Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 24-11-2011, n. 24832 trasferimento azienda

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Società Editrice Il Tempo srl adì il Tribunale di Roma proponendo opposizione avverso un decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti ad istanza dell’Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani "Giovanni Amendola", relativo al pagamento di quanto dovuto per contributi previdenziali e somme aggiuntive, sulla base della sentenza del Tribunale di Rieti in data 4.11.2003, passata in giudicato, che aveva riconosciuto al giornalista C.S. un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica e condannato la Società al pagamento, in favore dell’Istituto previdenziale, dei contributi assicurativi di legge dal 9.6.1990 alla cessazione del rapporto di lavoro; a fondamento dell’opposizione, per quanto ancora qui di interesse, venne dedotto che la ridetta sentenza del Tribunale di Rieti non era passata in giudicato, siccome appellata da entrambe le società convenute (Editrice Romana e Società Editrice Il Tempo), e che, comunque, tra le due Società ed il C. era intervenuto un accordo transattivo nel quale quest’ultimo, a fronte del risarcimento del danno biologico, aveva dichiarato di rinunciare ad ogni domanda e ad ogni altro diritto comunque azionabile, per cui l’Istituto non poteva più avvalersi dell’accertamento compiuto dal Tribunale; in ogni caso, la Società Editrice Il Tempo srl (già Colonna 2000) aveva acquistato l’azienda editrice del quotidiano Il Tempo il 1.6.2001, per cui sino a tale data non era intercorso alcun rapporto con il giornalista C., nè poteva trovare applicazione alla fattispecie l’art. 2112 c.c., siccome non riguardante i crediti verso gli istituti previdenziali; il Giudice adito respinse l’opposizione.

Con sentenza in data 3.6.2009 – 4.1.2010, la Corte d’Appello di Roma respinse l’impugnazione proposta dalla Società Editrice Il Tempo srl, osservando a sostegno del decisum, per ciò che qui ancora specificamente rileva, quanto segue:

dalla documentazione versata in atti emergeva che la ricordata sentenza definitiva del Tribunale di Rieti depositata il 4.11.2003 non era stata impugnata e che i ricorsi d’appello proposti dalle due Società avverso una precedente sentenza non definitiva erano stati dichiarati improcedibili;

con verbale di conciliazione dinanzi alla direzione Provinciale del Lavoro di Rieti in data 31.3.2004, il C., a fronte della ricezione di una somma a titolo di risarcimento del danno, aveva rinunciato, nei confronti della Editrice Romana e della Società Editrice Il Tempo (già Colonna 2000), ad ogni domanda dipendente e/o connessa con il rapporto di lavoro e/o con la successiva cessazione dello stesso; stante l’estraneità dell’Inpgi a tale atto di transazione, lo stesso non poteva tuttavia produrre effetti nei suoi confronti, attesa l’autonomia del rapporto previdenziale rispetto al rapporto di lavoro;

per gli stessi motivi risultava infondato anche il motivo di doglianza concernente il mancato accoglimento dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla società appellante per il periodo precedente la cessione di azienda da parte della Editrice Romana;

nella sentenza non definitiva emessa dal Tribunale di Rieti in data 2.7.2002, passata in giudicato, tale eccezione era già stata esaminata e il Giudicante aveva ritenuto che "in relazione alla nuova formulazione dell’art. 2112 c.c., come introdotta dalla L. n. 428 del 1990, di attuazione della direttiva comunitaria 77/187, il cessionario risponde solidalmente di tutti i crediti che il lavoratore aveva al momento del trasferimento essendo alla data del 29-5-01 ancora in essere il rapporto tra il C. e l’Editrice Romana s.p.a."; il primo Giudice, nella sentenza appellata, aveva dato atto di ciò e su tale passaggio della motivazione non era stato proposto alcuno specifico motivo di impugnazione, rendendo con ciò superata ogni deduzione sugli effetti dell’art. 2112 c.c., rispetto al rapporto previdenziale.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte d’Appello di Roma, la Società Editrice Il Tempo srl ha proposto ricorso per cassazione assistito da tre motivi.

L’Inpgi ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto ( art. 2909 c.c.; art. 324 c.p.c., art. 342 c.p.c., comma 1, artt. 346 e 434 c.p.c.), dolendosi che la Corte territoriale abbia ritenuto il passaggio in giudicato della sentenza di prime cure con la quale era stata respinta la sua eccezione di difetto di legittimazione passiva; ciò in quanto con l’atto d’appello era stato dedotto che la ricordata sentenza del Tribunale di Rieti doveva ritenersi tamquam non esset in ragione della rinuncia ai suoi effetti operata dal C. ed era stato denunciato che, in ordine all’eccezione di inapplicabilità dell’art. 2112 c.c., nella fattispecie all’esame, siccome inerente a crediti di soggetto terzo, quale l’Ente previdenziale, il primo Giudice aveva omesso ogni motivazione.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, argomentando che la Corte territoriale non si era pronunciata sull’eccezione di omessa motivazione da parte del Giudice di primo grado, siccome disattesa attraverso un mero rinvio a quanto stabilito da quest’ultimo.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto ( art. 2112 c.c., commi 1 e 2), deducendo che, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricordata sentenza del Tribunale di Rieti, la norma indicata fa riferimento ai soli diritti discendenti dal rapporto di lavoro subordinato e non può essere estesa ai diritti di soggetti terzi, che, pur avendo quale presupposto di fatto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, sono estranei rispetto a quest’ultimo.

2. I primi due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, siccome fra loro connessi.

La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare reiteratamente che la transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro è estranea al rapporto tra quest’ultimo e l’ente previdenziale, avente ad oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, giacchè alla base del credito dell’ente previdenziale deve essere posta la retribuzione dovuta e non quella corrisposta, in quanto l’obbligo contributivo del datore di lavoro sussiste indipendentemente dal fatto che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d’opera, ovvero che questi abbia rinunziato ai suoi diritti;

conseguentemente, attesa l’autonomia tra i due rapporti, la transazione suddetta non spiega effetti riflessi nel giudizio con cui l’ente previdenziale fa valere il credito contributivo (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 3122/2003; 55334/2003; 17670/2007; 17495/2009).

Da tali principi, seguiti nella sentenza impugnata, discende l’irrilevanza, nei confronti dell’Inpgi, della transazione conclusa tra il giornalista C. e le Società datrici di lavoro; è quindi infondato l’assunto secondo cui l’avvenuta stipula di tale transazione avrebbe resa tamquam non esset la più volte ricordata pronuncia del Tribunale di Rieti e, conseguentemente, impedito la formazione del giudicato.

L’accertamento fattuale di tale passaggio in giudicato, nei termini indicati nella sentenza qui impugnata, rende priva di interesse la doglianza inerente al dedotto vizio motivazionale relativo all’eccezione di inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 2112 c.c., posto che la copertura del giudicato esclude la riproposizione delle questioni, giuridiche e di fatto, inerenti a statuizioni ormai, per tale motivo, non più controvertibili fra le parti (e ciò fermo restando che, comunque, la Corte territoriale ha puntualmente spiegato le ragioni per cui sulla statuizione inerente alla sussistenza del credito previdenziale dedotto in giudizio si era formato il giudicato).

I motivi all’esame vanno quindi disattesi, restando assorbita la disamina del terzo (siccome, appunto, perchè inerente a questione su cui già si è formato il giudicato).

3. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 50,00 oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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