T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 11-07-2011, n. 6169 concorrenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il provvedimento impugnato, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha accertato una duplice violazione dell’art. 101 TFUE, realizzata mediante due illeciti anticoncorrenziali tra loro strettamente connessi che hanno interessato il mercato dell’acquiring delle carte di pagamento.

Più precisamente, l’Autorità ha ritenuto che:

– MasterCard Incorporated abbia posto in essere, mediante deliberazione di una associazione di imprese, un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 101 TFUE, avente per oggetto la definizione di una commissione interbancaria multilaterale (MIF), che rappresenta una soglia minima comune a tutte le licenziatarie del circuito, senza alcuna giustificazione economica;

– MasterCard e le banche licenziatarie abbiano posto in essere un fascio di intese verticali in violazione dell’art. 101 TFUE, rappresentate dai contratti di licenza tra il circuito MasterCard e le singole banche, avente per oggetto il trasferimento della MIF sulle merchants, nonché l’applicazione di specifiche clausole che avrebbero l’effetto di ampliare la portata restrittiva di tale commissione nel mercato dell’acquiring.

La responsabilità per il primo illecito anticoncorrenziale è stata addebitata esclusivamente a MasterCard, nei cui confronti è stata irrogata una sanzione pecuniaria pari a Euro 2.700.000,00, con la diffida dal mantenere una MIF specifica per l’Italia, così come oggi definita a livello nazionale in assenza di motivazioni economiche connesse all’efficienza complessiva del sistema.

UniCredit S.p.A., nonché le altre banche licenziatarie del circuito, sono state sanzionate ciascuna per avere concluso con Mastercard una intesa verticale e nel presupposto che queste intese, tutte insieme, avrebbero dato luogo ad un presunto "fascio di intese verticali" in violazione dell’art. 101 TFUE; e sono state così diffidate dall’applicare le regole del circuito cui rinviano i contratti di

licenza e le clausole nei contratti con gli esercenti che limiterebbero il confronto competitivo nei mercato dell’acquiring.

Dunque, in questa vicenda sono stati contestati due illeciti anticoncorrenziali, ciascuno corrispondente ad una tipologia ben determinata di intesa anticoncorrenziale:

– MasterCard per aver dato luogo ad una delibera di associazione di imprese;

– ancora una volta MasterCard, insieme alle singole banche, per aver concluso, nel presupposto della illiceità della MIF, una intesa verticale.

Sinteticamente illustrato il funzionamento dei sistemi di pagamento tramite carte elettromagnetiche, con particolare riferimento al sistema "a quattro parti" utilizzato dal circuito MasterCard, parte ricorrente evidenzia che l’istruttoria di AGCM è stata avviata avendo quale riferimento diretto e necessario la decisione che la Commissione europea ha assunto nei confronti del circuito MasterCard (Decisione della Commissione del 19 dicembre 2007).

Con la decisione del 2007, infatti, la Commissione ha ritenuto che la determinazione della MIF transfrontaliera da parte del circuito MasterCard rappresentasse una violazione dell’art. 81 TUE (oggi art. 101 TFUE) realizzata mediante una delibera di associazione di imprese.

In particolare, la Commissione, pur ritenendo che nell’ambito dell’operare del Board di MasterCard vi fossero i requisiti strutturali di una associazione di imprese e che la fissazione della MIF fosse una delibera anticoncorrenziale, non ha potuto né mai voluto affermare che le banche licenziatarie fossero anch’esse suscettibili di essere coinvolte nel procedimento e sanzionate.

Ciò è avvenuto in considerazione del noto principio antitrust secondo cui la singola impresa non può essere in nessun caso punita qualora non vi sia un suo contributo duetto alla delibera di associazione di imprese.

Nel caso comunitario, quindi, le banche licenziatarie non sono state in nessun modo coinvolte proprio perché si è ritenuto non potessero essere componenti attive della delibera di associazione di imprese.

La rammentata decisione della Commissione è stata impugnata da MasterCard ed è attualmente sottoposta al vaglio giurisdizionale del Tribunale (già Tribunale di Primo Grado dell’Unione Europea).

Questi i dedotti argomenti di censura avverso la conclusiva determinazione nel procedimento all’esame assunta dall’Autorità:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE. Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del Regolamento comunitario n. 330/2010. Carenza di istruttoria ed errore nei presupposti. Irragionevolezza. Difetto di motivazione. Violazione dell’art. 16, comma 2, del Regolamento comunitario n. 1/2003. Eccesso di potere per omessa valutazione di circostanze di fatto e di diritto rilevanti.

L’illecito contestato ad UniCredit è una intesa verticale con MasterCard, la quale viene illustrata dall’Autorità come componente di un "fascio di intese verticali".

Tale ricostruzione sarebbe errata ed illegittima, in quanto:

– non dimostra affatto l’esistenza dei requisiti di una intesa verticale, restando anzi lontanissima da quel che sul piano strutturale è richiesto dall’ordinamento comunitario e nazionale affinché i rapporti verticali tra due imprese operanti nell’ambito della medesima filiera possano dar vita ad un’intesa vietata dall’art. 101 TFUE;

– fa un uso improprio e non rispondente al diritto positivo del concetto di fascio di intese verticali;

– è in contrasto con la ricostruzione effettuata, nella medesima vicenda fattuale, dalla Commissione e quindi con l’art. 16 del Regolamento n. 1 del 2003.

L’ipotizzata infrazione consistente nel fascio delle intese verticali non trova riscontro in nessun precedente giurisprudenziale né in precedenti della stessa Autorità o della Commissione europea.

L’Autorità ha compiuto un uso assolutamente improprio della nozione di reti parallele di accordi verticali che figura nel recente regolamento comunitario n. 330/2010.

Osserva parte ricorrente come tale testo normativo riconosca una esenzione automatica dal divieto di intese restrittive ove sussistano alcune particolari giustificazioni previste dall’art. 101.3 TFUE (intese che, pur avendo i requisiti strutturali effettivi di una intesa verticale punibile, per la loro limitata portata individuale non sono punite).

Il Regolamento ha reintrodotto una prescrizione di punibilità delle intese verticali allorché esse appaiono in numero elevato e tra loro parallele: l’effetto cumulativo assumendo rilevanza soltanto per derogare l’esenzione concessa ad accordi illeciti.

La rilevanza giuridica delle "reti parallele", quindi, presuppone anzitutto l’esistenza di (almeno) un’intesa verticale illecita, accertata in tutti i suoi requisiti essenziali; e presuppone, altresì, che ciascuna singola intesa verticale, provata nei suoi contenuti, abbia, se valutata individualmente, una portata de minimis e non restrittiva della concorrenza.

Qui entrerebbe in gioco il concetto di "reti parallele", il quale serve unicamente a risolvere il problema dell’assenza di portata restrittiva della concorrenza, ma non ad eludere i requisiti essenziali dell’intesa verticale ed a sostituirli grazie al concetto di "fascio di intese verticali".

Anziché spiegare perché vi fosse qui una intesa illecita, quali fossero i suoi requisiti (e soprattutto anziché spiegare perché potesse dirsi sussistente una intesa illecita benché essa avesse ad oggetto solo una componente di costo del servizio e non direttamente la fissazione del prezzo), AGCM ha posto l’accento sul "fascio" di intese, assorbendo nell’esistenza di questo parallelismo ogni indagine sui requisiti dell’intesa verticale.

Il ragionamento sviluppato nel provvedimento sembra evocare il concetto di pratica concordata e di parallelismo nei comportamenti che, viceversa ha una valenza di qualificazione delle intese orizzontali, non esistenti – né contestate – nella fattispecie all’esame.

In altri termini, l’Autorità avrebbe dovuto dapprima dimostrare la natura anticoncorrenziale dei singoli accordi di licenza e, solo dopo aver assolto a tale onere probatorio, avrebbe avuto senso richiamare la fattispecie del fascio di intese.

Nel caso in esame, viene contestata la presenza dei requisiti di quell’illecito antitrust che consiste nell’intesa verticale e che è previsto dall’art. 101 TFUE.

Una volta fissata una commissione unilaterale a livello di circuito, il grado di concorrenza tra acquirer resta sempre pienamente sviluppabile, poiché il confronto competitivo si esplica sulle altre variabili di costo e sui servizi aggiuntivi che determinano merchant fee differenziate.

Proprio per il fatto che le altre voci di costo esistono e che esse, sommate alla MIF, restano al di sotto della merchant fee, la presunta intesa verticale nulla ha a che vedere con le intese verticali sul prezzo, le uniche effettivamente punibili.

Le merchant fee, del resto, sono il risultato di una negoziazione condotta esclusivamente tra acquirer e singoli esercenti, e vengono comunque determinate in considerazione di una molteplicità di parametri di valutazione diversificati a seconda del cliente e del tutto indipendenti dalla MIF (tra cui, gli incassi delle carte, il numero delle transazioni, lo scontrino medio; il numero dei punti vendita; il numero dei terminali e la tipologia, la proprietà dei terminali).

Perché vi sia una intesa, inoltre, è necessaria una volontà di almeno due parti.

L’intesa, secondo AGCM, si sarebbe realizzata mediante il contratto di licenza che lega MasterCard ad UniCredit ed avrebbe riguardato la MIF.

Vi sono, tuttavia, due dati inconfutabili che ostano a questa ricostruzione:

– la MIF è una variabile fissata, per tutto il circuito, da MasterCard ed imposta a tutti coloro che al circuito intendano aderire;

– la relativa facoltà di fissazione di essa da parte di MasterCard. è prevista nel contratto di licenza, che è un contratto predisposto con condizioni generali ed unilaterali da MasterCard e quindi sostanzialmente imposto a ciascun licenziatario. senza possibilità di inserire modifiche nel medesimo.

Né il contratto di licenza e le regole del circuito contengono alcuna istruzione diretta agli acquirer inerente alla fissazione delle merchant fee.

Nel rilevare come l’assenza di prove di un coordinamento tra UniCredit ed il Circuito sia assoluta (mancando pur sempre la dimostrazione dell’intesa verticale), relativamente alla circostanza che nei contratti di convenzionamento venga utilizzata una merchant fee unica non distinta tra circuiti (c.d. blended), viene precisato che tale modalità di indicazione della merchant fee è stata adottata da UniCredit, sulla base di specifiche richieste degli stessi esercenti convenzionati, che, per loro comodità funzionale, hanno optato per questo sistema.

Nel sottolineare di aver dato compiutamente conto delle illustrate circostanze in corso di istruttoria, si duole poi UniCredit che esse non siano state tenute in alcuna considerazione.

Soggiunge, peraltro, che non vi sarebbe alcuna prova che nel sistema sia presente l’effetto anticoncorrenziale paventato dall’Autorità, al contrario risultando dal fascicolo istruttorio la prova contraria: ovvero, l’esistenza di una forte e serrata concorrenza nel mercato dell’acquiring e, quindi, l’assenza di alcun effetto anticoncorrenziale in qualche misura riconducibile alla MIF ed ai contratti di licenza o alle clausole presenti nei contratti di convenzionamento degli esercenti.

Deduce poi la ricorrente la violazione dell’art. 16 del Regolamento comunitario n. 1/2003, atteso che il provvedimento impugnato, nella parte in cui configura una intesa verticale a carico delle banche, non solo non trova riscontro in alcun precedente ma, senza alcuna motivazione, si muove persino in contrasto con il proprio unico, diretto e necessario riferimento, ossia la decisione della Commissione del 2007.

La Commissione, una volta ritenuta sussistente la delibera di associazione di imprese, non ha affatto coinvolto le singole banche e non si è spinta ad ipotizzare l’esistenza di intese anticoncorrenziali tra il circuito e le singole licenziatarie, né tantomeno l’esistenza di un fascio di intese siffatte.

AGCM pertanto, anziché sanzionare le banche per l’inesistente fascio di intese verticali, avrebbe dovuto attenersi all’indirizzo espresso in sede comunitaria, atteso il chiaro disposto dell’art. 16, comma 2, del Regolamento UE n. 1/2003 secondo cui "quando le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri si pronunciano su accordi, decisioni o pratiche ai sensi dell’articolo 81 o dell’articolo 82 del trattato che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione".

AGCM avrebbe ipotizzato la sussistenza dei "fascio di intese verticali" al solo fine di ampliare la punibilità, mentre la Commissione Europea ha correttamente arrestato il suo accertamento alla delibera di associazione di imprese.

2) In via subordinata, violazione dell’art. 101 TFUE. Eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto di motivazione e carenza di istruttoria. Irragionevolezza. Sviamento di potere.

Qualora fosse accertata l’insussistenza della delibera di associazione di imprese, ne seguirebbe il venir meno dell’intesa verticale attribuita alle banche aderenti al circuito.

Il c.d. fascio di intese verticali, infatti, postula che la definizione della MIF a livello di circuito rappresenti una condotta anticoncorrenziale, poiché, se così non fosse, anche il successivo (presunto) trasferimento della MIF sugli esercenti non potrebbe determinare alcuna restrizione della concorrenza.

In tale prospettiva, afferma UniCredit che l’intesa orizzontale ipotizzata da AGCM sia fondata su un presupposto del tutto erroneo, ossia sulla circostanza che MasterCard sia qualificabile come un’associazione di imprese.

Il circuito avrebbe perso certamente tale natura a seguito della quotazione in borsa avvenuta nel 2006 e del conseguente cambiamento nelle sue regole di governante.

MasterCard è una società per azioni quotata in borsa, che agisce nell’esclusivo interesse dei propri azionisti di maggioranza; le banche, invece, sono oggi una minoranza azionaria priva di poteri idonei a determinare la volontà decisionale della società.

In altre parole, a seguito delle modifiche fondamentali avvenute nel suo assetto azionario e nella sua struttura di governance, MasterCard è diventato senza dubbio alcuno un soggetto imprenditoriale autonomo e indipendente, che agisce esclusivamente nell’interesse dei propri azionisti, in grandissima maggioranza investitoli e risparmiatori non legati in alcun modo alle banche licenziatarie, e ha perso certamente ogni tratto di natura corporativa".

Anche a voler ritenere che MasterCard sia qualificabile come associazione di imprese, resta il fatto che la definizione della MIF non rappresenta comunque il risultato di una delibera di associazione di imprese, poiché essa viene determinata unilateralmente dal management di MasterCard senza alcun contributo, neppure indiretto, da parte delle banche licenziatarie.

Non vi è dunque alcun contributo delle banche alla determinazione della MIF che, per questa ragione, non può rappresentare il risultato di una delibera di associazione di imprese

3) Ancora in via subordinata. Violazione degli artt. 14 e 14ter della legge 287/1990. Invalidità dell’intero provvedimento sanzionatorio per effetto della sentenza TAR Lazio n. 33474/2010.

Il riferimento è alla più volte richiamata pronuncia di questa Sezione che ha accolto il ricorso proposto da MasterCard avverso il provvedimento AGCM di rigetto degli impegni.

L’annullamento di tale delibera produce un effetto invalidante che si trasmette sull’intero provvedimento finale: non soltanto per la parte relativa all’accertamento della delibera di associazione di imprese ma anche, necessariamente, sull’accertamento relativo al fascio di intese verticali (che ha come presupposto proprio l’infrazione a monte contestata al Circuito).

Dovendo essere riaperto il procedimento sanzionatorio, ne risulta l’inevitabile travolgimento del provvedimento finale; il relativo effetto viziante e/o caducante non potendo essere limitato al solo accertamento della delibera di associazione di imprese, ma estendendosi anche alla contestazione del "fascio di intese verticali" (in quanto la presunta illiceità di tale seconda fattispecie "si nutre" direttamente della illiceità della delibera di associazione di imprese).

4) In via di ulteriore subordine. Violazione e falsa applicazione dell’art. 15 della legge 287/1990 e dell’art. 11 della legge 689/1981. Violazione del principi di proporzionalità della sanzione rispetto alla pravità dell’illecito. Violazione dell’art. 3 della legge 689/1981 sul principio di necessaria colpevolezza. Carenza assoluta di motivazione.

Contesta poi la ricorrente la scelta di configurare il presente illecito – ove configurabile come tale – quale infrazione "grave" ai sensi dell’art. 15, comma 1, della legge 287/1990 e di poterne quindi far seguire l’applicazione di una sanzione pecuniaria.

Il fascio di intese verticali non avrebbe determinato alcuna sensibile restrizione della concorrenza poiché il mercato dell’acquiring è attualmente un mercato estremamente competitivo.

Oltretutto, gli effetti sui consumatori, diversamente da quanto sostenuto da AGCM, non sono affatto negativi, in quanto:

– i merchants godono di servizi importanti, tra i quali la garanzia di pagamento, che superano abbondantemente il costo della merchant fee;

– i consumatori, a loro volta, grazie alla MIF, beneficiano di costi di utilizzo delle carte praticamente nulli.

La presenza di effetti positivi per i consumatori confermerebbe l’applicabilità anche al caso di specie del generale orientamento secondo cui le intese verticali rappresentano un illecito anticoncorrenziale di minor gravità, in quanto esse non coinvolgono imprese dirette concorrenti e possono determinare (come avviene nel caso in esame) guadagni di efficienza per le imprese con conseguenti effetti positivi per il mercato.

Il legittimo affidamento riposto da UniCredit nella liceità del funzionamento del sistema MasterCard, in ogni caso, dimostrerebbe la completa assenza dell’elemento soggettivo da parte dell’autore del presunto illecito, ai sensi dell’art. 3 della legge 689/1981.

Il provvedimento avrebbe, poi, omesso di considerare l’atteggiamento particolarmente collaborativo mostrato da UniCredit nel corso del procedimento; né avrebbe valutato la posizione della ricorrente nel mercato dell’acquiring (nel quale UniCredit detiene una quota molto esigua).

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L’Autorità intimata, costituitasi in giudizio, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte dalla parte ricorrente, conclusivamente insistendo per la reiezione del gravame.

La domanda di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, dalla parte ricorrente proposta in via incidentale, è stata dalla Sezione accolta con ordinanza n. 393, pronunziata nella Camera di Consiglio del 28 gennaio 2011.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 22 giugno 2011.

Motivi della decisione

1. Con ricorso n. 2203 del 2010, MasterCard Incorporated, MasterCard International Incorporated e MasterCard Europe S.p.r.l. hanno impugnato, dinanzi a questo Tribunale, il provvedimento con il quale AGCM, il 22 dicembre 2009, aveva rigettato gli impegni dalla stesse parti presentati ai sensi dell’art. 14ter della legge 287/1990 nel quadro del procedimento 1720 – Carte di credito.

Anche gli impegni presentati dagli altri Istituti di credito interessati dal medesimo procedimento – quantunque diversamente atteggiati anche in relazione alla specificità della posizione al riguardo vantata dai singoli soggetti – venivano parimenti rigettati da AGCM.

Tale determinazione – alla quale ha fatto, poi, seguito, il provvedimento oggetto del presente gravame – non veniva peraltro impugnata dai suddetti Istituti di credito in via autonoma, diversamente da quanto come sopra effettuato da MasterCard.

Impregiudicate, per il momento, le conseguenze riverberate sul presente giudizio dalla strategia processuale diversamente adottata dalle parti del procedimento di cui sopra, giova soggiungere che il giudizio incardinato da MasterCard avverso la decisione di rigetto degli impegni è stato da questa Sezione definito con sentenza n. 33474 del 16 novembre 2010.

Avverso la sentenza anzidetta, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato interponeva appello dinanzi alla Sezione VI del Consiglio di Stato, distinto al R.G. dell’anno 2011 con il n. 87.

La stessa Autorità, peraltro, nelle more della pubblicazione della decisione come sopra resa in prime cure, definiva il procedimento preordinato all’accertamento di violazioni antitrust, adottando, in data 3 novembre 2010, il provvedimento oggetto della presente impugnativa, con il quale:

– a MasterCard, qualificata come associazione di imprese, veniva ascritta la costituzione di un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, avente ad oggetto la definizione di una commissione interbancaria multilaterale (MIF) per i pagamenti con carta di credito;

– ed alle banche licenziatarie dello suo circuito veniva contestato di avere posto in essere un "fascio di intese verticali", in violazione dell’articolo 101 TFUE, avente per oggetto il trasferimento della MIF MasterCard nazionale sulle merchant fee applicate dai licenziatari agli esercenti convenzionati, nonché l’applicazione da parte degli stessi licenziatari di specifiche clausole che avrebbero ampliato la portata restrittiva di tale commissione nel mercato dell’acquiring.

Il ricorso in appello come sopra proposto avverso la sentenza resa a fronte del rigetto degli impegni MasterCard veniva trattenuto per la decisione dalla Sezione VI del Consiglio di Stato all’udienza pubblica del 15 marzo 2011; in esito alla quale – e, quindi, di seguito al passaggio in decisione della causa – il Collegio giudicante:

– rilevata la presenza di "seri dubbi in ordine alla ammissibilità del ricorso proposto in primo grado dalle società del gruppo MasterCard, in relazione alla questione dell’impugnabilità (immediata ovvero differita) del provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato" aveva respinto "la proposta di impegni formulata da un’impresa coinvolta in un’istruttoria per l’accertamento di illeciti antitrust"

– assegnava alle parti un termine di quindici giorni "per presentare memorie vertenti su quest’unica questione".

Nuovamente portata in decisione la controversia alla pubblica udienza del 29 aprile 2011, la Sezione VI rendeva il dispositivo di sentenza n. 2587/2011 pubblicato il successivo 2 maggio, con il quale – definitivamente pronunciando sull’appello – lo accoglieva e per l’effetto annullava senza rinvio la decisione impugnata dichiarando inammissibile l’originario ricorso.

2. Nell’osservare come, al momento in cui il presente gravame viene trattenuto in decisione, le motivazioni della sentenza da ultimo citata non risultano essere state ancora pubblicate, nondimeno l’adozione di una pronunzia in rito rende evidente che il Giudice d’appello abbia ritenuto non autonomamente impugnabile la determinazione con la quale l’Autorità abbia rigettato gli impegni proposti ai sensi dell’art. 14ter della legge 287/1990.

Tale disposizione, giova rammentarlo, stabilisce che "entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento della violazione degli articoli 2 o 3 della presente legge o degli articoli 81 o 82 del Trattato CE, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria. L’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione".

Sotto un profilo strutturale, la presentazione degli impegni introduce, all’interno del procedimento "principale" avviato con l’apertura dell’istruttoria da parte di AGCM, una subsequenza procedimentale la cui definizione è suscettibile di riverberare conseguenze su quest’ultimo, nel senso che l’accettazione degli impegni ne determina la chiusura, precludendo l’eventuale accertamento dell’infrazione.

Tassative sono le ipotesi nelle quali lo stesso art. 14ter (comma 3) consente all’Autorità la riapertura d’ufficio del procedimento, in presenza:

– di una situazione di fatto modificata rispetto ad un elemento su cui si fonda la decisione

– della contravvenzione, da parte delle imprese interessate, agli impegni dalle medesime assunti,

– ovvero, dell’incompletezza, inesattezza o del carattere fuorviante delle informazioni trasmesse dalle parti sulle quali si sia fondata la decisione di accoglimento degli impegni.

Nel rinviare a quanto nella sopra citata sentenza n. 33474/2010 diffusamente esposto con riferimento alla ritenuta immediata impugnabilità della decisione di rigetto degli impegni – in merito alla quale la Sezione non può che ribadire il proprio convinto convincimento, pur nell’attesa di conoscere le (evidentemente non omogenee) conclusioni alle quali è diversamente pervenuto il Giudice d’appello – il thema decidendum posto all’attenzione del Collegio per effetto dell’odierna impugnativa propone, in primo luogo, la questione in ordine alla rilevanza assunta dalla decisione di che trattasi ai fini (non soltanto del prosieguo dell’iter procedimentale avviato dall’Autorità con l’apertura dell’istruttoria; ma, soprattutto) dell’adozione della conclusiva effusione provvedimentale.

Tale problematica è trasversale all’intero complesso dell’impugnative proposte avverso il provvedimento finale dell’Autorità in data 3 novembre 2010 – tutte portate in decisione all’odierna pubblica udienza – atteso che:

– se gli Istituti di credito (asseritamente) parte dell’intesa illecita hanno impugnato siffatta determinazione in una con il gravame proposto avverso l’atto conclusivo del procedimento (secondo una strategia processuale che, alla stregua di quanto osservato, appare omogenea alle valutazioni espresse dal Giudice d’appello);

– diversamente MasterCard, in esito alla pubblicazione del dispositivo di sentenza del quale si è dato precedentemente conto, ha gravato con motivi aggiunti, nell’ambito del giudizio proposto avverso il provvedimento anzidetto, la decisione di rigetto degli impegni.

Se l’interesse alla proposizione del mezzo di tutela da ultimo indicato si è, con ogni evidenza, radicato proprio a seguito della pubblicazione del dispositivo di che trattasi (costituendo in capo a MasterCard una evidente legittimazione alla sollecitazione di una tutela giurisdizionale, altrimenti preclusa), deve conseguentemente ritenersi che:

– ferma l’inequivoca ammissibilità dell’impugnative con le quali, in una con la critica del conclusivo provvedimento dell’Autorità, venga ulteriormente eccepita l’illegittimità della (presupposta; o, almeno, anteriore) decisione di rigetto degli impegni (nel quadro di una sistematica di sollecitazione della tutela giurisdizionale che, si ripete, "appare" omogenea alle considerazioni che, con ogni evidenza, hanno ispirato la decisione assunta dalla Sezione VI del Consiglio di Stato in ragione della pubblicazione del dispositivo della quale si è innanzi dato conto)

– parimenti ammissibile si dimostra la critica nel caso di MasterCard veicolata a mezzo di motivi aggiunti (successivamente) proposti avverso la reiezione degli impegni (autonomamente impugnata con autonomo mezzo di tutela), atteso che (impregiudicata ogni valutazione in ordine alla correttezza logicogiuridica del percorso valutativo che ha condotto il Giudice d’appello alla declaratoria di inammissibilità anzidetta), quanto meno la novità della questione (inedita nel panorama giurisprudenziale) ben si presta all’applicazione dell’art. 37 cpa, la cui operatività è, come noto, veicolata anche dalla rilevata presenza di "oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto".

3. Sgombrato il campo dalle ipotizzabili questioni in rito che si pongono con carattere di preliminare rilevanza – e, conseguentemente, dato atto della piena esaminabilità dell’intero novero dei ricorsi portati in decisione all’odierna udienza – non può esimersi il Collegio dal rivolgere la propria attenzione sul rapporto intercorrente fra la decisione con la quale l’Autorità, ai sensi del citato art. 14ter, rigetti l’assunzione degli impegni ed il conclusivo provvedimento con cui (proseguito il procedimento) venga accertata l’infrazione alla disciplina antitrust e, conseguentemente, applicato il previsto apparato sanzionatorio.

Il ventaglio di ipotesi che, in linea di principio, si propone all’interprete può così configurarsi:

– assoluta insensibilità della conclusiva determinazione rispetto alla precedente decisione in materia di impegni;

– invalidità del provvedimento finale in ragione della (eventuale) illegittimità della decisione ex art. 14ter, sotto il profilo della presenza di un effetto direttamente caducante;

– invalidità rilevante, sulla base del medesimo presupposto, ma con carattere meramente viziante.

3.1 La prima delle delineate opzioni va senz’altro scartata.

Se è ben vero che la (sub)sequenza avviata dalla presentazione degli impegni muove da un’iniziativa di parte a carattere meramente eventuale, non può omettere il Collegio di sottolineare due aspetti aventi sicura rilevanza in argomento:

– in primo luogo, a fronte della presentazione degli impegni, l’Autorità è obbligata a rendere una decisione, nel senso dell’accoglimento – ovvero del rigetto – di questi ultimi;

– secondariamente – ed è questo il nesso di conseguenzialità fra sequenze procedimentali la cui rilevanza non può essere eclissata – il prosieguo del procedimento principale (e la definizione di quest’ultimo) è condizionata al mancato accoglimento degli impegni stessi, in quanto una decisione positiva in ordine a questi ultimi determina, come si è avuto modo di vedere, un arresto procedimentale la cui irreversibilità viene meno nelle sole ipotesi descritte al comma 3 dell’art. 14ter.

Può quindi convenirsi in ordine alla presenza:

– non solo di distinte serie procedimentali, una delle quali ad innesto eventuale rispetto al "principale" percorso avviato con l’apertura dell’istruttoria

– ma anche di un collegamento fra procedimenti, realizzato attraverso la "sensibilità" – normativamente contemplata – che le vicende riguardanti il procedimento "principale" dimostrano rispetto a quelle concernenti la valutazione degli impegni, atteso che l’accoglimento di questi ultimi preclude la prosecuzione degli accertamenti in ordine alla presenza di illeciti antitrust.

3.2 L’oggetto dell’indagine, alla stregua di quanto precedentemente rappresentato, si dimostra dunque "ristretto" alle ipotesi in cui la negativa conclusione del subprocedimento sugli impegni riverberi sulla conclusiva determinazione provvedimentale effetti caducanti, ovvero conseguenze ad effetto (esclusivamente) viziante.

Noti sono gli insegnamenti giurisprudenziali in ordine alla configurazione delle indicate categorie giuridiche, nonché alle conseguenze diversamente indotte nel rapporto fra atto presupposto e conseguenziale.

In presenza di vizi accertati dell’atto presupposto, la distinzione fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante comporta che:

– se, per la prima fattispecie, l’annullamento dell’atto presupposto si estenda automaticamente a quello conseguenziale, anche ove quest’ultimo non venga impugnato

– la seconda, rende l’atto conseguenziale annullabile, purché sia stato impugnato nei termini;

ai fini della concreta individuazione della predetta tipologia di effetti, essendo pacifico che si debba valutare l’intensità del rapporto di conseguenzialità, con riconoscimento dell’effetto caducante ove tale rapporto sia immediato, diretto e necessario (nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito della stessa sequenza procedimentale, come inevitabile conseguenza di quello anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi: cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 23 febbraio 2011 n. 1114 e 17 gennaio 2011 n. 244 e sez. V, 25 novembre 2010 n. 8243).

Alla distinzione, nell’ambito del rapporto di presupposizione corrente fra atti inseriti all’interno di un più ampio contesto procedimentale, fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante consegue, dunque, che:

– se nel primo caso, l’annullamento dell’atto presupposto determina l’automatico travolgimento dell’atto conseguenziale, senza bisogno che quest’ultimo sia stato autonomamente impugnato e che siano state vagliate positivamente le censure proposte;

– diversamente, nel caso di illegittimità ad effetto viziante l’atto conseguenziale diviene invalido per vizio di invalidità derivata, ma resta efficace, salva apposita ed idonea impugnazione, resistendo all’annullamento dell’atto presupposto (Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 2010 n. 1260 e 2 novembre 2009 n. 6710; Cons. Stato, sez. VI, 23 dicembre 2008 n. 6520).

Nell’ambito del generale fenomeno dell’invalidità derivata, l’illustrata distinzione tra la figura della cd. invalidità ad effetto caducante e quella dell’invalidità ad effetto viziante transita, dunque, attraverso la verifica della sussistenza – o meno – di uno stretto rapporto di presupposizione tra provvedimenti, intesa come conseguenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso che l’atto successivo si ponga come inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove e ulteriori valutazioni di interessi, né del destinatario dell’atto presupposto, né di altri soggetti

Diversamente, quando l’atto successivo, pur facendo parte della stessa sequenza procedimentale in cui si colloca l’atto precedente, non ne costituisce conseguenza inevitabile, perché la sua adozione implica nuove e ulteriori valutazioni di interessi, specie se di terzi soggetti, l’immediata impugnazione dell’atto presupponente non fa venire meno la necessità di impugnare l’atto successivo, a pena di improcedibilità del primo ricorso (Cons. Stato, Sez. VI, 23 ottobre 2007, n. 5559; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 25 marzo 2008 n. 1526).

3.3 Quanto sopra riportato orienta, inevitabilmente, la valutazione oggetto della presente indagine nel senso della rilevabilità della presenza – fra determinazione di rigetto degli impegni e provvedimento conclusivo del procedimento "principale" volto ad accertare la presenza di un’infrazione antitrust – di un rapporto di conseguenzialità ad effetto (meramente) viziante.

Rispetto alla sistematica individuativa della dicotomia "invalidità derivata ad effetto caducante o ad effetto (meramente) viziante", la fattispecie (di collegamento) procedimentale all’esame si atteggia, invero, con singolare peculiarità, atteso che è riscontrabile una sensibile asimmetria nel rapporto di conseguenzialità fra (procedimenti ed) atti, in ragione del difforme "segno" che può assumere la (preordinata) decisione sugli impegni.

Solo l’accoglimento di questi ultimi, nel determinare l’arresto del procedimento principale, integra carattere di necessaria presupposizione, in quanto la decisione favorevole assunta ai sensi dell’art. 14ter impone – esclusa ogni diversa e/o ulteriore valutazione in ordine alla condotta oggetto di esame da parte dell’Autorità – l’adozione di una determinazione di chiusura del procedimento.

Diversamente, rispetto al rigetto degli impegni assume carattere di stretta conseguenzialità la sola prosecuzione dell’iter procedimentale (principale): il cui esito, peraltro è suscettibile di difforme configurazione, in presenza della molteplicità di conclusioni alle quali l’Autorità può astrattamente pervenire una volta percorso l’intero iter valutativo in ordine alla posizione assoggettata ad indagine antitrust.

Tali considerazioni, pur ribadita la variabilità degli esiti conseguenti alla (sola) decisione di rigetto degli impegni, consentono di escludere che fra tale ultima determinazione ed il provvedimento conclusivo del procedimento principale sia ravvisabile un carattere di necessarietà ed inevitabilità che, alla stregua delle coordinate giurisprudenziali di riferimento, connota il rapporto di conseguenzialità fra atti, sì da consentire di annettere all’invalidità del primo di essi effetti automaticamente caducanti sul secondo.

3.4 A ben vedere, peraltro, la pur riscontrata valenza (meramente viziante) che l’eventuale invalidità della decisione di rigetto degli impegni è suscettibile di trasmettere alla conclusiva determinazione conclusiva del procedimento antitrust, non assume dirimente rilievo in ordine alla definizione della controversia all’esame.

La devoluzione al sindacato giurisdizionale del conclusivo provvedimento è infatti transitata – omogeneamente per tutte le impugnative proposte dalle banche del circuito MasterCard – attraverso la presupposta – ed unitariamente esplicitata in seno all’atto introduttivo del giudizio – contestazione della legittimità della decisione di rigetto degli impegni.

Con l’unica eccezione – in precedenza partitamente analizzata – rivelata dalla posizione della stessa MasterCard, in un quadro di (pur) difforme percorrenza degli strumenti di tutela processuale, che non infirma, tuttavia, l’ammissibilità della rimessione al competente giudice amministrativo delle questioni inerenti la decisione sugli impegni (e, di seguito, della conclusiva determinazione provvedimentale con la quale AGCM ha chiuso il procedimento de quo).

L’unico onere che viene infatti a gravare sulla parte che intenda dolersi dell’illegittimità dell’atto conseguenziale per effetto dell’affermata invalidità dell’atto presupposto (laddove quest’ultimo, in presenza delle ragioni in precedenza indagate, sia suscettibile di trasferire sul secondo effetti meramente vizianti) è infatti rappresentato – una volta esclusa l’operatività di automatica trasmissione di conseguenze caducanti – dall’obbligatoria impugnazione dell’atto conseguenziale stesso.

E, dal momento che il perimetro del delineato thema decidendum – sia pure all’interno delle suindicate differenziazioni – omogeneamente ricomprende, per tutte le parti del procedimento n. I720 – Carte di Credito, sia la decisione di rigetto degli impegni, che il conclusivo provvedimento del 3 novembre 2010, deve allora darsi atto della piena espansione della sindacabilità rimessa alla Sezione con rifermento all’intera vicenda procedimentale di che trattasi.

4. Viene, allora, in primo luogo in considerazione la decisione con la quale l’Autorità ha escluso l’accoglibilità degli impegni proposti sia da MasterCard, sia dalle banche facenti parte del relativo sistema.

Se – per come appalesato dal dispositivo di sentenza pubblicato dalla Sezione VI del Consiglio di Stato in esito all’appello proposto da AGCM avverso tale decisione – il merito delle relative questioni non è stato affrontato dai Giudici di Palazzo Spada (essendosi arrestata la delibazione a questi ultimi rimessa alla valutazione in rito refluita poi nella pure citata pronunzia di inammissibilità dell’originario ricorso MasterCard), de plano consegue la (rinnovata) delibabilità delle questioni proposte avverso la decisione in materia di impegni, non "coperta" da giudicato, né altrimenti preclusa dall’operatività del ne bis in idem.

4.1 Ciò osservato, non può esimersi la Sezione, in argomento, dal ribadire – con rinnovata convinzione – le considerazioni già rassegnate a proposito della menzionata impugnativa con cui MasterCard ha gravato, in via autonoma, la decisione di che trattasi.

Nell’adunanza del 22 dicembre 2009, l’Autorità ha così motivato la decisione di non accogliere gli impegni presentati dalle parti del procedimento:

– "con riguardo agli impegni presentati da MasterCard, essi non sono idonei a far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria, come descritti nel provvedimento del 15 luglio 2009, in quanto: (i) sono limitati temporalmente, prevedendo una riduzione delle commissioni interbancarie multilaterali (…) per una durata massima di 18 mesi, decorsa la quale il circuito non è più vincolato agli impegni; (ii) sono condizionati al diritto di recesso da parte di MasterCard in funzione, tra l’altro, del giudizio dello stesso circuito sugli impegni presentati dalle banche parti del procedimento; (iii) stabiliscono una riduzione delle MIF sulla base di motivazioni che non rispondono, trattandosi di commissioni interbancarie multilaterali che definiscono identiche voci di costo, ad una analisi economica di efficienza del sistema basata su una valutazione costi/benefici e comparazioni tra diversi mezzi di pagamento";

– "con riguardo agli impegni presentati dalle banche parti del presente procedimento, essi non sono idonei a far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria, come descritti nel provvedimento di avvio del 15 luglio 2009, in quanto non risultano suscettibili di un’attuazione duratura e facilmente verificabile, ed, in particolare:

– i diversi ed autonomi meccanismi di verifica delle merchant fee in funzione delle MIF di MasterCard non sono apprezzabili nel loro impatto sul mercato in quanto: (i) per Deutsche Bank e Banca Sella non è previsto alcun meccanismo di rinegoziazione delle merchant fees; (ii) per BNL, BMPS, ICBPI, Intesa Sanpaolo risultano indefiniti nella metodologia; (iii) per Unicredit e Barclays cono comunque condizionati a variabili a disposizione della banca oltre alle MIF che non consentono di valutare come si rifletta effettivamente una riduzione di queste ultime sulle merchant fees;

– gli impegni stabiliscono solo una prima riduzione delle merchant fees in funzione di una eventuale riduzione delle commissioni interbancarie multilaterali di MasterCard prevedendo (i) per BMPS, BNL, ICBPI una evoluzione indeterminata delle merchant fees future e (ii) per Barclays un limite temporale di 18 mesi".

4.2 L’evidente – quanto imprescindibile – connessione che ricongiunge, anche con riferimento all’assunzione (e, conseguentemente, al rigetto) degli impegni, per come evidenziata nel riportato apparato motivazionale della deliberazione AGCM del 22 dicembre 2009, ben consente al Collegio di riportarsi – integralmente, quanto convintamente – alle considerazioni già rassegnate in sede di definizione del ricorso MasterCard 2203/2010.

4.2.1 Imprescindibile si rivela, in primo luogo, l’individuazione delle coordinate di riferimento – di carattere normativo ed interpretativo – che caratterizzano la configurazione (e le rivenienti modalità di applicazione) dell’istituto degli "impegni" in materia anticoncorrenziale.

Introdotto dall’art. 9 del Regolamento CE n. 1/2003, tale istituto prevede che:

– "1. Qualora intenda adottare una decisione volta a far cessare un’infrazione e le imprese interessate propongano impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione preliminare, la Commissione può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese. La decisione può essere adottata per un periodo di tempo determinato e giunge alla conclusione che l’intervento della Commissione non è più giustificato";

– "2. La Commissione, su domanda o d’ufficio, può riaprire il procedimento:

a) se si modifica la situazione di fatto rispetto a un elemento su cui si fonda la decisione;

b) se le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti; oppure

c) se la decisione si basa su informazioni trasmesse dalle parti che sono incomplete, inesatte o fuorvianti".

Gli obblighi assunti dalle imprese hanno carattere vincolante e, pertanto, la loro violazione comporta, oltre la riapertura del procedimento, l’applicazione di un’ammenda ai sensi dell’art. 23, par. 2, del cit. Reg. n. 1/2003.

Le misure correttive proposte debbono essere "pertinenti" rispetto all’oggetto del procedimento e, quindi, funzionali alla soluzione del problema evidenziato dalla Commissione; né è, evidentemente compatibile con le finalità dell’istituto un uso strumentale dello stesso, rilevabile laddove esso si dimostri esclusivamente preordinato a scongiurare l’applicazione della sanzione, depotenziando, così, l’efficacia deterrente della missione affidata alle Autorità nazionali e alla Commissione.

L’istituto, piuttosto, appare concepito per fornire una rapida risposta all’interesse pubblico al mantenimento di un mercato concorrenziale, in fattispecie complesse o nuove, rispetto alle quali si appalesa opportuno raggiungere una soluzione di tipo negoziato.

Le decisioni con impegni, infatti, non producono quell’effetto di chiarimento della regola giuridica che deriva, invece, dalle decisioni di infrazione.

In questo senso va tenuto presente che, secondo il "considerando" n. 13 del Regolamento n. 1/2003, le decisioni concernenti gli impegni non sono "opportune" nei casi in cui la Commissione intenda comminare un’ammenda, il che induce a ritenere applicabile l’istituto soprattutto nei casi meno gravi.

Ciò osservato, va ulteriormente dato atto che costituisce jus receptum il principio secondo cui la Commissione gode di un’ampia discrezionalità nel valutare se accettare le misure proposte dalle imprese, e quindi rendere obbligatoria una decisione ai sensi dell’art. 9 del Reg. n. 1/2003.

Al riguardo, nel leading case di cui alla sentenza 11 luglio 2007 (Alrosa c. Commissione, in causa T 170/06), il Tribunale di Primo Grado ha chiaramente affermato che "la Commissione non è mai tenuta, in forza dell’art. 9, n. 1 del regolamento n. 1/2003 a decidere di rendere obbligatori degli impegni piuttosto che ad agire ai sensi dell’art. 7 del medesimo regolamento. Non è pertanto tenuta a fornire le ragioni per le quali degli impegni non le sembrano idonei ad essere resi obbligatori in modo da concludere il procedimento" (punto 130).

Nella stessa decisione, il TPG ha anche affermato "che l’obiettivo dell’art. 7, n. 1 del regolamento n. 1/2003 è lo stesso di quello perseguito dall’art. 9, n. 1, e coincide con l’obiettivo principale del regolamento n. 1/2003, che è quello di garantire un’efficace applicazione delle regole di concorrenza previste dal Trattato" (punto 95) e che "per il conseguimento di tale obiettivo la Commissione dispone di un margine di valutazione discrezionale nella scelta offertale dal regolamento n. 1/2003 di rendere obbligatori gli impegni proposti dalle imprese interessate e di adottare una decisione ai sensi dell’art. 9 o di seguire la via prevista dall’art. 7, n. 1 del medesimo regolamento, che esige l’accertamento di un’infrazione" (punto 96). Tuttavia "l’esistenza di tale margine di valutazione discrezionale (…) non esonera la Commissione dall’obbligo di rispettare il principio di proporzionalità quando decide di rendere obbligatori impegni offerti ai sensi dell’art. 9 n. 1 del regolamento n. 1/2003" (punto 97). Inoltre "sarebbe (…) in contrasto con l’economia del regolamento n. 1/2003 che una decisione la quale, ai sensi dell’art. 7, n. 1, del medesimo regolamento, dovrebbe essere considerata non proporzionata all’infrazione accertata, possa essere adottata facendo ricorso al procedimento ex art. 9, n. 1, sotto la forma di impegno reso obbligatorio, per il motivo che l’infrazione non ha potuto essere formalmente provata in tale contesto" (punto 101).

La Commissione Europea, dal canto suo, aveva già in precedenza chiarito, relativamente all’applicazione dell’art. 9 del Regolamento n. 1/2003 (Memo/04/217 in data 17 settembre 2004) che "This instrument is novel and the conditions for its use are flexible" e "efficiency reasons justify that the Commission limits itself to making the commitments binding, and does not issue a formal prohibition decision".

L’unico limite di opportunità all’adozione di una decisione con impegni è, secondo la Commissione, quello dei procedimenti riguardanti i cartelli segreti c.d. "hardcore" ("the case is not one where a fine would be appropriate (this therefore excludes commitment decisions in hardcore cartel cases))".

Nelle sue prime decisioni in materia (cfr. in particolare, il provvedimento n. 16151 del 15 novembre 2006, caso I646, Produttori vernici marine, il cui impianto argomentativo è stato pienamente avallato da questa Sezione con sentenza n. 14157 del 29 dicembre 2007), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è sembrata propensa a ritenere che l’idoneità delle misure correttive proposte dalle imprese debba essere rapportata all’oggetto dell’istruttoria, con riguardo non solo ai profili concorrenziali in atto, ma anche agli effetti eventualmente già prodottisi.

L’Autorità ha, in particolare, valutato "non appropriati" gli impegni relativi a condotte che hanno già pienamente realizzato i loro effetti restrittivi e che non siano in grado di rimuovere questi ultimi con efficacia retroattiva; precisando, ulteriormente, che gli impegni presentati debbano comunque essere suscettibili di un’attuazione piena, tempestiva e facilmente verificabile.

4.2.2 La disciplina comunitaria in materia è stata recepita dall’art. 14ter della legge 287/1990, il quale stabilisce che, entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento della violazione degli artt. 2 o 3 della stessa legge o degli artt. 81 o 82 del Trattato CE, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria; l’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione.

L’articolo è stato aggiunto dall’art. 14 del decretolegge 223/2006, come modificato dalla relativa legge di conversione 248/2006, entrata in vigore il 12 agosto 2006.

In materia di accettazione degli impegni, la norma ha attribuito all’Autorità un potere discrezionale, da esercitare nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario.

Il procedimento di cui all’art. 14ter della legge 287/1990, pertanto, è un procedimento ad istanza di parte in cui, a fronte degli impegni presentati dall’impresa nei cui confronti sia stata avviata un’istruttoria, l’Autorità procedente valuta la loro idoneità a determinare il venire meno dei profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria stessa: potendo, in caso di valutazione positiva, arrestare il procedimento senza accertare l’infrazione rendendo gli impegni obbligatori per il proponente.

Va da sé che l’imposizione di obblighi all’impresa postula che gli impegni siano esattamente quelli che l’impresa ha proposto, non potendo l’Autorità aggiungere ulteriori obblighi a quelli che l’impresa si è dichiarata pronta ad accettare.

In altri termini, l’Autorità esercita un potere discrezionale nella valutazione degli impegni proposti, ma, se ritiene che detti impegni siano idonei a fare venire meno i profili concorrenziali in relazione ai quali ha avviato la procedura di accertamento, arresta il procedimento e rende obbligatori gli stessi senza avere la possibilità di aggiungere integrazioni non previste dall’impresa e, quindi, con la stessa non previamente concordate.

In definitiva, l’Autorità ha il potere di valutare il grado di satisfattività – o meno – degli impegni proposti ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, cui è istituzionalmente preposta; con la conseguenza che, nel caso di giudizio positivo, arresta il procedimento e rende obbligatori gli stessi e non anche altri, mentre, in caso contrario, prosegue il procedimento volto all’accertamento dell’infrazione.

4.3 Essenziale snodo ai fini della valutazione in ordine alla rimessa questione relativa alla correttezza del percorsologico motivazionale sotteso all’assunzione della determinazione circa l’accettazione – o meno – degli impegni, è rappresentato dalla individuazione dei relativi presupposti e dal connesso apprezzamento della sussistenza/consistenza degli stessi: elementi che, al fine di annettere apprezzabile carattere di legittimità all’esercizio del relativo potere da parte dell’Autorità, inevitabilmente debbono refluire nell’apparato motivazionale a corredo della decisione da quest’ultima assunta.

4.3.1 Sulla base di quanto precedentemente esposto, va evidentemente osservato come la decisione in ordine all’accettazione – ovvero al rigetto – degli impegni presentati dalla parte intervenga in una fase nella quale il quadro cognitivo e fattuale in ordine alla vicenda oggetto di indagine non necessariamente è perfezionato con carattere di compiutezza.

In difetto del completamento degli accertamenti istruttori – e, quindi, dell’acquisizione di tutti i necessari elementi suscettibili di refluire nella conclusiva valutazione in ordine alla portata anticoncorrenziale (o meno) di una determinata condotta – il giudizio che precede la determinazione in ordine agli impegni:

– se da un lato può assumere carattere necessariamente prognostico;

– e se, conseguentemente, non può essere parametrato, quanto alla valutazione dell’idoneità degli impegni stessi ad eliminare profili anticompetitivi, se non sul contenuto delle contestazioni mosse con l’atto di apertura del procedimento istruttorio;

– in ogni caso, non può prescindere dall’osservanza delle coordinate fondamentali rappresentate dalla compiuta idoneità delle condotte rivenienti dall’attuazione degli impegni a rimuovere i profili anticompetitivi oggetto di contestazione e dal rispetto del principio di proporzionalità, alla stregua di quanto specificato infra sub 3.3.

4.3.2 Sotto il primo degli indicati profili, la disamina si dimostra invero priva di profili particolarmente problematici.

Non può, infatti, essere pretermessa la rilevanza assunta dalla previsioni di cui al rammentato tredicesimo "considerando" del Regolamento comunitario (in precedenza citato) n. 1/2003, laddove si puntualizza che le decisioni concernenti gli impegni non sono opportune nei casi in cui la Commissione intende comminare un’ammenda.

Nel ribadire come l’Autorità nazionale sia tenuta a procedere anche alla stregua dei parametri previsti in ambito comunitario, consegue che, allorché la stessa Autorità ritenga di dovere irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria in considerazione della natura e dell’entità dell’intesa, correttamente può respingere gli impegni, senza che sia tenuta ad esplicitare un apparato motivazionale particolarmente diffuso.

Se l’accettazione degli impegni è sconsigliata nei casi di intese che appaiano, al momento in cui va assunta la decisione di rilevante gravità (cc.dd. violazioni hard core), viene a delinearsi un (primo) punto di arresto, ai fini della valutazione in materia rimessa all’Autorità, al momento in cui venga prospettata, ad opera di taluna delle parti, l’assunzione di impegni: nel senso che, laddove il quadro degli elementi fattuali e giuridici di valutazione sia già tale da rendere doverosa l’irrogazione della sanzione pecuniaria (e, comunque, laddove sia emersa, con carattere di incontroversa consistenza, la presenza di una fattispecie restrittiva della concorrenza avente obiettivo, quanto dimostrabile, carattere di rilevante gravità), allora:

– non soltanto gli impegni non possono formare oggetto di accoglimento;

– ma la motivazione relativa al rigetto può concretamente connotarsi in maniera congruamente sintetica, atteso che l’inaccoglibilità degli impegni viene a dimostrarsi in re ipsa laddove si sia in presenza (di elementi di valutazione tali da dimostrare la consistenza) di una fattispecie "importante" di violazione dei meccanismi proccompetitivi.

4.3.3 Il giudizio in materia rimesso all’Autorità si rivela, peraltro, attributario di ulteriori due profili di valutazione, consistenti:

– nell’apprezzamento in ordine all’idoneità (dei comportamenti conseguenti all’assunzione) degli impegni a rimuovere i profili anticoncorrenziali già oggetto di constatazione in sede di apertura del procedimento;

– e, ulteriormente, nella considerazione del carattere di "proporzionalità" degli impegni medesimi rispetto al complesso delle condotte suscettibili di indurre, sul mercato preso in considerazione, effetti contrastanti con una fisiologica dialettica della competitività.

Ancora una volta, è necessario ricorrere ai principi esemplarmente esplicitati dal Tribunale di Primo Grado nella già citata sentenza 11 luglio 2007 (Alrosa/Commissione).

Il ragionamento in proposito condotto dall’organo giudiziario europeo di prima istanza muove dall’ineccepibile presupposto che "l’obiettivo dell’art. 7, n. 1, del Regolamento n. 1/2003 è lo stesso di quello perseguito dall’art. 9, n. 1, e coincide con l’obiettivo principale del regolamento n. 1/2003, che è quello di garantire una efficace applicazione delle regole di concorrenza previste dal Trattato".

Se "per il conseguimento di tale obiettivo la Commissione dispone di un margine di valutazione discrezionale nella scelta offertale dal regolamento n. 1/2003 di rendere obbligatori gli impegni proposti dalle imprese interessate e di adottare una decisione ai sensi dell’art. 9 o di seguire la via prevista dall’art. 7, n. 1, del medesimo regolamento, che esige l’accertamento di una infrazione", tuttavia "l’esistenza di tale margine di valutazione discrezionale circa la scelta della via da seguire non esonera la Commissione dall’obbligo di rispettare il principio di proporzionalità quando decide di rendere obbligatori impegni offerti ai sensi dell’art. 9, n. 1, del regolamento n. 1/2003".

Il rispetto del suindicato principio, secondo quanto osservato dal medesimo TPG, "esige che gli atti delle istituzioni comunitarie non vadano oltre quanto è idoneo e necessario per conseguire lo scopo prefisso (sentenze del Tribunale 19 giugno 1997, causa T260/94, Air Inter/Commissione, Racc. pag. II997, punto 144, e Van den Bergh Foods/Commissione, cit., punto 201), fermo restando che, qualora si presenti una scelta tra più misure appropriate, è necessario ricorrere alla meno restrittiva, e che gli oneri imposti non devono essere sproporzionati in relazione agli scopi perseguiti (sentenze della Corte 11 luglio 1989, causa 265/87, Schräder HS Kraftfutter, Racc. pag. 2237, punto 21 e 9 marzo 2006, causa C174/05, ZuidHollandse Milieufederatie e Natuur en Milieu, Racc. pag. I2443, punto 28)".

Ecco che, per effetto dell’immanenza del principio di proporzionalità – e, conseguentemente, in ragione dell’esigenza che la decisione in ordine all’accoglibilità, o meno, degli impegni, sia conseguenza dell’osservanza di un rapporto di logica congruità fra interruzione della pratica anticompetitiva e/o rimozione dei relativi effetti e condotta "validata" dall’Autorità antitrust sulla base degli impegni volontariamente assunti dall’operatore economico "indagato" – "il controllo della proporzionalità di una misura (viene ad assumere connotazione di) un controllo oggettivo, poiché l’idoneità e la necessità della Decisione impugnata debbono essere valutati rispetto allo scopo perseguito dall’istituzione".

Se "per le decisioni adottate in applicazione dell’art. 7 del Regolamento n. 1/2003, lo scopo è di porre termine all’infrazione accertata", "per quelle adottate in applicazione dell’art. 9 del medesimo Regolamento, lo scopo è di rispondere alle preoccupazioni espresse dalla Commissione nell’ambito della valutazione preliminare, le quali giustificano che essa preveda l’adozione di una decisione che disponga la cessazione di una infrazione".

Ne consegue che:

– laddove "nell’ipotesi dell’applicazione dell’art. 7, n. 1, del Regolamento n. 1/2003 la Commissione deve accertare l’esistenza di una infrazione, il che implica una definizione precisa del mercato di cui trattasi e se del caso dell’abuso addebitato all’impresa di cui trattasi"

– "nel contesto dell’art. 9, n. 1, del medesimo Regolamento, effettivamente la Commissione non è tenuta a dimostrare formalmente l’esistenza di una infrazione, come è del resto indicato nel tredicesimo "considerandò del Regolamento n. 1/2003, ma deve ciò nondimeno dimostrare l’effettività delle preoccupazioni concorrenziali che giustificavano che essa prevedesse l’adozione di una decisione ai sensi degli artt. 81 CE e 82 CE e che le consentono di imporre all’impresa interessata di rispettare taluni impegni, il che presuppone un’analisi del mercato ed una identificazione dell’infrazione prevista meno definitive che nell’ambito dell’applicazione dell’art. 7, n. 1, del regolamento n. 1/2003, benché quest’ultima debba essere sufficiente per consentire un controllo dell’idoneità dell’impegno".

4.4 Alla stregua di quanto posto in evidenza – e, segnatamente, in relazione ai parametri che segnano l’ambito di espansione della valutazione discrezionale in materia rimessa all’Autorità – si ha motivo di ritenere che la decisione nella fattispecie assunta da AGCM presenti profili denotanti un non corretto esercizio del relativo potere.

Il già rilevato collegamento esistente fra gli impegni presentati dalle parti – quantunque fra loro diversificati – trova fondamento nella posizione rivestita da MasterCard all’interno del sistema: rispetto alla quale – e, soprattutto, con riferimento alla unilaterale fissazione delle Multilateral Interchang Fees (MIF) da parte di quest’ultima, con conseguenze indotte sugli spazi di operatività rimessi alle licenziatarie – va esclusa una parcellizzata considerazione delle posizioni delle parti stesse.

La pur rilevabile diversificazione del contenuto degli impegni (e, sia pure parzialmente, del corrispondente contenuto motivazionale del provvedimento di rigetto, con riferimento a singoli profili afferenti i diversi operatori bancari), non elimina una considerazione fondamentalmente unitaria del sistema: sì da consentire di apprezzare che le posizioni delle licenziatarie, seppure formalmente autonome, nondimeno rivelano attenuati profili di distinguibilità rispetto agli impegni assunti da MasterCard (di tal guisa che, a fronte di ridelineate modalità di funzionamento a livello sistemico, le posizioni delle parti simul stabunt, simul cadent).

In altri termini, proprio la unilaterale fissazione delle MIF da parte di MasterCard è suscettibile di condizionare (segnatamente, nell’affermata ottica anticompetitiva che avrebbe connotato, a dire dell’Autorità, la riscontrata presenza di una duplicità di intese) non solo il funzionamento del sistema, ma anche l’operatività delle singole licenziatarie (soprattutto per quanto concerne la determinazione delle merchant fees): la posizione delle quali, sotto tale profilo, viene a scontare attenuati profili di autonomia.

Ne consegue che gli impegni proposti dalle parti avrebbero dovuto formare oggetto di considerazione necessariamente unitaria (anche alla luce del logico condizionamento degli impegni MasterCard rispetto al’accoglimento degli impegni proposti dalle licenziatarie) in relazione al complessivo atteggiarsi del sistema

4.4.1 Ciò osservato, viene in primo luogo in considerazione, nel quadro del contesto motivazionale esplicitato a supporto della reiezione degli impegni proposti da MasterCard, come dalle banche parti del procedimento, il carattere "temporaneo", ovvero "non duraturo" che le relative condotte avrebbero assunto.

AGCM ha giudicato ex se inidonea l’adozione di condotte – si badi, astrattamente qualificate "procompetitive" – aventi delimitazione temporale; per l’effetto assumendosi (implicitamente, ma univocamente) che l’accettazione degli impegni avrebbe potuto transitare univocamente attraverso una vigenza degli stessi avente estensione non predeterminata.

Va in primo luogo osservato come la limitazione temporanea degli impegni sia senz’altro configurata dalla normativa europea, atteso che l’art. 9 del Regolamento n. 1/2003 del 16 dicembre 2002 (Regolamento del Consiglio concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato) espressamente prevede che "qualora intenda adottare una decisione volta a far cessare un’infrazione e le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione preliminare, la Commissione può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese. La decisione può essere adottata per un periodo di tempo determinato e giunge alla conclusione che l’intervento della Commissione non è più giustificato".

La diretta applicabilità nell’ordinamento nazionale del principio di cui sopra consegue alla previsione dettata dal comma 1 dell’art. 14ter della legge 287/1990, il quale stabilisce che l’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione.

Inoltre, la concreta fattispecie all’esame avrebbe potuto (e dovuto) indurre un diverso apprezzamento, in ragione del quadro complessivo a fondamento del carattere temporaneo degli impegni stessi.

La vicenda in esame dinanzi all’Autorità nazionale trova, sotto il profilo della consistenza giuridica delle problematiche coinvolte, significativi elementi di corrispondenza con altra vicenda che, tuttora pendente dinanzi al TPG, ha visto, nelle more della decisione dell’organo di giustizia europeo, il raggiungimento di un’intesa (l’Interim Arrangement) tra Commissione UE e MasterCard, la cui funzione trova significativi punti di assimilabilità con l’accettazione degli impegni, per come disciplinata dall’ordinamento comunitario (e, derivativamente, nazionale).

Se è vero – né negli atti causa, sul punto, sono riscontrabili difformi elementi di giudizio – che le medesime criticità sul funzionamento del mercato rilevate da AGCM in sede di avvio dell’Istruttoria hanno portata sostanzialmente coincidente con quelle formulate dalla Commissione Europea e se non può non convenirsi in ordine alla rilevanza che i principi che verranno affermati dal Tribunale lussemburghese sono suscettibili di riverberare anche sull’odierna vicenda (in quanto la conclusiva decisione sul contenzioso aperto in sede comunitaria ben potrà essere idonea a conformare l’intera disciplina delle commissioni interbancarie in ambito UE), allora:

– non soltanto il carattere temporaneo degli impegni assunti dinanzi ad AGCM avrebbe potuto opportunamente coordinarsi con l’esigenza di attendere il pronunciamento del TPG sulla questione al medesimo sottoposta;

– ma, vieppiù, un differimento temporale in ordine alla conclusione del procedimento da parte dell’Autorità nazionale avrebbe potuto scongiurare (eventuali; ma allo stato non certo inconfigurabili) difformità tra provvedimento AGCM e decisione degli organi di giustizia europei.

È ben vero che il sindacato esercitabile dal giudice amministrativo non può esondare in preclusi apprezzamenti di merito, suscettibili di giustapporsi (e/o di sostituirsi) alle valutazioni dell’Autorità ed al discrezionale apprezzamento che ne connota l’atteggiarsi.

Va tuttavia rimarcato, nel quadro della verificabilità di profili di illegittimità della determinazione avversata sub specie dell’eccesso di potere per errata considerazione dei presupposti di fatto e di diritto, ovvero per inadeguata effusione dell’appartato motivazionale, come il giudizio sul punto espresso nel provvedimento gravato non sia suscettibile di condivisione.

Se va escluso che il carattere non duraturo degli impegni riveli, ex se, profili di intrinseca inidoneità ai fini dell’eliminazione dei riscontrati elementi anticoncorrenziali, deve – diversamente – osservarsi come proprio la pendenza (allo stato, ancora attuale) del contenzioso dinanzi agli organi europei di giustizia ed il perfezionamento del ripetuto Interim Arrangement con il Commissario UE per la Concorrenza (successivamente alla contestazione della Commissione della non ottemperanza alla decisione della Decisione della Commissione C (2007) 6474 del 19 dicembre 2007, sulle commissioni interbancarie di MasterCard) avrebbero dovuto imporre alla procedente Autorità una più attenta valutazione dei presupposti a fondamento della decisione in ordine agli impegni presentati dalle parti.

Ancorché nella determinazione di apertura dell’istruttoria AGCM abbia dato conto del fatto che "le interchange fees attualmente applicate in Italia non sono… quelle in vigore per le transazioni crossborder, oggetto del procedimento comunitario MasterCard", tuttavia l’identità dei principi di diritto applicabili alle commissioni interbancarie domestiche (intracountry fallback interchange fees) e transfrontaliere (cross border o intercountry fallback o intraEEA fallback interchange fees) avrebbe dovuto orientare le valutazioni di AGCM (e, quindi, informare l’esplicitato apparato motivazionale) nel senso della ostensione di una congrua giustificazione a sostegno della decisione (di non accettazione degli impegni) affatto difforme dalla determinazioni assunte in sede europea (quantunque a fronte di problematiche concernenti le sole commissioni transfrontaliere).

Il rapporto intercorrente – in ragione della chiara sovrapponibilità delle relative questioni – fra la decisione rimessa agli organi di giustizia europei ed il procedimento avviato da AGCM avrebbe, inoltre, dovuto indurre quest’ultima ad interrogarsi sulla compatibilità della prosecuzione dell’iter intrapreso (e, quindi, sulla definizione di quest’ultimo, nelle more della decisione del Tribunale europeo, con l’assunzione di una conclusiva determinazione) e la compiuta attuazione del principio del primato del diritto comunitario.

Quest’ultimo, come è noto, esige che sia disapplicata qualsiasi disposizione della legislazione nazionale in contrasto con una norma comunitaria, indipendentemente dal fatto che sia anteriore o posteriore a quest’ultima.

Tale obbligo di disapplicazione della normativa nazionale in contrasto con il diritto comunitario incombe non solo sul giudice nazionale, ma anche su tutti gli organi dello Stato, comprese le autorità amministrative (cfr. Corte Giustizia, 9 settembre 2003, causa C198/01, Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF)/Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo), il che implica, ove necessario, l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari per agevolare la piena efficacia del diritto comunitario (v. sentenza 13 luglio 1972, causa 48/71, Commissione/Italia).

È ben vero che – quantunque altre Autorità antitrust nazionali abbiano, nelle more, sospeso i procedimenti intrapresi – i margini di configurabilità di un contrasto fra la determinazione di AGCM e l’ordinamento europeo si rivelano esili, non potendosi ravvisare nell’Interim Arrangement di cui sopra una fonte normativa comunitaria.

Ma è altrettanto vero che la decisione di AGCM, pretermettendo ogni considerazione in ordine all’esigenza (più ancora che all’opportunità) di conformare l’esercizio del potere ad essa rimesso alla posizione assunta dalla Commissione (e, quindi, di sospendere l’iter procedimentale nelle more della decisione del Tribunale), si presenti viziata sotto il profilo dell’eccesso di potere, in ragione:

– dell’omessa valutazione di circostanze di fatto e di diritto rilevanti;

– e, conseguentemente, della inadeguatezza motivazionale, laddove il divisato carattere di non definitività degli impegni assunti dalle parti è stato, ex se, giudicato insufficiente, senza peraltro esplicitare congruamente le ragioni che, in presenza del quadro sovranazionale in precedenza esposto, ben avrebbero potuto suggerire una dilazione (anche solo) temporale della definizione della vicenda procedimentale di che trattasi.

Se, infatti, l’Interim Arrangement è stato definito al fine di non dare seguito alla contestazione della Commissione nei confronti di MasterCard (e, quindi, di chiudere anticipatamente un possibile percorso procedimentale senza giungere all’accertamento della inottemperanza), va allora ribadito come omogeneo ordine di considerazioni risulti essere stato affatto pretermesso da AGCM: dovendosi per l’effetto escludere che la temporaneità degli impegni, ove come sopra raccordabile con l’illustrato quadro comunitario, non rileva – in disparte ogni considerazione in ordine alla pregressa adesione, da parte dell’Autorità, ad impegni parimenti delimitati temporalmente – quale legittimo presupposto dell’avversata determinazione.

4.4.2 Ulteriore profilo motivazionale a fondamento del disposto rigetto degli impegni proposti dalle Banche licenziatarie va ravvisato, alla stregua di quanto esposto nel gravato provvedimento AGCM, nella confutata rilevanza dei meccanismi di verifica delle merchant fee in funzione delle MIF di MasterCard, quanto all’impatto sul mercato.

Tale considerazione:

– se, per quanto concerne Deutsche Bank e Banca Sella, riviene dalla constatata assenza di previsioni disciplinanti il meccanismo di rinegoziazione delle merchant fees;

– per BNL, BMPS, ICBPI, Intesa Sanpaolo dà conto dell’affermata mancata definizione della relativa metodologia;

– mentre, relativamente ad Unicredit e Barclays, è stata dall’Autorità rilevata la presenza di "variabili a disposizione della banca oltre alle MIF che non consentono di valutare come si rifletta effettivamente una riduzione di queste ultime sulle merchant fees".

4.4.2.1 Una migliore comprensione delle suesposte argomentazioni transita attraverso l’individuazione della conformazione del sistema e delle relative modalità di funzionamento, per come dalla stessa Autorità tratteggiate nella determinazione di apertura del procedimento.

Va innanzi tutto osservato come il settore dei sistemi di pagamento operi come circuito che adotta un cd. sistema a quattro parti, o anche sistema/circuito non proprietario, caratterizzato dalla separazione tra soggetto proprietario del marchio che contraddistingue la carta di pagamento (il circuito) ed i soggetti emittenti (issuer) e/o che convenzionano gli esercenti (acquirer).

Il funzionamento del circuito MasterCard prevede dei contratti di licenza attraverso i quali i licenziatari del marchio (banche o in generale società finanziarie) emettono carte di pagamento (nel ruolo di issuer) e/o contrattualizzano gli esercenti (nel ruolo di acquirer).

Per ogni transazione, quando acquirer ed issuer sono due soggetti diversi, l’acquirer della transazione corrisponde all’issuer della carta una commissione interbancaria multilaterale o MIF.

La definizione e la modalità di applicazione di tali commissioni interbancarie sono contenute nelle regole del circuito MasterCard e applicate attraverso i contratti di licenza.

L’attività di MasterCard (soggetto che gestisce il circuito) si sostanzia nella definizione delle regole (c.d. network rules) volte a garantire la circolarità del sistema; in particolare, oltre a promuovere il marchio e dettare le regole tecniche di funzionamento, il circuito stabilisce gli oneri di adesione allo stesso (costo della licenza), nonché alcune variabili economiche che regolano i rapporti tra gli aderenti come l’ammontare dell’interchange fee (espressamente prevista nelle network rules e definita nel suo livello quantitativo dal circuito stesso), che rappresenta una delle principali voci di costo per la definizione delle commissioni (merchant fees) che regolano i rapporti tra ogni acquirer ed i propri esercenti convenzionati.

Nei sistemi a quattro parti, quale quello operato da MasterCard, il gestore del circuito concede a titolo oneroso, ai soggetti terzi richiedenti in possesso di predeterminati requisiti, la licenza per effettuare l’attività di emissione (issuing) e convenzionamento (acquiring).

La prima modalità organizzativa, ovvero quella nella quale vi è coincidenza tra soggetto issuer/acquirer e distributore (di seguito, anche, modello integrato), è tipicamente adottata dalle banche di dimensioni più grandi che sono dotate di propria licenza e svolgono direttamente l’attività verso i clienti finali e gli esercenti.

La seconda, ovvero quella nella quale le carte e/o i contratti di convenzionamento vengono collocati da un distributore diverso dall’issuer/acquirer, è invece generalmente adottata dalle banche di dimensioni medio/piccole, le quali, per scelta strategica o per il mancato raggiungimento di un volume di servizi tale da rendere economicamente conveniente l’emissione in proprio di carte di pagamento e/o il convenzionamento degli esercenti, ricorrono a società terze.

Il soggetto issuer/acquirer, oltre a detenere il rapporto a monte con il circuito, è anche il detentore del rapporto a valle con il cliente finale, titolare di carta o esercente, e che sottoscrive i contratti.

Dal momento che le licenze vengono concesse a più di un soggetto, le transazioni possono realizzarsi in circolarità coinvolgendo un issuer diverso dall’acquirer.

Nel caso del circuito MasterCard, la regolazione di tali transazioni dà luogo al pagamento a livello interbancario della interchange fee definita dal soggetto gestore e proprietario del circuito. In particolare, le interchange fee sono pagate dall’acquirer all’issuer per ogni transazione di acquisto di beni o servizi realizzata da un determinato debitore titolare della carta presso un creditore esercente.

Nelle regole del circuito MasterCard viene precisato che "Interchange fee means an amount paid by the Acquirer to the Issuer with respect to the interchange of a Transaction".

Le regole del circuito, richiamate espressamente nei contratti di licenza stipulati tra i licenziatari ed il gestore del circuito, prevedono l’applicazione delle interchange fees.

In particolare, "a transaction (…) cleared and settled between Members gives rise to the payment of the appropriate interchange fee (…), as applicable" e "the Corporation (MasterCard) will inform Members, as applicable, of all fees it establishes and may periodically publish fee tables."

Tali commissioni interbancarie sono uniformi, a parità di tipologia di carta e di transazione, e note a tutti i licenziatari, ovvero ai soggetti che le implementeranno sulla base dei contratti di licenza stipulati con il circuito.

Prima della quotazione e ristrutturazione di MasterCard le interchange fee erano definite dall’European Board, mentre successivamente è il Global Board che ha delegato un manager (Chief Operating Officer) interno a definire tali commissioni interbancarie.

A livello nazionale, solo in assenza di specifiche commissioni interbancarie (intracountry fallback interchange fee) si applicano le commissioni interbancarie transfrontaliere (cross border o intercountry fallback o intraEEA fallback interchange fees).

Le commissioni interbancarie (intracountry fallback interchange fees) attualmente applicate in Italia sono state definite nel loro ammontare dal circuito MasterCard.

Le interchange fees rappresentano una delle principali componenti di costo per la successiva definizione delle variabili economiche da parte degli acquirer, in particolare delle c.d. merchant fees.

Infatti, i soggetti acquirer, una volta diventati licenziatari del marchio MasterCard, sono coloro che stipulano i contratti di convenzionamento con gli esercenti.

Tali contratti prevedono il pagamento all’acquirer, per i vari servizi resi da quest’ultimo, di una commissione (c.d. merchant fee) da parte dell’esercente.

Nel modello integrato in cui l’acquirer coincide con il soggetto distributore è esso stesso a stabilire la commissione che il merchant dovrà corrispondergli per l’accettazione dei pagamenti attraverso le carte MasterCard (merchant fee).

Nell’ipotesi di modello non integrato (caratterizzato dalla presenza di un distributore terzo), il contratto di acquiring è sempre stipulato tra l’esercente stesso e l’acquirer sulla base di una merchant fee definita, in tal caso, dal distributore.

Anche in tale modello, è determinante il ruolo dell’acquirer e della interchange fee che egli deve poi corrispondere all’issuer, in quanto la merchant fee è determinata sulla base di varie voci di costo derivanti dall’accordo di distribuzione tra acquirer e distributore (che includono l’interchange fee, i costi di circuito ed i compensi).

L’interchange fee è, quindi, una componente che incide sulla definizione della merchant fee:

– direttamente, laddove acquirer e distributore coincidano;

– indirettamente, laddove non coincidano, rappresentando una voce di costo che determina l’ammontare complessivo dei costi a carico del distributore.

4.4.2.2 Ciò osservato, è noto che la latitudine espansiva del sindacato dell’eccesso di potere deve, comunque, arrestarsi laddove non siano riscontrabili:

– carenze e/o incongruità del percorso motivazionale

– travisamenti e/o errati apprezzamenti delle circostanze di fatto e/o di elementi di diritto

– o, ancora, manifeste emersioni di elementi di illogicità.

In tale delimitata ottica di consentita criticabilità, la motivazione (per quanto diversamente articolata) a supporto del rigetto degli impegni proposti dalle Banche licenziatarie rivela inaccettabili profili di ellitticità, atteso che l’Autorità ha dimostrato di non essersi data carico della compiuta individuazione (proprio sul presupposto, dalla stessa AGCM ravvisato, della "verifica delle merchant fee in funzione delle MIF di MasterCard, quanto all’impatto sul mercato"):

– innanzi tutto, della diversa funzionalità che il sistema avrebbe potuto rivelare a fronte del contenuto degli impegni proposti sia da MasterCard che dalle licenziatarie, in una ottica necessariamente complessiva attributaria della stretta connessione esistente fra gli ambiti di operatività sul mercato delle seconde rispetto alle determinazioni in ordine alle MIF assunte dalla prima;

– e, secondariamente, della compiuta idoneità degli impegni assunti dai singoli operatori, nel quadro di una valutazione di assetto del sistema fondato sul presupposto ruolo di MasterCard, al fine di rimuovere gli affermati aspetti anticompetitivi.

A fronte della ravvisata criticità (di singoli profili) degli impegni, l’Autorità ben avrebbe potuto (rectius: dovuto) sollecitare tutti i soggetti del sistema (MasterCard e le licenziatarie) a fornire dettagliati (quanto adeguati) elementi valutativi e di giudizio in ordine alla condotta analisi economica di efficienza del sistema in un’ottica pro competitiva a fronte della rimodulazione delle merchant fees – sia pure in un ambito temporalmente limitato – alla luce della determinazione della MIF da parte di MasterCard.

Né tale – eventuale – interlocuzione (peraltro pienamente rispondente al paradigma, costituzionalmente sancito, di corretto esercizio della funzione e, più in generale, di "buona" amministrazione) avrebbe potuto rappresentare una (come si è visto, preclusa) implementazione modificativa degli impegni presentati dalle parti sottoposte a procedimento: ipotesi, quest’ultima, che una legittima applicazione dell’istituto esclude, atteso che non è consentito all’Autorità "modificare" e/o "emendare" il contenuto degli impegni stessi.

Piuttosto, essa ben avrebbe potuto atteggiarsi quale doveroso svolgimento endoprocedimentale volto a chiarificare il percorso logicoargomentativo (e, con esso, le connesse analisi di sistema), per effetto del quale gli impegni in discorso (segnatamente, per quanto riguarda la determinazione del livello delle commissioni interbancarie) avevano assunto una particolare connotazione.

In tale ristretto limite (ulteriormente ribadita l’esclusa sindacabilità nel merito delle scelte di AGCM) le censure appuntate avverso il profilo motivazionale all’esame meritano accoglimento, ancorché esclusivamente con riferimento alla riscontrata inadeguatezza istruttoria che, riverberandosi sull’insufficienza dell’apparato motivazionale esposto nel provvedimento gravato, inficia alla luce dei riscontrati profili, la determinazione di che trattasi.

5. Nei limiti indicati in motivazione, il ricorso si dimostra quindi fondato.

Si impone, conseguentemente e nei limiti medesimi, l’annullamento:

– non soltanto della decisione, in data 22 dicembre 2009, della determinazione con la quale AGCM ha rigettato gli impegni presentati dalle parti del procedimento;

– ma anche – derivativamente – del provvedimento (gravato in via principale) dalla stessa Autorità assunto il 3 novembre 2010, con il quale, a conclusione del procedimento nei confronti delle parti medesime avviato il 15 luglio 2009, è stata disposta l’irrogazione di sanzioni a fronte della ritenuta presenza di illeciti antitrust.

Le spese di lite – che possono essere compensate fra la ricorrente UniCredit e SKY Italia – vanno invece poste, in favore della prima, a carico dell’Autorità soccombente, giusta la liquidazione di cui in dispositivo.

P.Q.M.

accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, in tali limiti annulla gli atti impugnati.

Condanna l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella persona del Presidente p.t., al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte ricorrente per complessivi Euro 3.000,00 (euro tremila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *