Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 28-06-2011) 07-07-2011, n. 26575

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 16 luglio 2010, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa il 28 aprile 2009 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città con la quale P.R. e P.G.S.F. erano stati dichiarati colpevoli dei delitti di ricettazione loro rispettivamente ascritti e condannati, il P., alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa ed il P. alla pena di anni tre e mesi due di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa.

Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati.

Nel ricorso proposto nell’interesse del P. si lamenta vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta responsabilità penale circa la provenienza delittuosa dei preziosi di cui al capo 8), posto che i giudici dell’appello avrebbero fatto leva sul fatto che l’imputato aveva asserito di aver acquistato parte dei preziosi trovati in suo possesso "in nero" per affermare, implicitamente, che in tal modo avrebbe ammesso di non poterne provare la legittima provenienza e giungendo, quindi, ad operare una non consentita inversione dell’onere della prova.

Si denuncia, poi, la eccessività della pena assunta come pena base e la contraddittoria motivazione sul punto, posto che, essendo stata ritenuta più grave la ricettazione delle armi, non aveva senso far riferimento al valore elevato, riferito invece ai preziosi.

Le stesse censure riguardano anche la mancata concessione delle attenuanti generiche, non essendo stata adeguatamente valutata la confessione dell’imputato.

Si censura, infine, anche la confisca del denaro, considerate le produzioni documentali circa le disponibilità economiche dell’imputato ed i relativi movimenti bancari, tali da giustificare la somma detenuta in casa.

Nel ricorso proposto personalmente dal P. si lamenta vizio di motivazione e mancanza di riscontri in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato in merito alla ricettazione degli oggetti di cui ai capi 5) e 7) e di parte di quelli di cui al capo 6); la chiamata in correità del P. sarebbe, infatti, priva di riscontri: anzi, il diverso tenore di vita rende non credibile che l’imputato fosse l’unico fornitore di gioielli rubati in favore del P..

Nè può valere come conferma il precedente penale evocato a carico dell’imputato stesso.

Si lamenta, poi, che i giudici dell’appello non abbiano fornito adeguata risposta in merito al motivo di impugnazione riguardante la insussistenza del concorso rispetto a quanto detenuto dal P., e lo stesso vizio si denuncia anche in riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche, negate su rilievi che si reputano apodittici.

Entrambi i ricorsi sono palesemente inammissibili, perchè, per un verso, reiterativi di deduzioni già sviluppate in appello e da quei giudici motivatamente disattese, in forza di argomentazioni solo assertivamente contestate dagli imputati, e, sotto altro profilo, fortemente orientati verso una non consentita rivalutazione degli apprezzamenti di fatto, peraltro più che puntualmente condotti dai giudici del doppio grado di merito.

A proposito delle deduzioni svolte dal P., va in particolare ribadito che in ordine al delitto di ricettazione, per la affermazione della responsabilità non è necessario l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l’esistenza attraverso prove logiche (Cass., Sez. 2^, 15 gennaio 2009, Longo; Cass., Sez. 4^, 7 novembre 1997, Bernasconi).

La provenienza da delitto della res, infatti, al pari di qualsiasi elemento strutturale della fattispecie – non richiedendosi uno specifico nomen iuris che qualifichi l’origine del bene, così come non rilevando neppure la imputabilità o la punibilità del relativo autore ovvero (a seguito della novella introdotta dalla L. n. 328 del 1993) la stessa procedibilità del delitto presupposto – forma oggetto di prova secondo gli ordinari criteri di accertamento, che ben può fondarsi, dunque, anche su indizi e, pertanto, sulla stessa prova logica.

Per altro verso, la giurisprudenza di questa Corte è da tempo consolidata nell’affermare che ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, la mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della illecita provenienza (ex plurimis, Cass., Sez. 2^, 27 ottobre 2010, Ienne), senza che ciò comporti in alcun modo una violazione del principio nemo tenetur se detegere o, come erroneamente assume il ricorrente, una inversione dell’onere della prova, posto che è lo steso possesso del bene proveniente da delitto a rappresentare una circostanza di fatto, in sè oggettivamente e soggettivamente indiziante, ove la genesi del possesso non sia, come nella specie, plausibilmente giustificata.

Le censure in punto di pena, di attenuanti generiche e di confisca sono, poi, palesemente destituite di fondamento, avendo i giudice del gravame dato puntualmente conto della correttezza delle scelte operate dal primo giudice e della inconferenza della documentazione prodotta dall’imputato a fronte delle acquisizioni processuali.

Quanto al ricorso del P., lo stesso si rivela sterilmente riproduttivo delle questioni già devolute in appello, senza che ai motivati rilievi svolti sui singoli punti nella sentenza impugnata vengano formulate censure autonome e dunque enunciati motivi specifici di ricorso.

La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai da tempo consolidata nell’affermare che deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (Cass., Sez. 1^, 30 settembre 2004, Burzotta; Cass., Sez. 6^, 8 ottobre 2002, Notaristefano; Cass., Sez. 4^, 11 aprile 2001 Cass., Sez. 4^, 29 marzo 2000, Barone; Cass., Sez. 4^, 18 settembre 1997, Ahmetovic).

Le doglianze sulle attenuanti generiche sono anch’esse del tutto prive di specificità, e fondate su profili di merito, palesemente eccentrici rispetto all’odierno scrutinio di legittimità.

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 ciascuno, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *