T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 11-07-2011, n. 6138

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, all’epoca Ispettore della polizia di stato, contattava, nel gennaio 1991, il direttore della rivista "Nuova Polizia" per riferire del ritrovamento, nel febbraio 1972, in una grotta in località Aurisina e di seguito ad un sopralluogo curato dallo stesso ricorrente (al tempo frequentatore della Scuola di polizia di Trieste) e da un sottufficiale di polizia che lo aveva preso in simpatia nonché da un terzo non meglio identificato Carabiniere, di materiale esplosivo e di armi verosimilmente appartenenti agli ambienti dell’estrema destra triestina: materiale ed armi poi fatte figurare ufficialmente rinvenute dai Carabinieri di Aurisina nei giorni immediatamente successivi. A conforto della propria versione dei fatti, il ricorrente esibiva al giornalista una foto delle armi, a suo dire scattata dal citato sottufficiale soffermandosi ulteriormente sulla figura di quest’ultimo da lì a breve internato, benché sano, in una clinica psichiatrica e poi morto suicida.

Dopo l’intervista (che viene pubblicata sia sulla citata rivista "Nuova Polizia" che sul quotidiano "La Stampa"), il ricorrente, sentito in qualità di testimone dal Giudice istruttore titolare dell’indagine sui fatti connessi alla strage di Peteano ed altri fatti eversivi dell’ordine democratico, ribadiva il contenuto dell’intervista precisando, però, di non essere stato presente al ritrovamento. Dal sottufficiale aveva ricevuto solo le confidenze circa il rinvenimento del materiale che sarebbe stato anche fotografato; una di queste fotografie, all’insaputa del sottufficiale, era stata dallo stesso ricorrente sottratta ed esibita ai giornalisti. Successivamente, interrogato in qualità di imputato di falsa testimonianza, il Colucci cambiava radicalmente versione: dichiarava di aver voluto riabilitare la memoria dell’amico sottufficiale rivolgendosi alla stampa e di aver ecceduto in talune sue affermazioni per renderle più convincenti. In particolare non aveva partecipato al rinvenimento delle armi, le fotografie esibite ai giornalisti erano state tratte da ritagli di giornale conservati nella casa dei nonni ed era stato lui stesso ad insinuare nel giornalista il sospetto che non tutto il materiale rinvenuto era stato sequestrato dai Carabinieri che avevano successivamente eseguito l’intervento.

Tratto a giudizio per rispondere dei reati di: a) falsa testimonianza; b) autocalunnia (per essersi falsamente accusato del furto delle fotografie); c) calunnia (per aver simulato a carico del Comandante e dei Carabinieri in servizio ad Aurisina le tracce del delitto di peculato perché il materiale elencato al verbale di sequestro era quantitativamente inferiore a quello risultante dalle proprie ricerche), il ricorrente viene riconosciuto, con sentenza del Tribunale di Venezia del 1992, responsabile di tali due ultimi reati mentre, per il reato di falsa testimonianza, gli atti vengono rimessi al Pubblico Ministero per i successivi adempimenti.

A seguito di impugnazione dell’imputato, la Corte d’Appello di Milano, con sentenza dell’ottobre del 2000, dichiara non doversi procedere a carico del ricorrente in ordine al delitto di autocalunnia per essere il reato estinto per prescrizione ed assolve l’imputato dalla calunnia perché il fatto non costituisce reato. Con riguardo a questo secondo capo assolutorio, la Corte territoriale rileva che la condotta dell’imputato era soprattutto finalizzata a rendersi credibile come testimone, così che la produzione dell’elenco delle armi rinvenutetratto in realtà da un giornale dell’epoca – era avvenuta senza che il ricorrente formulasse addebito di sorta nei confronti dei Carabinieri (e cioè di aver sottratto armi e materiale esplosivo non elencato nel verbale di sequestro); in sostanza, proprio la mancanza di una formale accusa nella deposizione dopo l’intervista avrebbe comprovato che l’unico intento che aveva mosso il ricorrente si ricollegava all’esercizio del diritto di difesa e che conseguentemente esulava ogni intento calunniatorio nei confronti dei Carabinieri di Aurisina.

La sentenza della Corte territoriale viene confermata dalla Corte Suprema di Cassazione con decisione n. 821 del 2001.

Evidenzia la Suprema Corte che sul capo riguardante la prescrizione per il delitto di autocalunnia si è formato il giudicato; mentre per quanto riguarda il distinto delitto di calunnia, essendo a tale fattispecie coessenziale che colui che formula la falsa accusa abbia la certezza dell’innocenza dell’incolpato, tale elemento costitutivo non era certo nel caso di specie; e ciò in quanto all’epoca delle dichiarazioni dell’imputato circolava sulla stampa la notizia che l’autorità giudiziaria stesse indagando nei confronti dei carabinieri per il reato di falso in atto pubblico connesso al ritrovamento delle armi di cui si è in precedenza detto.

Di seguito alla pronuncia della Suprema Corte il Colucci ha avanzato all’amministrazione di appartenenza istanza, ai sensi 33 del d.P.R. n.395 del 1995, di rimborso delle spese di difesa sostenute: istanza che è stata respinta con provvedimento del 24/9/2004 in cui l’amministrazione ha rappresentato all’interessato l’estraneità alla fattispecie che lo riguarda della norma dallo stesso evocata e specificato che la materia è disciplinata dall’art.18 del d.l. n.67 del 1997, convertito nella legge nr. 135 del 1997: norma, anch’essa, non applicabile al caso in esame in quanto consente il rimborso delle spese legali di cui trattasi solamente con riguardo a quelle sostenute per la difesa nei giudizi promossi nei confronti di dipendenti statali "in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali, conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità…".

Rebus sic stantibus il Colucci si è rivolto a questo Giudice deducendo, con la domanda introduttiva dell’odierno giudizio, la violazione della norma dell’art.18 sopra ricordata. I fatti oggetto della testimonianza resa in sede penale sono stati da lui appresi mentre era Allievo alla Scuola di Polizia di Trieste; e, dunque, allorquando rivestiva una posizione in forza della quale era da considerarsi in servizio permanente; né il carattere dell’occasionalità del servizio (evidenziato dalla p.a. in seno al provvedimento di reiezione impugnato) elimina il nesso causale tra i fatti comunque avvenuti durante il servizio e le dichiarazioni rilasciate.

Tale tesi è contraddetta dall’Amministrazione dell’Interno che, costituitasi in giudizio per il tramite del Pubblico Patrocinio, ne ha sottolineato, in articolata memoria, l’incondivisibilità proponendo la reiezione del ricorso avversario.

All’udienza del 9.6.2011 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.

Motivi della decisione

I)- Gli elementi di fatto da cui sono originati i procedimenti penali intentati nei confronti del Colucci e l’esito di questi ultimi è stato articolatamente descritto in narrativa.

Il ricorrente, una volta prosciolto, ha promosso ricorso in cui, anche se non manca di invocare una pronuncia annullatoria del provvedimento specificamente avversato, invoca dall’adito Giudice l’accertamento del proprio diritto all’integrale (e non limitata) reintegrazione delle spese sopportate in funzione dei citati tre gradi di giudizio: diritto che, pur se nell’epigrafe del gravame, viene giuridicamente collegato a norma del tutto estranea alla fattispecie di cui trattasi (e cioè l’art. 33 del d.P.R. n.395 del 1995 che, rinvia, a sua volta, all’art. 32 della legge n.152 del 1975, il quale concerne il rimborso delle spese legali sostenute nei procedimenti a carico di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza per fatti compiuti in servizio e relativi all’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica; e dunque a condotte caratterizzate da elementi connotativi del tutto assenti nelle vicende che hanno visto come protagonista il ricorrente), nel successivo svolgimento del ricorso viene, invece, prospettato in congiunzione alla norma dell’art.18 del d.l. n.67 del 1997.

Sennonchè nella controversia in esame, affidata alla giurisdizione esclusiva di questo Tribunale (cfr., ex plurimis, Cass. SS.UU. nr.6996 del 2010), ogni questione legata alla effettiva natura della situazione legittimante fatta valere si rivela ultronea ai fini della sua definizione. E ciò in quanto non si tratta di giudicare della congruità, o meno, degli importi riconosciuti in ordine a vicenda i cui presupposti costitutivi sono dati per pacifici ed incontestati da entrambe le parti in conflitto; al contrario il nodo centrale della lite verte proprio sull’esistenza o meno di uno di tali presupposti costitutivi e cioè sulla sussumibilità nel paradigma normativo "dei fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali" delle condotte poste in essere dal ricorrente e soggette al vaglio processuale di cui in narrativa si è detto. Ed alla soluzione di tale questione è funzionale non la previa identificazione della posizione soggettiva fatta valere in giudizio ma la censura, correttamente sollevata, della violazione od erronea applicazione del citato art.18, al cui scrutinio il Collegio provvederà, una volta delineate le coordinate esegetiche e giurisprudenziali fungenti da parametro e perimetro dell’odierno contenzioso.

II)- Il testo dell’articolo 18 del decretolegge n. 67/1997 è il seguente: " Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato".

La disposizione postula, ai fini del rimborso, la connessione dei fatti e degli atti che hanno integrato la condotta ipoteticamente delittuosa con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali; nonché la circostanza che il giudizio abbia del tutto escluso la responsabilità del dipendente pubblico cui i fatti ed atti erano stati ascritti. La necessaria connessione con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali si rinviene quando gli effetti dell’attività del dipendente siano imputabili direttamente all’Amministrazione di appartenenza o quando tale attività sia comunque svolta in diretta relazione con i fini dell’Amministrazione stessa; mentre è da escludersi qualora sia ravvisabile un’attività imputabile direttamente e solo al dipendente (e non anche all’Ente di appartenenza), ovvero quando si manifesti un "conflitto di interessi tra dipendente ed Amministrazione, emergendo estremi di natura disciplinare ed amministrativa, per mancanze attinenti al compimento dei doveri d’ufficio" (si veda, puntualmente: Tar Lazio n. 3799/09, nonché C.S. n. 2041/05). La ratio sottesa, infatti, è evidentemente quella di tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome e per conto e nell’interesse dell’Amministrazione, in modo da sollevare quei soggetti dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse col loro legittimo agire (giur.za pacifica; cfr. ex plurimis cfr. Cons. Stato, sez. III, 25.11.2003, parere n. 332/03). A quanto esposto consegue che il beneficio del rimborso può essere escluso (oltre ai casi in cui i fatti non siano direttamente connessi con l’espletamento del servizio) anche (secondo un maggioritario indirizzo giurisprudenziale), quando il soggetto sia stato assolto, con formula, quale ad es. quella di cui all’art.530 c.2 del c.p.p., che non esclude del tutto la sua responsabilità potendo, in questi casi, il prosciolto (in sede penale) essere comunque sottoposto a procedimento per responsabilità civile o amministrativa (si vedano, sul principio: Tar Lazio n. 6375/09 e Tar Campania – Napoli n. 9616/08 nonché n.2041 del 2005 del Cons.St ove si sostiene che, il rimborso non spetta neanche nel caso in cui il dipendente sia stato prosciolto per intervenuta prescrizione, avendo egli la facoltà e l’onere di rinunciare alla prescrizione o comunque di impugnare la sentenza che dichiari per l’effetto estinto il reato, al fine di addivenire ad una pronuncia pienamente assolutoria nel merito).

III)- Orbene il caso condotto all’attenzione del Collegio, manifestamente, non rientra nell’ambito applicativo della disposizione dell’art.18 citato e non è condivisibile la tesi attorea in quanto, di fatto, finisce col ricollegare la rimborsabilità delle spese legali allo status di "pubblico dipendente" dell’inquisito che, una volta prosciolto, matura, sic et simpliciter, un diritto alla reintegrazione della diminuzione patrimoniale sofferta.

Ma la norma dell’art.18 non legittima un’esegesi così lata, ponendo essa, quale presupposto costitutivo fondamentale della pretesa al rimborso, l’essere stato promosso nei confronti del dipendente un giudizio "in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali" e richiede, quindi, che il dipendente abbia posto in essere una condotta positiva (atti) od omissiva (fatti) nell’esercizio della funzione di cui è titolare come necessaria premessa per qualunque istanza di rimborso. E ciò indipendentemente dai successivi sviluppi (reato comune o proprio) che tale condotta può avere concretamente assunto.

Ora nel caso dell’Ispettore Colucci, manifestamente, nessuno dei fatti e nessuna delle condotte, in narrativa analizzate, sono originate dall’esigenza di un adempimento dei doveri di servizio inerenti alla posizione di agente od ufficiale di p.g. né le oscure finalità perseguite appaiono in alcun modo coincidenti con i fini istituzionali della p.a. senza che rilievo alcuno (se non negativo) possa spendere, nell’ambito di tale giudizio valutativo, la sua posizione di allievo guardia in servizio permanente.

Il ricorso, pertanto, è infondato e deve respingersi.

Le spese di lite, che seguono la soccombenza, sono liquidate in dispositivo

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) respinge il ricorso in epigrafe.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio che, forfetariamente, liquida in Euro3000,00 a beneficio della resistente amministrazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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