Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 28-06-2011) 07-07-2011, n. 26587 determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 23/11/2009, la Corte di appello di Catania, confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Siracusa, in data 26/9/2008, che aveva dichiarato – fra gli altri – S. S., So.Ma., So.Fl., V. G., R.C., P.D., St.

A. e A.A. colpevoli di numerose rapine ed altri reati satelliti, condannandoli alle pene di giustizia.

La Corte territoriale respingeva tutte le censure mosse con l’atto d’appello, in punto di trattamento sanzionatorio e, per alcuni appellanti, anche in punto di responsabilità e di qualificazione giuridica dei fatti contestati e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità di ciascun imputato in ordine ai reati ascritti, ed eque le pene inflitte.

Avverso tale sentenza propongono ricorso S.S., So.Ma., So.Fl., V.G., R. C., P.D., St.Al. e A. A..

S.S.:

Deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’aumento di pena applicato in continuazione alla tentata rapina commessa in data 12/3/2007 (capi 45 e 46). Al riguardo si duole che il Gup avrebbe commesso un errore applicando al delitto di rapina tentata lo stesso aumento di pena previsto per le rapine consumate, di cui la Corte d’appello non si sarebbe resa conto.

Successivamente l’avv. Teresa Gigliotti ha depositato memoria insistendo nei motivi e dolendosi dell’eccessività della pena.

So.Ma.:

Deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, dolendosi che la Corte territoriale non abbia tenuto conto adeguatamente del suo comportamento susseguente al reato che lo ha portato a collaborare con gli inquirenti permettendo di far luce su episodi delittuosi che rischiavano di restare impuniti.

So.Fi.:

Deposita due ricorsi, uno redatto personalmente, l’altro a mezzo dell’avv. Sebastiano Troia. Con il primo atto deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, dolendosi che la Corte territoriale non abbia tenuto conto adeguatamente del suo comportamento susseguente al reato che lo ha portato a collaborare con gli inquirenti permettendo di far luce su episodi delittuosi che rischiavano di restare impuniti.

Con il ricorso presentato dall’avv. Troia, deduce il vizio della motivazione ed in particolare si duole che la Corte non abbia dato il giusto peso, negando la prevalenza delle generiche, alle "condizioni di vita individuale, familiare, sociale del reo", come richiesto dall’art. 133, comma 4, facendo presente che il prevenuto era stato spinto a delinquere dalle sue precarie condizioni lavorative, avendo perso il lavoro, con la conseguente impossibilità di provvedere ai bisogni primari della propria famiglia.

V.G.:

Solleva tre motivi di gravame con il quali deduce:

1) Violazione di legge in relazione all’art. 56 c.p., comma 3. Al riguardo si duole che la Corte non abbia riconosciuto l’ipotesi della desistenza volontaria nel comportamento del V. che, recatosi con il complice R.C. per compiere la rapina ai danni dell’Agenzia (OMISSIS) del Banco di Sicilia ad Augusta, si era rifiutato di entrare nei locali della Banca, desistendo dall’azione;

2) Violazione di legge in relazione agli artt. 116, 337 e 582 c.p..

In proposito si duole che sia stata estesa al V. la responsabilità per concorso anomalo nei reati di resistenza a p.u. e lesioni personali, eccependo l’insussistenza del nesso di causalità psichica;

3) Vizio della motivazione. Si duole dell’illogicità della motivazione siccome fondata su elementi ipotetici, privi di riscontro empirico. In particolare contesta le conclusioni assunte dalla Corte territoriale in punto di responsabilità del prevenuto, eccependo che non risulta da alcun elemento processuale che il V. abbia aiutato il R. a dileguarsi.

R.C.:

Deduce violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione dolendosi del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche con criterio di prevalenza;

P.D.:

Deduce il vizio della motivazione ed in particolare si duole che la Corte non abbia dato il giusto peso, negando la prevalenza delle generiche, alle "condizioni di vita individuale, familiare, sociale del reo", come richiesto dall’art. 133, comma 4, facendo presente che il prevenuto era stato spinto a delinquere dalle sue precarie condizioni lavorative, avendo perso il lavoro, con la conseguente impossibilità di provvedere ai bisogni primari della propria famiglia.

St.Al.:

Deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio dolendosi che la Corte territoriale non abbia tenuto conto adeguatamente del suo comportamento susseguente al reato che lo ha portato a confessare spontaneamente l’episodio delittuoso.

A.A.:

Solleva due motivi di gravame. Con il primo motivo deduce violazione di norme processuale e vizio della motivazione dolendosi della dichiarazione di inammissibilità dei motivi d’appello relativi al capo 10 dell’imputazione (rapina ai danni del Banco di Sicilia in data 7/9/2006). Con il secondo motivo si duole della mancata concessione delle attenuanti generiche con criterio di prevalenza.

Motivi della decisione

Tutti i ricorsi sono inammissibili in quanto basati su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

S.S., So.Ma. e St.Al. si dolgono che la Corte d’appello non abbia accolto la loro richiesta di riduzione della pena inflitta in primo grado. Tali censure risultano manifestamente infondate in quanto la Corte ha compiutamente argomentato (fol.7) sulle ragioni per le quali sono state confermate le pene inflitte in primo grado, con motivazione congrua e priva di vizi logici, come tale non censurabile in sede di legittimità, non essendo possibile un intervento in sovrapposizione argomentativa di questa Corte rispetto alle conclusioni legittimamente assunte dai giudici del merito.

So.Fi., R.C. e P.D., sempre in punto di trattamento sanzionatorio, si dolgono che la Corte non abbia accolto la loro richiesta di considerare le già concesse attenuanti generiche con criterio di prevalenza rispetto alle aggravanti contestate, provvedendo, conseguentemente, a ridurre la pena. Anche tali censure sono manifestamente infondate poichè la Corte territoriale ha preso in considerazione i motivi d’appello e li ha respinti (fol.8) con motivazione congrua e priva di vizi logico giuridici. Al riguardo nessuna censura può essere mossa alla motivazione in punto di trattamento sanzionatorio poichè:

"La specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 36245 del 26/06/2009 Ud. (dep. 18/09/2009) Rv. 245596).

V.G.:

Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce la non punibilità del fatto criminoso (rapina) per la desistenza volontaria dell’agente, occorre richiamare l’insegnamento di questa Corte che ha statuito che:

"In tema di desistenza volontaria dal delitto, ai sensi dell’art. 56 c.p., comma 3, la volontarietà della desistenza non deve essere intesa come spontaneità, per cui la desistenza non è esclusa dalla valutazione degli svantaggi che deriverebbero dal proseguimento dell’azione criminosa, sempre che la decisione di interromperla non risulti necessitata. Ed invero, la ragione della previsione normativa della disciplina particolare della desistenza volontaria non risiede nella resipiscenza dell’agente, bensì nella sua ridotta capacità criminosa" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1955 del 07/12/1999 Ud. (dep. 21/02/2000) Rv. 216438).

Tanto premesso, nessuna censura può essere mossa alla sentenza impugnata in quanto, contrariamente a quanto rappresentato dal ricorrente, la Corte non ha eluso il principio di diritto di cui sopra. Essa, infatti, non ha escluso la desistenza ipotizzando che l’agente non abbia compiuto l’atto per la rappresentazione degli svantaggi che ne sarebbero conseguiti, bensì ha ritenuto che, tale rappresentazione può aver spinto il V. a non entrare nei locali della Banca insieme al complice R., senza per questo rinunziare all’azione. Al riguardo la Corte assume che, restando all’esterno il V. avrebbe offerto supporto logistico al R., consentendogli di dileguarsi immediatamente dopo la rapina.

Al riguardo, con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente contesta tale ricostruzione come illogica in quanto dalla compiuta istruttoria non sarebbe emerso alcun elemento idoneo a provare che il V. abbia fornito alcun supporto logistico al R. o che lo abbia aiutato a dileguarsi.

Orbene tali contestazioni si risolvono in censure in fatto, come tali inammissibili in questa sede, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6, 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv.

207944, Dessimone).

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, in punto di mancanza del nesso psichico per il concorso anomalo, le censure risultano manifestamente infondate poichè si basano sul presupposto che il V. abbia desistito dall’azione criminosa. Poichè la Corte territoriale, al contrario, ha ritenuto, con una valutazione in punto di fatto, che il V. non abbia desistito dall’azione criminosa, nessuna censura può essere mossa alle conclusioni assunte sul punto, in quanto la Corte territoriale ha preso in considerazione i motivi d’appello (fol. 12 e 13) e li ha respinti (fol.8) con motivazione congrua e priva di vizi logico giuridici.

Alla luce di quanto sopra, tutti e tre i motivi di ricorso proposti da V.G. devono essere dichiarati inammissibili.

A.A.:

Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la responsabilità dell’imputato per il capo 10 (rapina ai danni del Banco di Sicilia) il motivo è meramente assertivo ed, in ogni caso, per l’assoluta aspecificità, non permette alcuna seria e concreta valutazione delle censure. il ricorrente in tal modo è incorso nel vizio di aspecificità conducente, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità dell’impugnazione (Cass., sez. 6, n. 35656, 6 luglio 2004, Magno).

Anche il secondo motivo di ricorso, in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche prevalenti è inammissibile per manifesta infondatezza.

Al riguardo si richiamano le considerazioni svolte sopra con riferimento all’analogo motivo sollevato da So.Fi., R.C. e P.D..

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00) ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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