T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 11-07-2011, n. 6122

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.S. è stato sottoposto ad un programma speciale di protezione proposto dalla D.D.A. di Napoli, in virtù di fattiva e concreta collaborazione, nonché di evidenti esigenze di sicurezza.

Nei mesi di aprile, maggio, luglio, agosto, settembre e ottobre dell’anno 2009, il Servizio Centrale di Protezione ha comunicato l’avvenuta denuncia in stato di libertà dell’interessato per i reati di evasione, furto e ricettazione.

Con note del 16.02.2010 e del 2.3.2010, la D.D.A. di Napoli, prima, e la D.N.A., poi, hanno espresso parere favorevole alla revoca del programma speciale di protezione.

In data 3.4.2010 è stato notificato allo Schibano il provvedimento di revoca dello speciale programma di protezione, adottato in data 18.3.2010 dalla Commissione Centrale ex art. 10 legge n. 82/1991.

Ritenendo erroneo ed illegittimo tale provvedimento di revoca, l’interessato lo ha impugnato proponendo ricorso dinanzi al TAR del Lazio.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

All’udienza del 9 giugno 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. La parte ricorrente ha avanzato le censure di seguito esposte avverso gli atti impugnati:

a) violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca dell’ammissione al programma di protezione: – allo Schibano non è stato comunicato dall’Amministrazione l’avvio di un procedimento amministrativo finalizzato all’eventuale revoca del programma di protezione e, quindi, il provvedimento finale risulta viziato e va annullato, perché al Collaboratore non è stata data la possibilità di svolgere attività difensive che avrebbero potuto essere esplicate prima di adottare un provvedimento di revoca;

b) violazione e falsa applicazione dell’art. 13 quater, D.L. n. 8/1991, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione ed ingiustizia manifesta: – nella fattispecie non ricorrevano i presupposti per disporre la revoca dello speciale programma di protezione, posto che l’unico motivo posto a fondamento dell’atto contestato è costituito dal fatto che lo Schibano si è reso responsabile del reato di evasione; – nel caso di specie si discute esclusivamente della commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione (art. 13, co. 2, ultimo inciso del D.L. n. 8/1991) ma, nel caso di specie, difetta sia il presupposto che la condizione per l’applicazione della norma, poiché non vi è l’assoluta certezza della commissione di specifici fatti di reato da parte dello Schibano, essendo mancato un serio e accurato accertamento, conclamato in una sentenza passata in giudicato; il ricorrente, infatti, è imputato di reati che potrebbero, in astratto, portare alla revoca del programma di protezione, ma solo (e quando) dovesse intervenire una pronuncia irrevocabile di condanna per quei fatti; – peraltro, non è dato comprendere quale sia stato l’apprezzamento in concreto effettuato dall’Amministrazione in merito alla condotta dello Schibano, poiché non sono state indicate le ragioni che hanno determinato la totale insussistenza di pericolo per le dichiarazioni rese in precedenza nei confronti di appartenenti a pericolose organizzazioni criminali e dei possibili rischi connessi per l’incolumità del Collaboratore.

2. L’Amministrazione resistente si è difesa in giudizio depositando note e documenti relativi alla vicenda, contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

3. E’ opportuno, prima di valutare le censure avanzate dalla parte ricorrente, esaminare il quadro normativo dettato in materia di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia.

La materia trova la sua disciplina primaria nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (recante Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 gennaio 1991, n. 12 e convertito in legge, con modificazioni, con L. 15 marzo 1991, n. 82 (in G.U. 16 marzo 1991, n. 64), come modificato dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45.

La disciplina dettata in materia, è completata dalla normativa di rango secondario contenuta nel D.M. 23 aprile 2004, n. 161 (recante il Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell’articolo 17bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’articolo 19 della L. 13 febbraio 2001, n. 45), emanato dal Ministero dell’Interno (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2004, n. 147).

Per quanto concerne la protezione dei Collaboratori di giustizia, il Capo II, del D.L. n. 8/1991, all’articolo 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione) stabilisce che alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 9, possono essere applicate speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.

Le speciali misure di protezione sono applicate: 1) quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza; 2) se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 del medesimo articolo 9 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all’articolo 51, comma 3bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600bis, 600ter, 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, e 600quinquies del codice penale.

Ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione, il terzo comma dell’articolo 9 precisa che assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, le quali devono avere carattere di intrinseca attendibilità; devono, altresì, avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristicoeversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi (art. 9, comma 6).

I contenuti delle speciali misure di protezione sono stabiliti dall’articolo 13 del D.L. n. 8/1991 e dall’art. 7 del D.M. n. 161/2004, mentre l’articolo 9, comma 4 del medesimo decreto legge prevede che se le speciali misure di protezione indicate nell’articolo 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell’articolo 13, comma 5 del medesimo decreto legge e nell’art. 8 del D.M. n. 161/2004, comprendendo, tra le altre, misure di assistenza personale ed economica (cfr. art. 13, commi 6 e ss., D.L. n. 8/1991).

Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 dell’articolo 9 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 del citato articolo 13 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.

L’ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono deliberati dalla Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del D.L. n. 8/1991, su proposta formulata dalla competente Autorità giudiziaria inquirente o dal Capo della PoliziaDirettore Generale della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 2 e ss., D.M. n. 161/2004), ai sensi dell’articolo 11 del citato decreto legge, il quale prevede i casi in cui è possibile chiedere un parere, rispettivamente, al Procuratore Nazionale Antimafia ed ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello interessati, o al competente Procuratore della Repubblica.

L’ammissione alle speciali misure di protezione avviene all’esito dell’istruttoria del caso concreto e previa assunzione da parte delle persone protette degli impegni di cui all’art. 12 del D.L. n. 8/1991, specificati nell’art. 9, del D.M. n. 161/2004.

L’art. 10, del D.M. n. 161/2004, disciplina la modifica e la verifica periodica delle speciali misure di protezione, precisando, in particolare, che: – la Commissione centrale può modificare le speciali misure di protezione ed il programma speciale di protezione attraverso l’introduzione, la modificazione, l’integrazione, l’abrogazione o la sospensione delle misure tutorie, di quelle assistenziali, nonché di quelle relative agli impegni previsti a carico degli interessati (comma 1); – le speciali misure di protezione e il programma speciale di protezione sono a termine (comma 7) ed il termine delle misure e dei programmi speciali di protezione – non inferiore a sei mesi e non superiore ai cinque anni – è fissato dalla Commissione centrale con lo stesso provvedimento con cui vengono adottati; in caso di mancata indicazione il termine è di un anno dalla data del provvedimento (comma 8).

Le speciali misure di protezione, oltre ad essere a termine, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del medesimo decreto legge, in relazione ai seguenti fatti o circostanze: – attualità del pericolo; – gravità del pericolo e idoneità delle misure adottate; – condotta delle persone interessate; – osservanza degli impegni assunti a norma di legge.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede ipotesi di revoca vincolata e ipotesi di revoca facoltativa.

In particolare, costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’articolo 12, comma 2, lettere b) ed e); 2) la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale.

Costituiscono, invece, fatti valutabili ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’articolo 12; 2) la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione; 3) la rinuncia espressa alle misure; 4) il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa; 5) il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti; 6) ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede che nella valutazione da eseguire ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione, specie quando non applicate mediante la definizione di uno speciale programma, si deve tenere particolare conto del tempo trascorso dall’inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo di cui al comma 6 dell’articolo 9 del medesimo decreto legge.

Riguardo alla cessazione delle misure di protezione, l’articolo 11 del D.M. n. 161 del 2004, precisa che le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge 15 marzo 1991, n. 82, sono revocate o non sono prorogate nei casi espressamente previsti dalla legge ovvero quando vengono meno l’attualità e la gravità del pericolo o appaiono idonee altre misure adottate. Le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13quater, commi 1 e 2, della legge 15 marzo 1991, n. 82 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.

A tal fine, il Prefetto e il Servizio centrale di protezione informano la Commissione centrale, l’Autorità proponente e il Procuratore nazionale antimafia o il Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di ogni comportamento o circostanza che possono integrare i presupposti per la revoca delle misure speciali di protezione.

La Commissione centrale, una volta ricevuta dal Servizio centrale di protezione o dal Prefetto la nota informativa di cui al comma 2 del citato articolo 11 del Regolamento, chiede all’Autorità proponente, al Procuratore nazionale antimafia o al Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di esprimere un parere in ordine alla modifica o alla revoca delle speciali misure di protezione, in conseguenza dei fatti segnalati. Qualora le predette Autorità non abbiano emesso il parere entro trenta giorni dalla richiesta della Commissione centrale, quest’ultima decide nel merito, ove non ritenga di prorogare ulteriormente il termine. In ogni caso, il comma 4 del medesimo articolo 11 precisa che il parere reso dall’Autorità proponente non è vincolante.

Con motivata richiesta l’Autorità proponente può indurre la Commissione a verificare la permanenza delle condizioni che hanno determinato l’applicazione delle speciali misure di protezione, provvedendo, se necessario, alla modifica o alla revoca delle medesime (cfr. art. 11, comma 5, D.M. n. 161/2004).

Le misure speciali di protezione possono essere modificate o revocate prima della scadenza, d’ufficio o su richiesta degli interessati, anche per avviare il reinserimento sociale e lavorativo delle persone protette, tenuto conto degli impegni processuali, della esposizione a pericolo, della compatibilità delle iniziative proposte con le esigenze di sicurezza, del tempo trascorso dall’adozione delle misure speciali di protezione (cfr. art. 11, comma 6, D.M. n. 161/2004). Anche in tal caso è richiesto il parere dell’Autorità proponente e di quelle preposte all’attuazione delle misure speciali di protezione, nonché quello del Procuratore nazionale antimafia o del Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato.

4. Ciò posto, le censure avanzate dalla parte ricorrente vanno considerate infondate per le ragioni di seguito indicate.

Per quanto concerne le doglianze aventi ad oggetto la violazione delle regole partecipative, va rilevato che la giurisprudenza, in tema di partecipazione ai procedimenti di cui al D.L. n. 8 del 1991, ha affermato che l’art. 10, comma 2ter, L. n. 82 del 1991 comporta l’esclusione dalla partecipazione al procedimento amministrativo, estrisencantesi nella cognizione di atti, degli accertamenti e verifiche poste in essere dall’Amministrazione o dei contributi di altri partecipanti e nella possibilità di interloquire in contraddittorio (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 7387 del 13122006). Più in particolare, è stato precisato che la conoscenza degli atti afferenti ai procedimenti di competenza della Commissione istituita dall’art. 10, L. n. 82 del 1991, salvo l’esternazione dei provvedimenti finali nei limiti consentiti dalla norma, resta limitata ai soli soggetti preposti alla trattazione e, ove sia stata apposta classifica di segretezza, in possesso di apposito nulla osta (n.o.s.), corrispondente al grado di classifica dell’atto, rilasciato dall’Autorità Nazionale di Sicurezza (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 7387 del 13122006). Del resto, l’articolo 13 della legge n. 241/1990 stabilisce chiaramente l’inapplicabilità degli artt. 7 e ss. della medesima legge ai procedimenti di cui al d.l. n. 8/1991.

Relativamente alle altre doglianze di parte ricorrente va rilevato che dall’esito dell’istruttoria condotta in relazione al caso di specie, per come emerge e risulta dal tenore del provvedimento impugnato, dallo stralcio del verbale della riunione della Commissione centrale e dagli atti posti a base della revoca (prodotti in giudizio in allegato alla nota dell’Amministrazione datata 9.9.2010) – risulta quanto segue.

Il Collaboratore di giustizia Schibano Raffaele è stato ammesso inizialmente al piano provvisorio di protezione con delibera della Commissione centrale del 19 febbraio 2007 e, successivamente, è stato ammesso al programma speciale di protezione in data 30 luglio 2008, su proposta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Successivamente, però, il Collaboratore di giustizia si è reso responsabile di una serie di comportamenti (anche costituenti reato), posti in essere in contrasto con gli obblighi previsti dal programma speciale di protezione (cfr. le numerose note del Servizio Centrale di Protezione citate nel provvedimento impugnato, con le quali sono state trasmesse, tra l’altro, le informative di reato a carico del Collaboratore, segnalato alla Procura della Repubblica competente per i reati di furto aggravato commesso il 17.8.2009 e ricettazione commesso in data 11.10.2009).

Con nota del 16 febbraio 2010, la DDA di Napoli ha rappresentato lo Schibano è stato più volte segnalato all’Autorità giudiziaria dagli organi preposti al suo controllo in conseguenza del suo comportamento reprensibile, avendo più volte violato il regime degli arresti domiciliari a cui era sottoposto, evidenziando che per tali violazioni è stato tratto in arresto in flagranza di reato e denunciato in stato di libertà alla Procura della Repubblica competente per territorio per i reati di furto aggravato e ricettazione.

Pertanto, la DDA di Napoli non ha espresso parere favorevole per il mantenimento del programma di protezione, pur rimanendo inalterati i motivi di cautela per Schibano legati alle dichiarazioni rese.

Con nota del 2 marzo 2010, la Direzione Nazionale Antimafia ha condiviso il parere favorevole alla revoca espresso dalla DDA di Napoli.

Conseguentemente, la Commissione centrale, valutate le condotte tenute dal Collaboratore ed i pareri espressi dalle Autorità competenti, ha adottato, ai sensi dell’art- 13quater, del D.L. n. 8/1991, la delibera in data 18 marzo 2010 con la quale ha disposto la revoca del programma speciale di protezione nei confronti dello Schibano.

A parere del Collegio, la Commissione centrale ha correttamente operato in quanto il Collaboratore di giustizia risulta aver reiteratamente violato gli obblighi assunti con la sottoscrizione del programma speciale di protezione, come dimostra, tra l’altro, il fatto che l’interessato è stato arrestato in flagranza di reato: circostanza che induce a ritenere priva di pregio la censura di parte ricorrente secondo la quale i fatti addebitatigli non possono dirsi accertati se non a seguito di una sentenza di condanna passata in giudicato.

Tali condotte rilevano ai fini che interessano in questa sede al di là della loro rilevanza penale, posto che il rispetto degli obblighi assunti costituisce condizione utile per il permanere del programma speciale di protezione: per tale ragione il programma viene sottoscritto dagli interessati (e la mancata sottoscrizione è motivo di revoca del programma ai sensi dell’art. 9 del D.M.. 161/2004) al fine di renderli consapevoli delle possibili conseguenze in caso di violazione alle regole previste.

Al riguardo, va condivisa la giurisprudenza secondo la quale non si può ritenere illegittimo il provvedimento di revoca del programma di protezione di cui alla L. n. 82/1991, a cui un soggetto è stato ammesso, qualora siano stati acquisiti, su detto soggetto, elementi di coinvolgimento in vicende criminali tali da non far apparire irragionevole ed infondata la valutazione della sua pericolosità sociale, per come desumibile da tali elementi obiettivamente incompatibili con il programma di protezione (Cons. Stato, Sez. VI, Sent. n. 3088 del 12062007).

Infatti, si deve ritenere che la L. n. 82/1991, nel disporre la protezione di testimoni, non accordi alle persone ammesse allo speciale programma di protezione una sorta di autorizzazione a commettere atti illeciti, ma le vincoli al rigoroso rispetto della legge, indipendentemente dagli obblighi specificatamente assunti all’atto della sottoscrizione del programma medesimo; la "ratio" giustificatrice di tale tutela, infatti, non è certo quella di esonerare da responsabilità gli autori di comportamenti illeciti, ma di offrire adeguata protezione e sostegno economico a chi dimostri la seria intenzione di collaborare con la giustizia nella lotta dello Stato contro il crimine e, in particolare, contro la delinquenza di tipo mafioso. La revoca o la modifica dell’originario programma speciale di protezione, quindi, non può ritenersi una specie di prassi seguita dalla Commissione centrale in presenza della constatata inosservanza degli obblighi derivanti dal programma di protezione stesso, ma rappresenta diretta conseguenza dell’inosservanza all’impegno assunto dall’interessato sin dal momento della sua decisione di offrire il pratico apporto collaborativo alla giustizia e confermato dall’atto della sottoscrizione, prevista dall’art. 12, comma secondo, della L. n. 82/1991 (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 2541 del 24042009).

La revoca, come la modifica, delle speciali misure di protezione e dello speciale programma di protezione disposti dalla Commissione Centrale e sottoscritti dall’interessato (art. 12 l. n. 82/1991 e succ. mod.) – e dunque costituenti oggetto di un vero e proprio contratto di natura pubblica, fonte di reciproci diritti ed obblighi – possono essere disposte non solo per la cessazione o per la modifica del presupposto essenziale delle misure, ossia del pericolo cui è esposto il collaboratore di giustizia in conseguenza dei suoi apporti alle indagini, ma anche a causa di comportamenti inadempienti dello stesso collaboratore (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 1955 del 07042010, che conferma la sentenza del Tar Lazio – Roma, sez. I ter, n. 8197/2004).

5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.

6. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità delle vicenda e delle questioni trattate – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo respinge il ricorso;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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