T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 11-07-2011, n. 6121

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Del V.P. è stato sottoposto a speciale programma di protezione, ex L. n. 82/1991 e s.m.i., per essere protetto, egli ed il proprio nucleo familiare composto dalla moglie e da un figlio minore, dal concreto pericolo di ritorsioni da parte delle organizzazioni criminose radicate nel territorio campano, a seguito della sua decisione assunta nel 1995, di collaborare con la giustizia.

Ha rappresentato che i contributi investigativi da lui offerti hanno portato in diversi processi alla condanna a pene severissime, compresi decine e decine di ergastoli, a carico di appartenenti ai vari clan denominati "nuova camorra organizzata" e "nuova famiglia".

Con nota del 28.2.2007 del Servizio Centrale di Protezione è stata trasmessa al Ministero dell’Interno una comunicazione di reato a carico del predetto Del Vecchio per evasione e per essere stato il medesimo trovato in compagnia di un pregiudicato.

Tale notizia di reato è stata superata dall’avvenuta archiviazione del procedimento ma, sulla base della stessa, l’Amministrazione ha revocato il programma di protezione a cui il ricorrente (ed il proprio nucleo famigliare) era stato sottoposto quale collaboratore di giustizia, affermando che l’interessato avrebbe commesso delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale, omettendo di considerare che nella fattispecie che lo riguarda non è stata emessa alcuna sentenza di condanna, neppure in primo grado, e che, comunque, l’interessato non ha tenuto alcuna condotta concreta che dimostri quel supposto ed apodittico reinserimento nel mondo del crimine che l’Amministrazione ha, invece, ritenuto sussistere. Inoltre, sempre a parere del ricorrente, il provvedimento di revoca sarebbe stato adottato omettendo di esprimere una motivazione congrua e senza tenere conto del fatto che sia la DDA di Salerno (proponente della richiesta di programma di protezione) che la Direzione Nazionale Antimafia hanno espresso parere favorevole alle plurime richieste di prosieguo della detenzione domiciliare avanzate innanzi al Tribunale di Sorveglianza di Roma che concesse al ricorrente il detto beneficio a partire dal 1998. Del resto, secondo parte ricorrente, la permanenza del programma di protezione sarebbe giustificata dal fatto che sono ancora pendenti presso il Tribunale di Salerno e la Corte di Assise di Salerno vari gravi processi che lo vedono coinvolto quale imputato e dichiarante.

Sulla base di tali circostanze il Del Vecchio, ritenendo erroneo ed illegittimo il provvedimento di revoca, lo ha impugnato dinanzi al TAR del Lazio.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

All’udienza del 9 giugno 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. La parte ricorrente, oltre a quanto evidenziato in fatto, ha dedotto avverso il provvedimento impugnato la violazione degli artt. 13 quater, del d.l. n. 82/1991 e s.m.i., ed il vizio di eccesso di potere per carenza dei presupposti, travisamento e difetto di motivazione.

In particolare, ha evidenziato che il provvedimento di revoca dello speciale programma di protezione sarebbe intervenuto in quanto a carico suo e della moglie, Buccella Anna, sarebbe stata esercitata azione penale per i reati di circonvenzione di incapace, appropriazione indebita aggravata, indebito uso di carte di pagamento e, per il solo collaboratore, per il reato di evasione.

Al riguardo, il ricorrente ha rappresentato che risponde al vero solo l’ultima parte delle contestazioni mossegli (perché, in effetti, risulta sottoposto a processo penale per il reato di evasione innanzi al Tribunale di La Spezia), mentre in ordine agli altri addebiti rileva che pende procedimento penale in fase di indagini senza che sia stata esercitata l’azione penale.

2. L’Amministrazione resistente si è difesa in giudizio contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

3. E’ opportuno, prima di valutare le censure avanzate dalla parte ricorrente, esaminare il quadro normativo dettato in materia di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia.

La materia trova la sua disciplina primaria nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (recante Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia) convertito in legge, con modificazioni, con L. 15 marzo 1991, n. 82 (in G.U. 16 marzo 1991, n. 64), come modificato dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45.

La disciplina dettata in materia, è completata dalla normativa di rango secondario contenuta nel D.M. 23 aprile 2004, n. 161 (recante il Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell’articolo 17bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’articolo 19 della L. 13 febbraio 2001, n. 45), emanato dal Ministero dell’Interno.

Per quanto concerne la protezione dei Collaboratori di giustizia, il Capo II, del D.L. n. 8/1991, all’articolo 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione) stabilisce che alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 9, possono essere applicate speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.

Le speciali misure di protezione sono applicate: 1) quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza; 2) se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 del medesimo articolo 9 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all’articolo 51, comma 3bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600bis, 600ter, 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, e 600quinquies del codice penale.

Ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione, il terzo comma dell’articolo 9 precisa che assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, le quali devono avere carattere di intrinseca attendibilità; devono, altresì, avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristicoeversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi (art. 9, comma 6).

I contenuti delle speciali misure di protezione sono stabiliti dall’articolo 13 del D.L. n. 8/1991 e dall’art. 7 del D.M. n. 161/2004, mentre l’articolo 9, comma 4 del medesimo decreto legge prevede che se le speciali misure di protezione indicate nell’articolo 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell’articolo 13, comma 5 del medesimo decreto legge e nell’art. 8 del D.M. n. 161/2004, comprendendo, tra le altre, misure di assistenza personale ed economica (cfr. art. 13, commi 6 e ss., D.L. n. 8/1991).

Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 dell’articolo 9 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 del citato articolo 13 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.

L’ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono deliberati dalla Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del D.L. n. 8/1991, su proposta formulata dalla competente Autorità giudiziaria inquirente o dal Capo della PoliziaDirettore Generale della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 2 e ss., D.M. n. 161/2004), ai sensi dell’articolo 11 del citato decreto legge, il quale prevede i casi in cui è possibile chiedere un parere, rispettivamente, al Procuratore Nazionale Antimafia ed ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello interessati, o al competente Procuratore della Repubblica.

L’ammissione alle speciali misure di protezione avviene all’esito dell’istruttoria del caso concreto e previa assunzione da parte delle persone protette degli impegni di cui all’art. 12 del D.L. n. 8/1991, specificati nell’art. 9, del D.M. n. 161/2004.

Le speciali misure di protezione, oltre ad essere a termine, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del medesimo decreto legge, in relazione ai seguenti fatti o circostanze: – attualità del pericolo; – gravità del pericolo e idoneità delle misure adottate; – condotta delle persone interessate; – osservanza degli impegni assunti a norma di legge.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede ipotesi di revoca vincolata e ipotesi di revoca facoltativa.

In particolare, costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’articolo 12, comma 2, lettere b) ed e); 2) la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale.

Costituiscono, invece, fatti valutabili ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’articolo 12; 2) la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione; 3) la rinuncia espressa alle misure; 4) il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa; 5) il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti; 6) ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede che nella valutazione da eseguire ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione, specie quando non applicate mediante la definizione di uno speciale programma, si deve tenere particolare conto del tempo trascorso dall’inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo di cui al comma 6 dell’articolo 9 del medesimo decreto legge.

Riguardo alla cessazione delle misure di protezione, l’articolo 11 del D.M. n. 161 del 2004, precisa che le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge 15 marzo 1991, n. 82, sono revocate o non sono prorogate nei casi espressamente previsti dalla legge ovvero quando vengono meno l’attualità e la gravità del pericolo o appaiono idonee altre misure adottate. Le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13quater, commi 1 e 2, della legge 15 marzo 1991, n. 82 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.

A tal fine, il Prefetto e il Servizio centrale di protezione informano la Commissione centrale, l’Autorità proponente e il Procuratore nazionale antimafia o il Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di ogni comportamento o circostanza che possono integrare i presupposti per la revoca delle misure speciali di protezione.

La Commissione centrale, una volta ricevuta dal Servizio centrale di protezione o dal Prefetto la nota informativa di cui al comma 2 del citato articolo 11 del Regolamento, chiede all’Autorità proponente, al Procuratore nazionale antimafia o al Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di esprimere un parere in ordine alla modifica o alla revoca delle speciali misure di protezione, in conseguenza dei fatti segnalati. Qualora le predette Autorità non abbiano emesso il parere entro trenta giorni dalla richiesta della Commissione centrale, quest’ultima decide nel merito, ove non ritenga di prorogare ulteriormente il termine. In ogni caso, il comma 4 del medesimo articolo 11 precisa che il parere reso dall’Autorità proponente non è vincolante.

Con motivata richiesta l’Autorità proponente può indurre la Commissione a verificare la permanenza delle condizioni che hanno determinato l’applicazione delle speciali misure di protezione, provvedendo, se necessario, alla modifica o alla revoca delle medesime (cfr. art. 11, comma 5, D.M. n. 161/2004).

Le misure speciali di protezione possono essere modificate o revocate prima della scadenza, d’ufficio o su richiesta degli interessati, anche per avviare il reinserimento sociale e lavorativo delle persone protette, tenuto conto degli impegni processuali, della esposizione a pericolo, della compatibilità delle iniziative proposte con le esigenze di sicurezza, del tempo trascorso dall’adozione delle misure speciali di protezione (cfr. art. 11, comma 6, D.M. n. 161/2004). Anche in tal caso è richiesto il parere dell’Autorità proponente e di quelle preposte all’attuazione delle misure speciali di protezione, nonché quello del Procuratore nazionale antimafia o del Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato.

4. Ciò posto, vanno considerate infondate le censure avanzate dal ricorrente in quanto, nel caso di specie, il Servizio Centrale di Protezione con nota del 29 ottobre 2004, ha trasmesso una notizia di reato nei confronti di Del V.P. e della moglie Buccella Anna, indagati per circonvenzione di incapace, appropriazione indebita aggravata, indebito uso di carte di pagamento e, per il solo collaboratore di giustizia, per il reato di evasione.

Al riguardo, la Direzione Distrettuale Antimafia di Salerno, in data 9 novembre 2004, ha ritenuto necessario attendere l’esito delle investigazioni per esprimere un parere al riguardo. Analoga linea ha seguito la Direzione Nazionale Antimafia, con nota in data 1° dicembre 2004. Successivamente, le medesime Autorità, con note del 9 marzo, 7 giugno e 18 maggio 2006, confermavano l’avviso di attendere gli esiti del giudizio penale, mentre il Servizio Centrale di Protezione, con nota del 29 maggio 2006, comunicava che a carico del Del Vecchio e della moglie era stata esercitata l’azione penale.

Tuttavia, con successiva nota del 28 febbraio 2007, il Servizio Centrale di Protezione ha trasmesso la comunicazione di reato a carico del Del Vecchio per evasione, rappresentando che nella circostanza il collaboratore di giustizia era stato trovato anche in compagnia di un pregiudicato.

Preso atto di ciò, la DDA di Salerno il 9 marzo 2007 ha espresso un parere, ex art. 11 del DM n. 161/2004, chiedendo la revoca del programma speciale di protezione. Analoghe valutazioni sono state espresse dalla Direzione Nazionale Antimafia con nota del 21 marzo 2007.

Fermo restando quanto sopra detto al punto sub 3) in merito alla disciplina applicabile alla fattispecie (art. 13 quater D.L. n. 8/1991, e art. 11 D.M. n. 161/2004), va considerato che mentre il provvedimento di revoca del programma di protezione adottato nei confronti del soggetto "collaboratore di giustizia", di cui all’art. 13 quater, comma 2, prima parte del D.L. n.8/1991, si deve considerare vincolato, quello che si adotta in base a quanto dispone la seconda parte dello stesso articolo si configura adottabile in forma di atto sostanzialmente discrezionale, cioè avente aspetti propriamente valutativi; infatti, in tale ipotesi, si tratta di considerare l’insieme delle valutazioni operate tendenti ad accertare elementi, nella situazione di fatto, legittimanti la revoca stessa. Ne consegue che il mutamento o la cessazione dello stato di pericolo in connessione con reinserimento nel circuito criminale del soggetto protetto, in quanto elementi che contraddistinguono, in concreto, tale istituto, legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca (Cons. Stato, Sez. VI, Sent. n. 243 del 29012008).

Del resto, non si può ritenere illegittimo il provvedimento di revoca del programma di protezione di cui alla L. n. 82/1991, a cui un soggetto è stato ammesso, qualora siano stati acquisiti, su detto soggetto, elementi di coinvolgimento in vicende criminali tali da non apparire irragionevole ed infondata la valutazione di pericolosità sociale, in riferimento, appunto, a tali elementi obiettivamente incompatibili con il programma di protezione (Cons. Stato, Sez. VI, Sent. n. 3088 del 12062007).

Infatti, si deve ritenere che la L. n. 82/1991, nel disporre la protezione di testimoni, non accordi alle persone ammesse allo speciale programma di protezione una sorta di autorizzazione a commettere atti illeciti, vincolandole anzi al rigoroso rispetto della legge, indipendentemente dagli obblighi specificatamente assunti all’atto della sottoscrizione del programma medesimo; la "ratio" giustificatrice di tale tutela, infatti, non è certo quella di esonerare da responsabilità gli autori di comportamenti illeciti, ma di offrire adeguata protezione e sostegno economico a chi dimostri la seria intenzione di collaborare con la giustizia nella lotta dello Stato contro il crimine e, in particolare, contro la delinquenza di tipo mafioso. La revoca o la modifica dell’originario programma speciale di protezione, quindi, non può ritenersi una specie di prassi seguita dalla Commissione centrale in presenza della constatata inosservanza agli obblighi derivanti dal programma di protezione stesso, ma rappresenta diretta conseguenza dell’inosservanza all’impegno assunto dall’interessato sin dal momento della sua decisione di offrire il pratico apporto collaborativo alla giustizia e confermato dall’atto della sottoscrizione, prevista dall’art. 12, comma secondo, della L. n. 82/1991 (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 2541 del 24042009).

Alla luce delle linee interpretative offerte dalla giurisprudenza, va considerata corretta la valutazione eseguita dalla Commissione centrale, la quale ha rilevato che: – all’atto della sottoscrizione del programma speciale di protezione, l’interessato si impegna espressamente a non commettere alcun reato e ad osservare le norme di sicurezza prescritte ed a collaborare attivamente all’esecuzione delle stesse; – ai sensi dell’art. 13 quater del d.l. n. 8/1991, le speciali misure dì protezione possono essere revocate o modificate tenendo conto della condotta delle persone interessate e dell’osservanza degli impegni assunti; – ai sensi del comma 2 della predetta disposizione, costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione la commissione di delitti indicativi del reinserimento del oggetto nei circuito criminale e costituiscono fatti valutabili l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’articolo 12 del d.l. n. 8/1991 e la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione.

E’ chiaro – come osservato dalla parte ricorrente – che non è sufficiente a determinare la revoca di un programma di protezione in atto, nei confronti di un collaboratore di giustizia, il fatto che allo stesso sia stata contestata la commissione di un reato, ma è altrettanto chiaro che alla Commissione centrale, specialmente in caso di provvedimenti discrezionali, è rimesso il compito di valutare tale circostanza ed, in particolare, il complesso della posizione del collaboratore di giustizia, al fine di verificare se lo stesso è rientrato o meno nel sistema delinquenziale dal quale era uscito (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 06 febbraio 2003, n. 737).

Nella fattispecie, tali valutazioni sono state eseguite in quanto la Commissione centrale ha preso in considerazione non tanto le contestazioni mosse nei confronti del Collaboratore, ma i gravi fatti posti in essere dal Del Vecchio e dalla moglie, ancorché non fosse intervenuta pronuncia di condanna, risultano i fatti accertati effettivamente, come si è evinto dalla documentazione rimessa alla Commissione centrale da Servizio Centrale di Protezione.

Sulla base di tali valutazioni, si è ritenuto che le violazioni poste in essere avessero determinato effetti negativi sulla applicazione del programma, vanicandone di fatto le finalità, con conseguente revoca dello stesso.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.

6. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità delle vicenda e delle questioni trattate – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo respinge;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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