Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 28-06-2011) 07-07-2011, n. 26584 impugnazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 23 settembre 2010, la Corte di appello di Genova, in riforma della sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città in data 11 maggio 2009 nei confronti di F.V., ha dichiarato il medesimo colpevole dei reati di rapina e porto di taglierino al medesimo ascritti e ritenuta la continuazione ed applicata la diminuente per il rito abbreviato lo ha condannato alla pena di anni cinque e mesi due di reclusione ed Euro 1.800 di multa.

Propone ricorso per cassazione il difensore il quale lamenta che il ricorso del procuratore generale, poi convertito in appello, non sia stato notificato alla difesa, in tal modo impedendole di proporre appello incidentale. Deduce, in particolare, che, nel frangente, essendo stato proposto ricorso per cassazione poi convertito in appello, il sistema processuale pregiudica la parte non ricorrente, in quanto non è prevista la notifica dell’atto di appello per la proposizione dell’appello incidentale. Pertanto, una volta restituiti gli atti alla Corte di appello, al F. doveva essere notificato, a norma dell’art. 584 cod. proc. pen., l’atto di impugnazione del procuratore generale e l’estratto della sentenza di conversione del ricorso in appello, con decorrenza da tale data dei termini per la proposizione dell’appello incidentale. Tale invalidità sarebbe stata sanata se la Corte avesse concesso il termine per esercitare l’indicata facoltà, ma nella specie, la stessa Corte, con ordinanza del 23 settembre 2010, ha respinto la richiesta. Si sostiene, poi, che il ricorso convcrtito in appello conserva la sua natura di impugnazione di legittimità, con al conseguenza che il giudice dell’appello è chiamato a vagliare la ammissibilità delle censure di legittimità: verifiche, che, invece, la Corte territoriale non avrebbe compiuto. Si contesta, poi, la correttezza dei criteri di valutazione del materiale probatorio operata dalla Corte territoriale, alla luce della giurisprudenza formatasi in ordine ai rigorosi compiti che spettano al giudice di appello, ove riformi una sentenza di assoluzione. In particolare, si mettono in evidenza i passaggi della sentenza di primo grado che sarebbero stati trascurati in quella di appello e si sottolinea come nel frangente siano stati svalutati gli argomenti in forza dei quali il primo giudice aveva negato univocità indiziante a circostanze invece valorizzate nel secondo grado di giudizio, secondo un iter logico che si reputa incoerente e contraddittorio. In conclusione, non sarebbe stata rispettata la regola che consente l’affermazione della responsabilità soltanto ove essa risulti oltre ogni ragionevole dubbio.

Il ricorso è infondato. A proposito dei diffusi rilievi concernenti la pretesa vanificazione del diritto di proporre appello incidentale, basta rilevare che – contrariamente alla tesi del ricorrente, che mostra di ritenere l’appello incidentale alla stregua di un rimedio volto esclusivamente a contrastare l’appello principale e non a delineare una impugnazione contro la sentenza appellata – va rammentato che l’imputato assolto con la formula pienamente liberatoria "per non aver commesso il fatto", anche se per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, non è legittimato a proporre appello, neanche incidentale, avverso la relativa sentenza, per carenza di un apprezzabile interesse all’impugnazione, salvo che nella eccezionale ipotesi – che certo non ricorre nella specie – in cui l’accertamento di un fatto materiale oggetto del giudizio penale conclusosi con sentenza dibattimentale, sia suscettibile, una volta divenuta irrevocabile quest’ultima, di pregiudicare, a norma e nei limiti segnati dall’art. 654 del codice di rito, le situazioni giuridiche a lui facenti capo, in giudizi civili o amministrativi diversi da quelli di danno e disciplinari regolati dagli artt. 652 e 653 cod. proc. pen. (Cass., Sez. un., 30 ottobre 2003, P.G., Andreotti e altro). D’altra parte, le insistite censure svolte dal ricorrente al riguardo si rivelano come formulate in via del tutto ipotetica ed astratta, non avendo il ricorrente stesso provveduto in alcun modo a formulare un appello incidentale, ancorchè tardivo.

Palesemente fuori bersaglio si rivela, poi, la deduzione secondo la quale nella specie il ricorso del pubblico ministero avrebbe mantenuto la sua natura di rimedio di legittimità, ancorchè convcrtito in appello: l’assunto, infatti, trova una sua ragion d’essere soltanto con riferimento all’istituto di cui all’art. 580 cod. proc. pen., il quale prevede la conversione del ricorso in appello quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi e sussista connessione a norma dell’art. 12 cod. proc. pen. (istituto per il quale è coerente che il rimedio impugnatorio di legittimità, correttamente attivato, mantenga i suoi requisiti anche se "trasferito" davanti al giudice di appello); ma non certo in ipotesi di conversione per riqualificazione del mezzo di impugnazione, a norma dell’art. 568, comma 5, o di conversione a seguito di revisio per saltum di cui all’art. 569 c.p.p., comma 3. A fortiori, dunque, in ipotesi in cui, come nella specie, la conversione in appello sia stata determinata (v. al riguardo l’ordinanza di questa Corte n. 20648 dell’11 maggio 2010, in questo stesso procedimento) dalla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 433 cod. proc. pen., pronunciata con la sentenza n. 320 del 2007, nella parte in cui tale norma, per come novellata, precludeva appunto la possibilità da parte del pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento pronunciate a seguito di giudizio abbreviato.

Le restanti censure sono invece palesemente inammissibili, in quanto il ricorrente si limita a formulare rilievi che pertengono unicamente ai fatti ed alla relativa valutazione già operata nelle competenti sedi, con motivazione ampia e del tutto coerente. I motivi rassegnati in punto di responsabilità risultano, dunque, solo formalmente evocativi dei prospettati vizi di legittimità, ma in concreto sono articolati esclusivamente sulla base di deduzioni di merito, tendenti ad una rivalutazione delle relative statuizioni adottate dalla Corte territoriale. Statuizioni, per di più, sviluppate, come si è accennato, sulla base di un esauriente corredo argomentativo, proprio sui punti – in particolare attraverso la integrale ed attenta rilettura critica del materiale probatorio, condotta secondo prospettive contrastanti rispetto a quelle coltivate in prime cure – in relazione ai quali il ricorrente ha svolto le proprie doglianze, evidentemente tese ad un improprio riesame del fatto, estraneo al perimetro entro il quale può svolgersi il sindacato riservato a questa Corte.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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