionale nella scelta offertale dal regolamento n. 1/2003 di rendere obbligatori gli impegni proposti dalle imprese interessate e di adottare una decisione ai sensi dell’art. 9 o di seguire la via prevista dall’art. 7, n. 1, del medesimo regolamento, che esige l’accertamento di una infrazione", tuttavia "l’esistenza di tale margine di valutazione discrezionale circa la scelta della via da seguire non esonera la Commissione dall’obbligo di rispettare il principio di proporzionalità quando decide di rendere obbligatori impegni offerti ai sensi dell’art. 9, n. 1, del regolamento n. 1/2003".

Il rispetto del suindicato principio, secondo quanto osservato dal medesimo TPG, "esige che gli atti delle istituzioni comunitarie non vadano oltre quanto è idoneo e necessario per conseguire lo scopo prefisso (sentenze del Tribunale 19 giugno 1997, causa T260/94, Air Inter/Commissione, Racc. pag. II997, punto 144, e Van den Bergh Foods/Commissione, cit., punto 201), fermo restando che, qualora si presenti una scelta tra più misure appropriate, è necessario ricorrere alla meno restrittiva, e che gli oneri imposti non devono essere sproporzionati in relazione agli scopi perseguiti (sentenze della Corte 11 luglio 1989, causa 265/87, Schräder HS Kraftfutter, Racc. pag. 2237, punto 21 e 9 marzo 2006, causa C174/05, ZuidHollandse Milieufederatie e Natuur en Milieu, Racc. pag. I2443, punto 28)".

Ecco che, per effetto dell’immanenza del principio di proporzionalità – e, conseguentemente, in ragione dell’esigenza che la decisione in ordine all’accoglibilità, o meno, degli impegni, sia conseguenza dell’osservanza di un rapporto di logica congruità fra interruzione della pratica anticompetitiva e/o rimozione dei relativi effetti e condotta "validata" dall’Autorità antitrust sulla base degli impegni volontariamente assunti dall’operatore economico "indagato" – "il controllo della proporzionalità di una misura (viene ad assumere connotazione di) un controllo oggettivo, poiché l’idoneità e la necessità della Decisione impugnata debbono essere valutati rispetto allo scopo perseguito dall’istituzione".

Se "per le decisioni adottate in applicazione dell’art. 7 del Regolamento n. 1/2003, lo scopo è di porre termine all’infrazione accertata", "per quelle adottate in applicazione dell’art. 9 del medesimo Regolamento, lo scopo è di rispondere alle preoccupazioni espresse dalla Commissione nell’ambito della valutazione preliminare, le quali giustificano che essa preveda l’adozione di una decisione che disponga la cessazione di una infrazione".

Ne consegue che:

– laddove "nell’ipotesi dell’applicazione dell’art. 7, n. 1, del Regolamento n. 1/2003 la Commissione deve accertare l’esistenza di una infrazione, il che implica una definizione precisa del mercato di cui trattasi e se del caso dell’abuso addebitato all’impresa di cui trattasi"

– "nel contesto dell’art. 9, n. 1, del medesimo Regolamento, effettivamente la Commissione non è tenuta a dimostrare formalmente l’esistenza di una infrazione, come è del resto indicato nel tredicesimo "considerandò del Regolamento n. 1/2003, ma deve ciò nondimeno dimostrare l’effettività delle preoccupazioni concorrenziali che giustificavano che essa prevedesse l’adozione di una decisione ai sensi degli artt. 81 CE e 82 CE e che le consentono di imporre all’impresa interessata di rispettare taluni impegni, il che presuppone un’analisi del mercato ed una identificazione dell’infrazione prevista meno definitive che nell’ambito dell’applicazione dell’art. 7, n. 1, del regolamento n. 1/2003, benché quest’ultima debba essere sufficiente per consentire un controllo dell’idoneità dell’impegno".

4.4 Alla stregua di quanto posto in evidenza – e, segnatamente, in relazione ai parametri che segnano l’ambito di espansione della valutazione discrezionale in materia rimessa all’Autorità – si ha motivo di ritenere che la decisione nella fattispecie assunta da AGCM presenti profili denotanti un non corretto esercizio del relativo potere.

Il già rilevato collegamento esistente fra gli impegni presentati dalle parti – quantunque fra loro diversificati – trova fondamento nella posizione rivestita da MasterCard all’interno del sistema: rispetto alla quale – e, soprattutto, con riferimento alla unilaterale fissazione delle Multilateral Interchang Fees (MIF) da parte di quest’ultima, con conseguenze indotte sugli spazi di operatività rimessi alle licenziatarie – va esclusa una parcellizzata considerazione delle posizioni delle parti stesse.

La pur rilevabile diversificazione del contenuto degli impegni (e, sia pure parzialmente, del corrispondente contenuto motivazionale del provvedimento di rigetto, con riferimento a singoli profili afferenti i diversi operatori bancari), non elimina una considerazione fondamentalmente unitaria del sistema: sì da consentire di apprezzare che le posizioni delle licenziatarie, seppure formalmente autonome, nondimeno rivelano attenuati profili di distinguibilità rispetto agli impegni assunti da MasterCard (di tal guisa che, a fronte di ridelineate modalità di funzionamento a livello sistemico, le posizioni delle parti simul stabunt, simul cadent).

In altri termini, proprio la unilaterale fissazione delle MIF da parte di MasterCard è suscettibile di condizionare (segnatamente, nell’affermata ottica anticompetitiva che avrebbe connotato, a dire dell’Autorità, la riscontrata presenza di una duplicità di intese) non solo il funzionamento del sistema, ma anche l’operatività delle singole licenziatarie (soprattutto per quanto concerne la determinazione delle merchant fees): la posizione delle quali, sotto tale profilo, viene a scontare attenuati profili di autonomia.

Ne consegue che gli impegni proposti dalle parti avrebbero dovuto formare oggetto di considerazione necessariamente unitaria (anche alla luce del logico condizionamento degli impegni MasterCard rispetto al’accoglimento degli impegni proposti dalle licenziatarie) in relazione al complessivo atteggiarsi del sistema

4.4.1 Ciò osservato, viene in primo luogo in considerazione, nel quadro del contesto motivazionale esplicitato a supporto della reiezione degli impegni proposti da MasterCard, come dalle banche parti del procedimento, il carattere "temporaneo", ovvero "non duraturo" che le relative condotte avrebbero assunto.

AGCM ha giudicato ex se inidonea l’adozione di condotte – si badi, astrattamente qualificate "procompetitive" – aventi delimitazione temporale; per l’effetto assumendosi (implicitamente, ma univocamente) che l’accettazione degli impegni avrebbe potuto transitare univocamente attraverso una vigenza degli stessi avente estensione non predeterminata.

Va in primo luogo osservato come la limitazione temporanea degli impegni sia senz’altro configurata dalla normativa europea, atteso che l’art. 9 del Regolamento n. 1/2003 del 16 dicembre 2002 (Regolamento del Consiglio concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato) espressamente prevede che "qualora intenda adottare una decisione volta a far cessare un’infrazione e le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione preliminare, la Commissione può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese. La decisione può essere adottata per un periodo di tempo determinato e giunge alla conclusione che l’intervento della Commissione non è più giustificato".

La diretta applicabilità nell’ordinamento nazionale del principio di cui sopra consegue alla previsione dettata dal comma 1 dell’art. 14ter della legge 287/1990, il quale stabilisce che l’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione.

Inoltre, la concreta fattispecie all’esame avrebbe potuto (e dovuto) indurre un diverso apprezzamento, in ragione del quadro complessivo a fondamento del carattere temporaneo degli impegni stessi.

La vicenda in esame dinanzi all’Autorità nazionale trova, sotto il profilo della consistenza giuridica delle problematiche coinvolte, significativi elementi di corrispondenza con altra vicenda che, tuttora pendente dinanzi al TPG, ha visto, nelle more della decisione dell’organo di giustizia europeo, il raggiungimento di un’intesa (l’Interim Arrangement) tra Commissione UE e MasterCard, la cui funzione trova significativi punti di assimilabilità con l’accettazione degli impegni, per come disciplinata dall’ordinamento comunitario (e, derivativamente, nazionale).

Se è vero – né negli atti causa, sul punto, sono riscontrabili difformi elementi di giudizio – che le medesime criticità sul funzionamento del mercato rilevate da AGCM in sede di avvio dell’Istruttoria hanno portata sostanzialmente coincidente con quelle formulate dalla Commissione Europea e se non può non convenirsi in ordine alla rilevanza che i principi che verranno affermati dal Tribunale lussemburghese sono suscettibili di riverberare anche sull’odierna vicenda (in quanto la conclusiva decisione sul contenzioso aperto in sede comunitaria ben potrà essere idonea a conformare l’intera disciplina delle commissioni interbancarie in ambito UE), allora:

– non soltanto il carattere temporaneo degli impegni assunti dinanzi ad AGCM avrebbe potuto opportunamente coordinarsi con l’esigenza di attendere il pronunciamento del TPG sulla questione al medesimo sottoposta;

– ma, vieppiù, un differimento temporale in ordine alla conclusione del procedimento da parte dell’Autorità nazionale avrebbe potuto scongiurare (eventuali; ma allo stato non certo inconfigurabili) difformità tra provvedimento AGCM e decisione degli organi di giustizia europei.

È ben vero che il sindacato esercitabile dal giudice amministrativo non può esondare in preclusi apprezzamenti di merito, suscettibili di giustapporsi (e/o di sostituirsi) alle valutazioni dell’Autorità ed al discrezionale apprezzamento che ne connota l’atteggiarsi.

Va tuttavia rimarcato, nel quadro della verificabilità di profili di illegittimità della determinazione avversata sub specie dell’eccesso di potere per errata considerazione dei presupposti di fatto e di diritto, ovvero per inadeguata effusione dell’appartato motivazionale, come il giudizio sul punto espresso nel provvedimento gravato non sia suscettibile di condivisione.

Se va escluso che il carattere non duraturo degli impegni riveli, ex se, profili di intrinseca inidoneità ai fini dell’eliminazione dei riscontrati elementi anticoncorrenziali, deve – diversamente – osservarsi come proprio la pendenza (allo stato, ancora attuale) del contenzioso dinanzi agli organi europei di giustizia ed il perfezionamento del ripetuto Interim Arrangement con il Commissario UE per la Concorrenza (successivamente alla contestazione della Commissione della non ottemperanza alla decisione della Decisione della Commissione C (2007) 6474 del 19 dicembre 2007, sulle commissioni interbancarie di MasterCard) avrebbero dovuto imporre alla procedente Autorità una più attenta valutazione dei presupposti a fondamento della decisione in ordine agli impegni presentati dalle parti.

Ancorché nella determinazione di apertura dell’istruttoria AGCM abbia dato conto del fatto che "le interchange fees attualmente applicate in Italia non sono… quelle in vigore per le transazioni crossborder, oggetto del procedimento comunitario MasterCard", tuttavia l’identità dei principi di diritto applicabili alle commissioni interbancarie domestiche (intracountry fallback interchange fees) e transfrontaliere (cross border o intercountry fallback o intraEEA fallback interchange fees) avrebbe dovuto orientare le valutazioni di AGCM (e, quindi, informare l’esplicitato apparato motivazionale) nel senso della ostensione di una congrua giustificazione a sostegno della decisione (di non accettazione degli impegni) affatto difforme dalla determinazioni assunte in sede europea (quantunque a fronte di problematiche concernenti le sole commissioni transfrontaliere).

Il rapporto intercorrente – in ragione della chiara sovrapponibilità delle relative questioni – fra la decisione rimessa agli organi di giustizia europei ed il procedimento avviato da AGCM avrebbe, inoltre, dovuto indurre quest’ultima ad interrogarsi sulla compatibilità della prosecuzione dell’iter intrapreso (e, quindi, sulla definizione di quest’ultimo, nelle more della decisione del Tribunale europeo, con l’assunzione di una conclusiva determinazione) e la compiuta attuazione del principio del primato del diritto comunitario.

Quest’ultimo, come è noto, esige che sia disapplicata qualsiasi disposizione della legislazione nazionale in contrasto con una norma comunitaria, indipendentemente dal fatto che sia anteriore o posteriore a quest’ultima.

Tale obbligo di disapplicazione della normativa nazionale in contrasto con il diritto comunitario incombe non solo sul giudice nazionale, ma anche su tutti gli organi dello Stato, comprese le autorità amministrative (cfr. Corte Giustizia, 9 settembre 2003, causa C198/01, Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF)/Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo), il che implica, ove necessario, l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari per agevolare la piena efficacia del diritto comunitario (v. sentenza 13 luglio 1972, causa 48/71, Commissione/Italia).

È ben vero che – quantunque altre Autorità antitrust nazionali abbiano, nelle more, sospeso i procedimenti intrapresi – i margini di configurabilità di un contrasto fra la determinazione di AGCM e l’ordinamento europeo si rivelano esili, non potendosi ravvisare nell’Interim Arrangement di cui sopra una fonte normativa comunitaria.

Ma è altrettanto vero che la decisione di AGCM, pretermettendo ogni considerazione in ordine all’esigenza (più ancora che all’opportunità) di conformare l’esercizio del potere ad essa rimesso alla posizione assunta dalla Commissione (e, quindi, di sospendere l’iter procedimentale nelle more della decisione del Tribunale), si presenti viziata sotto il profilo dell’eccesso di potere, in ragione:

– dell’omessa valutazione di circostanze di fatto e di diritto rilevanti;

– e, conseguentemente, della inadeguatezza motivazionale, laddove il divisato carattere di non definitività degli impegni assunti dalle parti è stato, ex se, giudicato insufficiente, senza peraltro esplicitare congruamente le ragioni che, in presenza del quadro sovranazionale in precedenza esposto, ben avrebbero potuto suggerire una dilazione (anche solo) temporale della definizione della vicenda procedimentale di che trattasi.

Se, infatti, l’Interim Arrangement è stato definito al fine di non dare seguito alla contestazione della Commissione nei confronti di MasterCard (e, quindi, di chiudere anticipatamente un possibile percorso procedimentale senza giungere all’accertamento della inottemperanza), va allora ribadito come omogeneo ordine di considerazioni risulti essere stato affatto pretermesso da AGCM: dovendosi per l’effetto escludere che la temporaneità degli impegni, ove come sopra raccordabile con l’illustrato quadro comunitario, non rileva – in disparte ogni considerazione in ordine alla pregressa adesione, da parte dell’Autorità, ad impegni parimenti delimitati temporalmente – quale legittimo presupposto dell’avversata determinazione.

4.4.2 Ulteriore profilo motivazionale a fondamento del disposto rigetto degli impegni proposti dalle Banche licenziatarie va ravvisato, alla stregua di quanto esposto nel gravato provvedimento AGCM, nella confutata rilevanza dei meccanismi di verifica delle merchant fee in funzione delle MIF di MasterCard, quanto all’impatto sul mercato.

Tale considerazione:

– se, per quanto concerne Deutsche Bank e Banca Sella, riviene dalla constatata assenza di previsioni disciplinanti il meccanismo di rinegoziazione delle merchant fees;

– per BNL, BMPS, ICBPI, Intesa Sanpaolo dà conto dell’affermata mancata definizione della relativa metodologia;

– mentre, relativamente ad Unicredit e B., è stata dall’Autorità rilevata la presenza di "variabili a disposizione della banca oltre alle MIF che non consentono di valutare come si rifletta effettivamente una riduzione di queste ultime sulle merchant fees".

4.4.2.1 Una migliore comprensione delle suesposte argomentazioni transita attraverso l’individuazione della conformazione del sistema e delle relative modalità di funzionamento, per come dalla stessa Autorità tratteggiate nella determinazione di apertura del procedimento.

Va innanzi tutto osservato come il settore dei sistemi di pagamento operi come circuito che adotta un cd. sistema a quattro parti, o anche sistema/circuito non proprietario, caratterizzato dalla separazione tra soggetto proprietario del marchio che contraddistingue la carta di pagamento (il circuito) ed i soggetti emittenti (issuer) e/o che convenzionano gli esercenti (acquirer).

Il funzionamento del circuito MasterCard prevede dei contratti di licenza attraverso i quali i licenziatari del marchio (banche o in generale società finanziarie) emettono carte di pagamento (nel ruolo di issuer) e/o contrattualizzano gli esercenti (nel ruolo di acquirer).

Per ogni transazione, quando acquirer ed issuer sono due soggetti diversi, l’acquirer della transazione corrisponde all’issuer della carta una commissione interbancaria multilaterale o MIF.

La definizione e la modalità di applicazione di tali commissioni interbancarie sono contenute nelle regole del circuito MasterCard e applicate attraverso i contratti di licenza.

L’attività di MasterCard (soggetto che gestisce il circuito) si sostanzia nella definizione delle regole (c.d. network rules) volte a garantire la circolarità del sistema; in particolare, oltre a promuovere il marchio e dettare le regole tecniche di funzionamento, il circuito stabilisce gli oneri di adesione allo stesso (costo della licenza), nonché alcune variabili economiche che regolano i rapporti tra gli aderenti come l’ammontare dell’interchange fee (espressamente prevista nelle network rules e definita nel suo livello quantitativo dal circuito stesso), che rappresenta una delle principali voci di costo per la definizione delle commissioni (merchant fees) che regolano i rapporti tra ogni acquirer ed i propri esercenti convenzionati.

Nei sistemi a quattro parti, quale quello operato da MasterCard, il gestore del circuito concede a titolo oneroso, ai soggetti terzi richiedenti in possesso di predeterminati requisiti, la licenza per effettuare l’attività di emissione (issuing) e convenzionamento (acquiring).

La prima modalità organizzativa, ovvero quella nella quale vi è coincidenza tra soggetto issuer/acquirer e distributore (di seguito, anche, modello integrato), è tipicamente adottata dalle banche di dimensioni più grandi che sono dotate di propria licenza e svolgono direttamente l’attività verso i clienti finali e gli esercenti.

La seconda, ovvero quella nella quale le carte e/o i contratti di convenzionamento vengono collocati da un distributore diverso dall’issuer/acquirer, è invece generalmente adottata dalle banche di dimensioni medio/piccole, le quali, per scelta strategica o per il mancato raggiungimento di un volume di servizi tale da rendere economicamente conveniente l’emissione in proprio di carte di pagamento e/o il convenzionamento degli esercenti, ricorrono a società terze.

Il soggetto issuer/acquirer, oltre a detenere il rapporto a monte con il circuito, è anche il detentore del rapporto a valle con il cliente finale, titolare di carta o esercente, e che sottoscrive i contratti.

Dal momento che le licenze vengono concesse a più di un soggetto, le transazioni possono realizzarsi in circolarità coinvolgendo un issuer diverso dall’acquirer.

Nel caso del circuito MasterCard, la regolazione di tali transazioni dà luogo al pagamento a livello interbancario della interchange fee definita dal soggetto gestore e proprietario del circuito. In particolare, le interchange fee sono pagate dall’acquirer all’issuer per ogni transazione di acquisto di beni o servizi realizzata da un determinato debitore titolare della carta presso un creditore esercente.

Nelle regole del circuito MasterCard viene precisato che "Interchange fee means an amount paid by the Acquirer to the Issuer with respect to the interchange of a Transaction".

Le regole del circuito, richiamate espressamente nei contratti di licenza stipulati tra i licenziatari ed il gestore del circuito, prevedono l’applicazione delle interchange fees.

In particolare, "a transaction (…) cleared and settled between Members gives rise to the payment of the appropriate interchange fee (…), as applicable" e "the Corporation (MasterCard) will inform Members, as applicable, of all fees it establishes and may periodically publish fee tables."

Tali commissioni interbancarie sono uniformi, a parità di tipologia di carta e di transazione, e note a tutti i licenziatari, ovvero ai soggetti che le implementeranno sulla base dei contratti di licenza stipulati con il circuito.

Prima della quotazione e ristrutturazione di MasterCard le interchange fee erano definite dall’European Board, mentre successivamente è il Global Board che ha delegato un manager (Chief Operating Officer) interno a definire tali commissioni interbancarie.

A livello nazionale, solo in assenza di specifiche commissioni interbancarie (intracountry fallback interchange fee) si applicano le commissioni interbancarie transfrontaliere (cross border o intercountry fallback o intraEEA fallback interchange fees).

Le commissioni interbancarie (intracountry fallback interchange fees) attualmente applicate in Italia sono state definite nel loro ammontare dal circuito MasterCard.

Le interchange fees rappresentano una delle principali componenti di costo per la successiva definizione delle variabili economiche da parte degli acquirer, in particolare delle c.d. merchant fees.

Infatti, i soggetti acquirer, una volta diventati licenziatari del marchio MasterCard, sono coloro che stipulano i contratti di convenzionamento con gli esercenti.

Tali contratti prevedono il pagamento all’acquirer, per i vari servizi resi da quest’ultimo, di una commissione (c.d. merchant fee) da parte dell’esercente.

Nel modello integrato in cui l’acquirer coincide con il soggetto distributore è esso stesso a stabilire la commissione che il merchant dovrà corrispondergli per l’accettazione dei pagamenti attraverso le carte MasterCard (merchant fee).

Nell’ipotesi di modello non integrato (caratterizzato dalla presenza di un distributore terzo), il contratto di acquiring è sempre stipulato tra l’esercente stesso e l’acquirer sulla base di una merchant fee definita, in tal caso, dal distributore.

Anche in tale modello, è determinante il ruolo dell’acquirer e della interchange fee che egli deve poi corrispondere all’issuer, in quanto la merchant fee è determinata sulla base di varie voci di costo derivanti dall’accordo di distribuzione tra acquirer e distributore (che includono l’interchange fee, i costi di circuito ed i compensi).

L’interchange fee è, quindi, una componente che incide sulla definizione della merchant fee:

– direttamente, laddove acquirer e distributore coincidano;

– indirettamente, laddove non coincidano, rappresentando una voce di costo che determina l’ammontare complessivo dei costi a carico del distributore.

4.4.2.2 Ciò osservato, è noto che la latitudine espansiva del sindacato dell’eccesso di potere deve, comunque, arrestarsi laddove non siano riscontrabili:

– carenze e/o incongruità del percorso motivazionale

– travisamenti e/o errati apprezzamenti delle circostanze di fatto e/o di elementi di diritto

– o, ancora, manifeste emersioni di elementi di illogicità.

In tale delimitata ottica di consentita criticabilità, la motivazione (per quanto diversamente articolata) a supporto del rigetto degli impegni proposti dalle Banche licenziatarie rivela inaccettabili profili di ellitticità, atteso che l’Autorità ha dimostrato di non essersi data carico della compiuta individuazione (proprio sul presupposto, dalla stessa AGCM ravvisato, della "verifica delle merchant fee in funzione delle MIF di MasterCard, quanto all’impatto sul mercato"):

– innanzi tutto, della diversa funzionalità che il sistema avrebbe potuto rivelare a fronte del contenuto degli impegni proposti sia da MasterCard che dalle licenziatarie, in una ottica necessariamente complessiva attributaria della stretta connessione esistente fra gli ambiti di operatività sul mercato delle seconde rispetto alle determinazioni in ordine alle MIF assunte dalla prima;

– e, secondariamente, della compiuta idoneità degli impegni assunti dai singoli operatori, nel quadro di una valutazione di assetto del sistema fondato sul presupposto ruolo di MasterCard, al fine di rimuovere gli affermati aspetti anticompetitivi.

A fronte della ravvisata criticità (di singoli profili) degli impegni, l’Autorità ben avrebbe potuto (rectius: dovuto) sollecitare tutti i soggetti del sistema (MasterCard e le licenziatarie) a fornire dettagliati (quanto adeguati) elementi valutativi e di giudizio in ordine alla condotta analisi economica di efficienza del sistema in un’ottica pro competitiva a fronte della rimodulazione delle merchant fees – sia pure in un ambito temporalmente limitato – alla luce della determinazione della MIF da parte di MasterCard.

Né tale – eventuale – interlocuzione (peraltro pienamente rispondente al paradigma, costituzionalmente sancito, di corretto esercizio della funzione e, più in generale, di "buona" amministrazione) avrebbe potuto rappresentare una (come si è visto, preclusa) implementazione modificativa degli impegni presentati dalle parti sottoposte a procedimento: ipotesi, quest’ultima, che una legittima applicazione dell’istituto esclude, atteso che non è consentito all’Autorità "modificare" e/o "emendare" il contenuto degli impegni stessi.

Piuttosto, essa ben avrebbe potuto atteggiarsi quale doveroso svolgimento endoprocedimentale volto a chiarificare il percorso logicoargomentativo (e, con esso, le connesse analisi di sistema), per effetto del quale gli impegni in discorso (segnatamente, per quanto riguarda la determinazione del livello delle commissioni interbancarie) avevano assunto una particolare connotazione.

In tale ristretto limite (ulteriormente ribadita l’esclusa sindacabilità nel merito delle scelte di AGCM) le censure appuntate avverso il profilo motivazionale all’esame meritano accoglimento, ancorché esclusivamente con riferimento alla riscontrata inadeguatezza istruttoria che, riverberandosi sull’insufficienza dell’apparato motivazionale esposto nel provvedimento gravato, inficia alla luce dei riscontrati profili, la determinazione di che trattasi.

5. Nei limiti indicati in motivazione, il ricorso si dimostra quindi fondato.

Si impone, conseguentemente e nei limiti medesimi, l’annullamento:

– non soltanto della decisione, in data 22 dicembre 2009, della determinazione con la quale AGCM ha rigettato gli impegni presentati dalle parti del procedimento;

– ma anche – derivativamente – del provvedimento (gravato in via principale) dalla stessa Autorità assunto il 3 novembre 2010, con il quale, a conclusione del procedimento nei confronti delle parti medesime avviato il 15 luglio 2009, è stata disposta l’irrogazione di sanzioni a fronte della ritenuta presenza di illeciti antitrust.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, in tali limiti annulla gli atti impugnati.

Condanna l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella persona del Presidente p.t., al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte ricorrente per complessivi Euro 3.000,00 (euro tremila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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