T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 11-07-2011, n. 6123

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Parte ricorrente è fratello di un collaboratore di giustizia. Il Programma speciale di protezione cui è stato ammesso detto collaboratore è stato, inizialmente, a cura dalla competente Commissione, esteso anche nei confronti del ricorrente. Successivamente, per effetto del provvedimento in epigrafe, tale regime di speciale tutela è stato, nei confronti del solo familiare del collaborante, revocato. Il sig. M. G. si è quindi gravato avverso detta determinazione ritenendola viziata da eccesso di potere per violazione di legge, difetto di istruttoria e di motivazione.

L’amministrazione si è costituita in giudizio solo all’odierna udienza pubblica del 09.6.2011 con dichiarazione del rappresentante presente del Pubblico Patrocinio ricevuta a verbale.

Non ha, pertanto, prodotto memoria e/o nota difensiva alcuna. All’udienza sopra citata la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.

Motivi della decisione

I)- Costituisce oggetto dell’odierno giudizio l’impugnativa che il ricorrente ha mosso avverso la determinazione assunta dalla Commissione Centrale ex art. 10 L. n. 82/1991 con la delibera, adottata il 18.3.2009, di revoca del programma speciale di protezione (di seguito: P.s.p.) cui il ricorrente era stato ammesso, quale familiare di collaboratore di giustizia.

La Commissione ha maturato tale determinazione rinvenendone supporto in una serie di informative del Servizio Centrale di Protezione tutte convergenti nel dare atto di una condotta del ricorrente incompatibile con lo status di persona sottoposta a speciale regime di protezione e certamente idonea a vanificarne le relative finalità di sicurezza (nel provvedimento si cita una denuncia per reato di furto di un abete trasportato in pubblica via; l’allontanamento non autorizzato del ricorrente dalla comunità terapeutica dove era stato inserito per far rientro nel domicilio protetto; una lite familiare a seguito della quale il ricorrente, in stato di ubriachezza e sotto l’effetto di farmaci, si è allontanato, senza autorizzazione, dal domicilio protetto presso il quale è poi rientrato; un ricovero ospedaliero seguito all’ingestione di notevole quantità di farmaci; l’inizio dell’assunzione di pesante sostanza stupefacente; un decreto di citazione a giudizio per guida in stato d’ebbrezza, rifiuto di sottoporsi all’accertamento del tasso alcol emico e minaccia a p.u.; aggressione, senza motivo, con un pugno, di un avventore di un esercizio pubblico: fatti questi tutti successivi alla deliberazione del 22.11.2007 con cui la Commissione aveva deliberato di soprassedere a pregresse mancanze del ricorrente al fine di favorirne l’accesso ad un percorso di recupero).

Nei confronti della deliberazione impugnata, l’atto introduttivo dell’odierno giudizio muove delle, invero generiche, censure, ivi sostenendosi che il ricorrente, rimasto vittima di gravissimo incidente stradale, non è, di seguito al trauma riportato, "compos sui" ed è "certamente incapace di intendere e di volere". Mancherebbe quindi l’elemento soggettivo della condotta per poter addebitare allo stesso la responsabilità dei comportamenti addebitategli: circostanza questa non presa in considerazione dalla Commissione e riflettentesi negativamente sulla legittimità dell’atto avversato. Rappresenta, da ultimo, la difesa di parte attrice l’opportunità di concedere al ricorrente "un’ultima chance, tenuto anche conto del programma di recupero in corso che sta dando buoni risultati e che tuttavia non è stato preso in alcuna considerazione dalla competente Commissione centrale"; e tanto onde evitare che lo stesso si rifugi "ancor più nell’alcol e nella droga, compiere gesti malsani e pericolosi per sé e per altri".

II)- Il ricorso, così come implementato, non convince.

L’art.9 del d.l. n.9 del 1981, convertito nella legge n.82 del 1991, dispone, al c.5, che le speciali misure di protezione di cui al comma 4 (che, a sua volta, prevede anche l’ammissione ad un P.s.p.), possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con i collaboratori di giustizia nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.

Dunque, l’ammissione allo speciale programma di protezione (comprendente, se necessario, anche misure di assistenza) dei congiunti dei collaboratori di giustizia presuppone l’esistenza, nei loro confronti, di uno stato di grave ed attuale pericolo per effetto della collaborazione resa dal familiare, non altrimenti fronteggiabile con le ordinarie misure di tutela adottabili ai sensi delle norme già in vigore.

È anche vero, però, che l’art. 12 della menzionata legge, dopo aver indicato – al primo comma della nuova stesura normativa – gli oneri documentali ed informativi ("attestazione riguardante il proprio stato civile, di famiglia e patrimoniale, gli obblighi a loro carico derivanti dalla legge, da pronunce dell’autorità o da negozi giuridici, i procedimenti penali, civili e amministrativi pendenti, i titoli di studio e professionali, le autorizzazioni, le licenze, le concessioni e ogni altro titolo abilitativi di cui siano titolari"), ai quali devono assolvere, nei confronti dell’Autorità proponente, le persone nei cui confronti è stata avanzata proposta di ammissione alle speciali misure di protezione, dispone tra l’altro – al secondo comma, come sostituito ed integrato dall’art.5 della legge n.45 del 2001 – che le speciali misure di protezione sono sottoscritte dagli interessati, i quali si impegnano personalmente, fra l’altro, ad "osservare le norme di sicurezza prescritte e collaborare attivamente all’esecuzione delle misure", e ad "adempiere agli obblighi previsti dalla legge e dalle obbligazioni contratte", Al fine di dare attuazione all’art. 10, comma 3, della legge n. 82 del 1991 (che demandava ad un decreto del Ministero dell’Interno, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia, sentiti il Comitato nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica e la Commissione centrale, di stabilire le misure di protezione e di assistenza a favore delle persone ammesse allo speciale programma di protezione, nonché i criteri di formulazione del programma medesimo e le modalità di attuazione), è stato emanato poi il "Regolamento concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni" (D.I. n.161 del 2004) che prevede:

o all’art.9, gli obblighi delle persone protette (che vengono compendiati in un atto sottoscritto dall’interessato che, così facendo, dà atto di essere stato informato delle conseguenze derivanti dalla loro inosservanza, nonché di quelle derivanti dalle condotte di cui all’art. 13quater, comma 2, della legge n.82 del 1991);

o all’art.11: che le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13quater, commi 1 e 2, della legge n.82 del 1991 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.

Tale ultima norma (art.13 quater) dispone, fra l’altro:

a) che le misure di protezione, che sono a termine, possono essere revocate modificate, come accennato, in relazione "all’attualità del pericolo, alla sua gravità e alla idoneità delle misure adottate, nonché in relazione alla condotta delle persone interessate e alla osservanza degli impegni assunti a norma di legge (comma 1);

b) che costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’art. 12, comma 2, lett. b) ed e), nonché la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale" comma 2, primo periodo);

c) che, invece, costituiscono fatti valutabili solo ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione: "l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’art. 12 cit., la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione, la rinuncia espressa alle misure, il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa, il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti, nonché ogni azione che comporti la rivelazione e la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate" (comma 2, secondo periodo).

Dunque, ex art.12 della legge n.81/1992 ed ex art.9 del d.m. n.161 del 2004, le speciali misure di protezione sono sottoscritte dagli interessati, i quali si impegnano personalmente ad osservarle. Con tale sottoscrizione si dà vita ad un contratto ad oggetto pubblico nel cui ambito trovano applicazione i principi generali del codice civile in materia contrattuale, e segnatamente quelli di buona fede, lealtà, correttezza. Sicché, non c’è dubbio che la persona assoggettata a regime speciale di protezione debba rispettare le misure di sicurezza e collaborare attivamente alla loro applicazione, e farlo nel rispetto dei canoni essenziali della buona fede e della correttezza (cfr, in tal senso Cons. St. nr. 6548/2009); e ciò anche perché la loro inosservanza può dar luogo, come visto, a seconda della gravità della violazione, alla revoca obbligatoria ovvero discrezionale delle misure di sicurezza stesse.

Rimane fermo il postulato che l’eventuale attualità dello stato di pericolo non giustifica, dunque, di per sé sola, la fruibilità di uno speciale programma di protezione da parte degli interessati, allorché il loro comportamento non solo renda superflue le speciali misure di protezione accordate, ma risulti in oggettivo contrasto con le finalità perseguite dalla stessa legge n. 82/1991 e successive modifiche e integrazioni.

Quest’ultima, invero, non accorda alle persone ammesse allo speciale programma di protezione una sorta di autorizzazione a commettere atti illeciti, vincolandole anzi al rigoroso rispetto della legge, indipendentemente dagli obblighi specificatamente assunti all’atto della sottoscrizione del programma medesimo.

L’espressa previsione contenuta nell’art. 11 del decreto ministeriale n. 161 del 2004, che consente alla Commissione centrale di disporre la modifica o la revoca del programma in presenza di inosservanze agli impegni assunti a norma dell’art. 12 cit. o del compimento di fatti costituenti reato o per altra ragione comunque connessa alla condotta di vita del soggetto interessato, si limita pertanto a dare concretezza e specificazione ad un obbligo morale e giuridico già insito nella legge n. 82 del 1991, la cui "ratio" giustificatrice non è certo quella di esonerare da responsabilità gli autori di comportamenti illeciti, ma di offrire adeguata protezione e sostegno economico a chi dimostri la seria intenzione di collaborare con la giustizia nella lotta dello Stato contro il crimine e, in particolare, contro la delinquenza di tipo mafioso, estendendo detta protezione anche nei confronti delle persone a lui care che, in conseguenza della sua condotta collaborativa, vengano a trovarsi esposte a pericolo per la loro incolumità.

La revoca o la modifica dell’originario programma speciale di protezione non è, dunque, una specie di prassi seguita dalla Commissione centrale in presenza della constatata inosservanza agli obblighi derivanti dal programma di protezione stesso, ma rappresenta, come si è detto, diretta conseguenza, prevista sia dalla legge che dal richiamato Regolamento attuativo, dell’inosservanza agli impegni assunti all’atto della sottoscrizione prevista dal citato art. 12, comma secondo, della L. 15.3.1991 n. 82.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, l’operato dell’Amministrazione appare esente dai generici vizi di legittimità denunciati; ed invero:

– le manifeste violazioni agli obblighi comportamentali assunti e sottoscritti e di cui il provvedimento offre contezza non sono contestate in relazione al loro reale accadimento ed alla obiettiva e grave portata;

– parte ricorrente non denuncia la sussistenza di alcuna attuale e grave situazione di pericolo per la sua incolumità derivante dalla condotta collaborativa resa dal fratello, prospettandosi in gravame il solo e distinto pericolo che la revoca del P.s.p. lo induca a rifugiarsi "ancor più nell’alcol e nella droga, compiere gesti malsani e pericolosi per sé e per altri";

– i documenti sanitari esibiti danno atto di una dipendenza dall’alcol iniziata in età giovanile, aggravatasi di seguito al politrauma subito e di terapie praticate con l’ottenimento di modesti risultati: nessuna traccia si coglie né di uno stato di certa "incapacità di intendere e di volere" né dei "buoni risultati" che, come si attesta in gravame, starebbe dando il programma di recupero in corso;

– il tentativo di offrire all’interessato una ulteriore chance è stato già attuato dall’amministrazione che ne ha dovuto riscontrare il sostanziale fallimento (come già rappresentato al precedente par. I).

III)- Conclusivamente il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Le spese di lite, attesa la peculiarità della controversia, possono compensarsi tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *