T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 11-07-2011, n. 6155

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente è stato ammesso al piano provvisorio di protezione in data 18 dicembre 2006, su proposta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia presso il Tribunale di Roma.

La Commissione Centrale ex art. 10 della legge 15 marzo 1991 n. 82, nella seduta del 23 luglio 2009, ha deliberato di dichiarare la cessazione degli effetti del piano di protezione nei confronti del collaboratore di giustizia Luciani S., incaricando il Servizio Centrale di Protezione di segnalare la posizione del predetto collaboratore e del suo nucleo familiare alle competenti Autorità di Pubblica Sicurezza, ai fini dell’adozione delle ordinarie misure di protezione.

Con il provvedimento impugnato la Commissione Centrale ha evidenziato che la Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, con note del 14 aprile 2008, 26 maggio 2009 e 23 luglio 2009, aveva comunicato l’intenzione di non avanzare proposta di ammissione al programma di protezione, e che la Direzione Nazionale Antimafia, in data 5 giugno 2009, aveva espresso analogo parere contrario all’adozione di un programma speciale di protezione.

Ritenendo erroneo ed illegittimo il provvedimento indicato in epigrafe, l’interessato ha proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

All’udienza del 9 giugno 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorrente ha avanzato le censure di seguito esposte avverso il provvedimento impugnato:

a) eccesso di potere per travisamento di fatto, difetto di istruttoria, errore nei presupposti, violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e segg. della legge 15.3.1991 n 82: – l’Amministrazione ha adottato il provvedimento impugnato pur sussistendo tutti presupposti di fatto e di diritto per l’ammissione allo speciale programma di protezione nella veste di Testimone di giustizia; – infatti, in data 29 aprile 2003 il ricorrente, titolare della Impresa Edile Costruzioni di Luciani S. S.A.S., si è recato presso il Commissariato di Ostia per denunciare diverse persone appartenenti ad ambienti criminali che da tempo, avendo consegnato allo stesso somme di denaro in prestito, pretendevano la restituzione del capitale unitamente alla corresponsione di interessi usurai; – in data 13 maggio 2003 il Luciani ha rilasciato dichiarazioni spontanee presso gli Uffici della Squadra Mobile di Roma in merito a circostanze a lui note in relazione ad una organizzazione criminale operante nel territorio di Ostia e dedita alla commissione di diversi reati tra cui quello di usura; – in data 22 maggio 2003 il ricorrente ha reso dichiarazioni, in qualità di persona informata sui fatti, al P.M. Dott. Adriano Iasilo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, in relazione al procedimento penale n. Rg. 45984/02; – i soggetti denunciati dal Luciani, unitamente ad altri appartenenti alla associazione criminale, sono stati rinviati a giudizio per i reati di associazione a delinquere finalizzata all’usura (proc. penale n. RG. 45160/03 e n. RG. 18683/04 GIP); in detto procedimento penale Luciani S., parte offesa, si è costituito parte civile; – in data 26 gennaio 2007 il ricorrente è stato sottoposto ad interrogatorio dal Pubblico Ministero Dott. Adriano Iasillo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, nell’ambito del procedimento penale n. R.G. 45160/03 ed ha sottoscritto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione; nel procedimento penale in cui Luciani S. è costituito parte civile, lo stesso è stato sottoposto ad esame e controesame in dibattimento; – egli è, inoltre, persona offesa nel procedimento penale n. RG. 42846/05 NR pendente avanti il Tribunale Penale di Roma; – il comma 3 dell’art. 9 del D.L. n. 8/1991 prevede che ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale; le dichiarazioni rese dal ricorrente nell’ambito del procedimento penale n. RG. 45160/03 pendente avanti il Tribunale Penale di Roma, in cui Luciani S. è costituito parte civile, rivestono carattere di intrinseca attendibilità, presentano il carattere di novità e completezza e, quindi, avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione a riconoscere in favore dell’interessato speciali misure di protezione;

b) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere sotto il profilo della perplessità dell’azione amministrativa, eccesso di potere per contraddittorietà: – la Commissione centrale ha adottato il provvedimento impugnato omettendo di esprimere le ragioni di fatto e di diritto che l’hanno indotta ad emettere l’atto contestato; – infatti, nel provvedimento impugnato si fa generico riferimento a diverse note della Direzione Distrettuale Antimafia che non ha inteso avanzare proposta di ammissione al programma di protezione, ed alla Direzione Nazionale Antimafia che ha espresso analogo parere contrario all’adozione dello speciale programma di protezione, senza esprimere le ragioni dei pareri contrari.

2. L’Amministrazione resistente si è difesa in giudizio depositando note e documenti relativi alla vicenda, contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

3. E’ opportuno, prima di valutare le censure avanzate dalla parte ricorrente, esaminare il quadro normativo dettato in materia di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia.

La materia trova la sua disciplina primaria nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (recante Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 gennaio 1991, n. 12 e convertito in legge, con modificazioni, con L. 15 marzo 1991, n. 82 (in G.U. 16 marzo 1991, n. 64), come modificato dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45.

La disciplina dettata in materia, è completata dalla normativa di rango secondario contenuta nel D.M. 23 aprile 2004, n. 161 (recante il Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell’articolo 17bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’articolo 19 della L. 13 febbraio 2001, n. 45), emanato dal Ministero dell’Interno (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2004, n. 147).

Per quanto concerne la protezione dei Collaboratori di giustizia, il Capo II, del D.L. n. 8/1991, all’articolo 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione) stabilisce che alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 9, possono essere applicate speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.

Le speciali misure di protezione sono applicate: 1) quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza; 2) se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 del medesimo articolo 9 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all’articolo 51, comma 3bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600bis, 600ter, 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, e 600quinquies del codice penale.

Ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione, il terzo comma dell’articolo 9 precisa che assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, le quali devono avere carattere di intrinseca attendibilità; devono, altresì, avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristicoeversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi (art. 9, comma 6).

I contenuti delle speciali misure di protezione sono stabiliti dall’articolo 13 del D.L. n. 8/1991 e dall’art. 7 del D.M. n. 161/2004, mentre l’articolo 9, comma 4 del medesimo decreto legge prevede che se le speciali misure di protezione indicate nell’articolo 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell’articolo 13, comma 5 del medesimo decreto legge e nell’art. 8 del D.M. n. 161/2004, comprendendo, tra le altre, misure di assistenza personale ed economica (cfr. art. 13, commi 6 e ss., D.L. n. 8/1991).

Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 dell’articolo 9 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 del citato articolo 13 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.

L’ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono deliberati dalla Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del D.L. n. 8/1991, su proposta formulata dalla competente Autorità giudiziaria inquirente o dal Capo della PoliziaDirettore Generale della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 2 e ss., D.M. n. 161/2004), ai sensi dell’articolo 11 del citato decreto legge, il quale prevede i casi in cui è possibile chiedere un parere, rispettivamente, al Procuratore Nazionale Antimafia ed ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello interessati, o al competente Procuratore della Repubblica.

L’ammissione alle speciali misure di protezione avviene all’esito dell’istruttoria del caso concreto e previa assunzione da parte delle persone protette degli impegni di cui all’art. 12 del D.L. n. 8/1991, specificati nell’art. 9, del D.M. n. 161/2004.

L’art. 10, del D.M. n. 161/2004, disciplina la modifica e la verifica periodica delle speciali misure di protezione, precisando, in particolare, che: – la Commissione centrale può modificare le speciali misure di protezione ed il programma speciale di protezione attraverso l’introduzione, la modificazione, l’integrazione, l’abrogazione o la sospensione delle misure tutorie, di quelle assistenziali, nonché di quelle relative agli impegni previsti a carico degli interessati (comma 1); – le speciali misure di protezione e il programma speciale di protezione sono a termine (comma 7) ed il termine delle misure e dei programmi speciali di protezione – non inferiore a sei mesi e non superiore ai cinque anni – è fissato dalla Commissione centrale con lo stesso provvedimento con cui vengono adottati; in caso di mancata indicazione il termine è di un anno dalla data del provvedimento (comma 8).

L’art. 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991 e l’art. 11 del D.M. n. 161/2004, prevedono che quando risultano situazioni di particolare gravità e vi è richiesta dell’autorità legittimata a formulare la proposta, la Commissione delibera, anche senza formalità e, comunque, entro la prima seduta successiva alla richiesta, un piano provvisorio di protezione dopo aver acquisito, ove necessario, informazioni dal Servizio centrale di protezione di cui all’articolo 14 del D.L. n. 8/1991 o per il tramite di esso.

La richiesta contiene, oltre agli elementi di cui all’articolo 11, comma 7, del citato decreto legge, la indicazione, quanto meno sommaria, dei fatti sui quali il soggetto interessato ha manifestato la volontà di collaborare e dei motivi per i quali la collaborazione è ritenuta attendibile e di notevole importanza; e specifica, inoltre, le circostanze da cui risultano la particolare gravità del pericolo e l’urgenza di provvedere.

I contenuti del piano provvisorio di protezione sono specificati nell’art. 6 del D.M. n. 161 del 2004.

Il provvedimento con il quale la commissione delibera il piano provvisorio di protezione cessa di avere effetto se, decorsi centottanta giorni, l’Autorità legittimata a formulare la proposta di cui all’articolo 11, del D.L. n. 8/1991, non ha provveduto a trasmetterla e la Commissione non ha deliberato sull’applicazione delle speciali misure di protezione osservando le ordinarie forme e modalità del procedimento.

Al presidente della Commissione è data facoltà di disporre la prosecuzione del piano provvisorio di protezione per il tempo strettamente necessario a consentire l’esame della proposta da parte della commissione medesima.

Le speciali misure di protezione, oltre ad essere a termine, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del medesimo decreto legge, in relazione ai seguenti fatti o circostanze: – attualità del pericolo; – gravità del pericolo e idoneità delle misure adottate; – condotta delle persone interessate; – osservanza degli impegni assunti a norma di legge.

Riguardo alla cessazione delle misure di protezione, l’articolo 11 del D.M. n. 161 del 2004, precisa che le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge 15 marzo 1991, n. 82, sono revocate o non sono prorogate nei casi espressamente previsti dalla legge ovvero quando vengono meno l’attualità e la gravità del pericolo o appaiono idonee altre misure adottate. Le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13quater, commi 1 e 2, della legge 15 marzo 1991, n. 82 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.

Per quanto concerne la protezione dei Testimoni di giustizia, il Capo IIbis del D.L. n. 8/1991, all’art. 16bis (Applicazione delle speciali misure di protezione ai testimoni di giustizia) e l’art. 12, del D.M. n. 161/2004, stabiliscono che le speciali misure di protezione di cui agli articoli 9 e 13, comma 5, se ne ricorrono i presupposti, si applicano a coloro che assumono rispetto al fatto o ai fatti delittuosi in ordine ai quali rendono le dichiarazioni esclusivamente la qualità di persona offesa dal reato, ovvero di persona informata sui fatti o di testimone, purché nei loro confronti non sia stata disposta una misura di prevenzione, ovvero non sia in corso un procedimento di applicazione della stessa, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575. Tali soggetti sono denominati "testimoni di giustizia".

Il contenuto delle speciali misure di protezione è disciplinato all’art. 16ter, del D.L. n. 8/1991.

Ai fini dell’ammissione alle speciali misure di protezione, le dichiarazioni rese dai testimoni di giustizia possono anche non avere le caratteristiche di cui all’articolo 9, comma 3, del D.L. n. 8/1991, salvo avere carattere di attendibilità, e riferirsi a delitti diversi da quelli indicati nel comma 2 dello stesso articolo.

4. Ciò posto, le censure avanzate dalla parte ricorrente vanno considerate infondate per le ragioni di seguito indicate.

Nel caso di specie, dall’esito dell’istruttoria condotta – per come emerge e risulta dal tenore del provvedimento impugnato e dagli atti posti a base dello stesso (prodotti in giudizio dall’Amministrazione allegati alla nota datata 27.10.2009) – risulta che Lucani S. è stato ammesso ad un piano provvisorio di protezione, ai sensi dell’art. 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, con delibera del 18 dicembre 2006, su richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma – Direzione Distrettuale Antimafia.

Come sopra precisato al punto sub 3), il piano provvisorio di protezione ha una validità temporale limitata, posto che la norma richiamata stabilisce che il provvedimento con il quale la Commissione delibera il piano provvisorio di protezione cessa di avere effetto se, decorsi centottanta giorni, l’Autorità legittimata a formulare la proposta non ha provveduto a trasmetterla e la Commissione non ha deliberato sull’applicazione delle speciali misure di protezione osservando le ordinarie forme e modalità del procedimento.

Al riguardo, va osservato che la Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, con nota in data 14 aprile 2008, ha trasmesso una annotazione del Sostituto Procuratore della Repubblica competente, recante l’intenzione di non avanzare ulteriori richieste di ammissione a speciali misure o programmi di protezione.

Tale punto di vista è stato confermato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma con nota del 26 maggio 2009, indirizzata alla Direzione Nazionale Antimafia, nella quale è stato precisato che le notizie acquisite nel processo innanzi alla Sezione VI^ del Tribunale Ordinario di Roma, hanno visto il Lucani inizialmente rifiutarsi di collaborare e successivamente "sottoporsi ad esame i cui esiti non possono certo definirsi brillanti attese le precisazioni delle precedenti dichiarazioni, ai limiti di una imputazione per calunnia e di falsa testimonianza".

La Direzione Nazionale Antimafia, con nota del 5 giugno 2009, ha espresso parere contrario all’adozione delle misure di protezione, richiamando le valutazioni della Direzione Distrettuale Antimafia.

Con successiva nota del 23 luglio 2009, il Procuratore Distrettuale Antimafia di Roma ha richiesto espressamente la revoca del piano provvisorio nei confronti del Lucani.

Conseguentemente, la Commissione centrale, con delibera del 23 luglio 2009, ha deliberato la revoca del piano provvisorio di protezione nei confronti di Lucani S., ai sensi del combinato disposto di cui agli arrt. 11 e 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, risultando decorso il termine dei 180 giorni di validità del piano provvisorio di protezione senza che ad esso sia seguita la proposta di ammissione alle misure definitive di protezione, anzi (come osservato dall’Amministrazione con nota del 27.10.2009) essendo intervenuta una formale richiesta di revoca del piano provvisorio da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma.

Il Collegio ritiene che nella fattispecie la Commissione centrale abbia operato correttamente, perché la condizione di procedibilità per l’adozione delle speciali misure di protezione previste dal D.L. n. 8/1991 è la formulazione di una proposta da parte della competente Autorità (cfr. art. 11 D.L. n. 8/1991 e artt. 2 e ss. D.M. n. 161/2004). Quindi, in mancanza di una proposta formale, la Commissione non può ritenersi investita del potere di adottare speciali misure di protezione.

Tali condizioni si verificano anche quando (come nel caso di specie), successivamente all’ammissione ad un piano provvisorio di protezione adottato a seguito di una specifica proposta avanzata dall’Autorità competente, non pervenga alla Commissione entrale, nei termini previsti (180 gg.) una formale proposta di adozione di definitive misure speciali di protezione e di uno speciale programma di protezione. In tal caso, infatti, l’art. 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, prevede la cessazione degli effetti del piano provvisorio di protezione e, quindi, è la stessa fonte di rango primario indicata a prevedere (prima ancora del provvedimento della Commissione centrale che, quindi, assume in tali ipotesi semplicemente valore dichiarativo) la cessazione delle misure di protezione disposte in via provvisoria.

Ciò posto, il Collegio ritiene infondate le censure avanzate dal ricorrente in relazione ad assunte carenze motivazionali ed istruttorie delle determinazioni della Commissione centrale, considerato che nel provvedimento impugnato si è dato conto delle ragioni che hanno determinato la cessazione degli effetti del piano provvisorio dì protezione, perché sono richiamate le note della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e della Direzione Nazionale Antimafia, da cui si evince l’impossibilità di mantenere in essere speciali misure di protezione in favore del ricorrente.

Fermo restando che non spetta alla Commissione centrale ingerirsi nelle valutazioni eseguite dalle competenti Autorità giudiziarie inquirenti in ordine ai profili di rilevanza, completezza e attendibilità delle dichiarazioni rese dal Collaborante, basta richiamare al riguardo, la nota della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma del 26 maggio 2009, nella quale si precisa che le notizie acquisite nel processo innanzi alla Sezione VI^ del Tribunale Ordinario di Roma, hanno visto il Lucani inizialmente rifiutarsi di collaborare e successivamente "sottoporsi ad esame i cui esiti non possono certo definirsi brillanti attese le precisazioni delle precedenti dichiarazioni, ai limiti di una imputazione per calunnia e di falsa testimonianza".

Va, infine, ritenuto in conferente il richiamo operato dal ricorrente alla disciplina ed allo status di testimone di giustizia, posto che il Lucani rivestiva lo status di collaboratore di giustizia ed in relazione alla sua posizione l’Autorità giudiziaria non ha mai avanzato proposta di sottoposizione a speciali misure di protezione in qualità di testimone di giustizia.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.

6. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità delle vicenda e delle questioni trattate – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo respinge il ricorso;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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