T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 11-07-2011, n. 6117 Sospensione cautelare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 09.7.2010, l’Assistente capo della P.S., odierno ricorrente, veniva arrestato dalle autorità elleniche, al confine con la Turchia, in quanto sorpreso alla guida di una autovettura di grossa cilindrata che si apprestava a far (uscire dall’area comunitaria ed) entrare nel territorio turco: autovettura che era stata locata ad una società la cui legale rappresentante era stata denunciata, per appropriazione indebita, da parte della società di leasing proprietaria della vettura stessa. All’atto del fermo l’Assistente esibiva alle autorità greche una "autorizzazione a condurre" risultata falsa in ogni sua parte e una carta di circolazione il cui smarrimento era stato denunciato il 10.12.2009 dalla l.r. della società locataria.

Il Messina veniva trattenuto in stato di fermo, che veniva convalidato dalle Autorità elleniche che formulavano nei suoi confronti due distinte ipotesi di reato.

In data 13.7.2010 – e durante il periodo in cui l’Assistente era ancora privato della libertà personale – il capo dell’Ufficio della p.s. di appartenenza (e cioè il dirigente del Compartimento della Polizia Stradale del Lazio):

– lo sospendeva cautelativamente dal servizio ai sensi dell’art.9 c.1 del d.P.R. nr. 737 del 1981;

– inoltrava il decreto di sospensione alle competenti autorità consolari italiane in Atene per la notifica all’interessato.

La notificazione dell’atto non andava a buon fine. E ciò in quanto il fermato, condotto il 14 luglio 2010 ad udienza tenutasi innanzi all’Autorità giudiziaria greca, veniva rilasciato dietro cauzione. Rientrava quindi in Italia il giorno successivo, 15.7.2010; e qui, all’aeroporto di Fiumicino gli veniva notificato il provvedimento di sospensione ed adempiute le altre formalità di rito.

Col ricorso in epigrafe il Messina si è gravato avverso detto provvedimento di sospensione cautelativa ritenendolo illegittimo per violazione dell’art. 9 del d.P.R. nr.737 del 1981, sotto più profili.

L’amministrazione costituitasi in giudizio per il tramite del Pubblico Patrocinio ha proposto, con memoria, il rigetto delle censure dedotte da parte attrice.

Come si è anticipato nell’epigrafe della presente decisione, l’ordinanza della Sezione nr. 4919/2010 del 12.11.2010 (con la quale è stata accolta l’istanza cautelare di sospensione interinale degli effetti derivanti dall’impugnato provvedimento) è stata riformata dal Giudice di appello.

All’udienza del 09.6.2011 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.

Motivi della decisione

I)- L’art.9 del d.P.R. nr. 737 del 1981 stabilisce, con esclusivo riguardo al personale appartenente alla Polizia di Stato, che: " comma 1: L’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, colto da ordine o mandato di cattura o che si trovi, comunque, in stato di carcerazione preventiva, deve essere sospeso dal servizio con provvedimento del capo dell’ufficio dal quale gerarchicamente dipende, che deve, altresì, riferire immediatamente alla direzione centrale del personale presso il dipartimento della pubblica sicurezza.

Comma 2: Fuori dai casi previsti nel comma precedente, l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza sottoposto a procedimento penale, quando la natura del reato sia particolarmente grave, può essere sospeso dal servizio con provvedimento del Ministro su rapporto motivato del capo dell’ufficio dal quale dipende.

Comma 3: In caso di concessione di libertà provvisoria ovvero di revoca dell’ordine o mandato di cattura o dell’ordine di arresto ovvero di scarcerazione per decorrenza dei termini, ove le circostanze lo consiglino, la sospensione cautelare può essere revocata con effetto dal giorno successivo a quello in cui il dipendente ha riacquistato la libertà e con riserva di riesame del caso quando sul procedimento penale si è formato il giudicato".

La sopra riprodotta (ovviamente nei soli contenuti di interesse) disposizione impone dunque all’amministrazione, ogni qualvolta sussista un titolo che priva un dipendente della libertà personale, di adottare, vincolativamente e senza lasciare spazio a discrezionalità alcuna, un provvedimento di sospensione cautelativa dall’impiego i cui effetti ovviamente decorrono dalla data di privazione della citata libertà personale.

Nelle ipotesi in cui si verifichi il venir meno del titolo custodiale, all’amministrazione è consentito "ove le circostanze lo consiglino" di revocare la sospensione cautelare "dal giorno successivo a quello in cui il dipendente ha riacquistato la libertà". Si tratta, dunque, di una regola di chiara lettura: ove il dipendente arrestato venga rimesso in libertà, l’Amministrazione ha la facoltà (e non il dovere) di revocare la misura della sospensione cautelare dal servizio. Tale misura, infatti, avendo come finalità principale quella di fronteggiare il discredito che può venire all’amministrazione dalla presenza in servizio del dipendente sottoposto a procedimento penale, può essere mantenuta nonostante in venir meno della custodia cautelare in carcere (giur.za pacifica; cfr. Cons.St. nr.471/2011, nr. 878/2007; nr. 3543/2005).

Diversa da quelle appena delineate è, invece, la norma contenuta nel comma 2 dell’art.9 in commento: norma che concerne tutti i casi non ricadenti sotto l’applicazione del comma 1 (relativa alla sospensione obbligatoria dal servizio) e che consente alla p.a. di sospendere il dipendente dall’impiego nei casi in cui costui, in stato di libertà, sia sottoposto a procedimento penale per un reato particolarmente grave.

Alla luce di tali coordinate esegetiche e giurisprudenziali è possibile procedere allo scrutinio dei due profili di censura dedotti nell’atto introduttivo dell’odierno giudizio.

Il ricorrente sostiene che, nel caso di specie, è stato violato il comma 1 dell’art.9 citato in quanto, nel momento in cui il provvedimento gli è stato notificato, egli si trovava in stato di libertà; altrimenti detto, secondo la prospettazione esegetica di parte attrice, lo stato di privazione della libertà personale costituisce non solo il presupposto per l’adozione del provvedimento ma anche la condizione, giuridicamente necessaria, per la produzione dei relativi effetti: di talchè non trovandosi egli, tuttora ed al momento della notificazione del provvedimento, in stato limitativo della detta libertà, la norma in questione deve ritenersi violata.

Col secondo mezzo di gravame il ricorrente sostiene di essere consapevole che la giurisprudenza ha ribadito il principio della facoltà, e non dell’obbligatorietà, della revoca della sospensione cautelativa: ma è anche vero che tale facoltà nel caso di specie non è stata esercitata; né, men che mai, è possibile considerare il provvedimento avversato come un’ipotesi di sospensione facoltativa.

La tesi sostenuta dal ricorrente non persuade.

La norma del comma 1 dell’art.9, lo si è già visto, non lascia all’amministrazione della p.s. alcun margine di discrezionalità in presenza di provvedimenti limitativi della libertà personale del dipendente, obbligandola a sospendere quest’ultimo dal servizio sin da quando tale situazione si concretizza.

Cosa diversa dall’adozione del provvedimento (cui discendono gli effetti ex lege previsti) è, poi, la relativa notificazione. A tal riguardo va ricordato che solo dagli atti aventi natura ricettizia riviene, con carattere di immediatezza, nei confronti del destinatario, non solo l’estinzione di un diritto, facoltà e/o potere preesistente, ma anche l’imposizione di un obbligo che non può spiegare i suoi effetti se non dopo che al destinatario sia stato notificato il provvedimento stesso (es.: la revoca di un permesso di soggiorno estingue non solo il diritto di soggiornare nel territorio nazionale ma crea l’obbligo nel destinatario di lasciare il Paese).

Del tutto diversa è la natura del provvedimento di sospensione cautelativa la cui notificazione non si pone come condizione richiesta perché l’atto possa esplicare la sua efficacia: gli effetti del provvedimento, qui, sono già, a monte, direttamente rivenienti dalla norma e la sua notificazione non viene ad ingenerare nel destinatario obblighi cui ottemperare ma è funzionale alla tutela dei suoi interessi attraverso i rimedi, a tal fine, apprestati dall’Ordinamento.

Dunque il primo mezzo di gravame è infondato. Nella fattispecie in esame, l’atto di sospensione cautelativa è intervenuto in vigenza dello stato di fermo del ricorrente; e dunque, in perfetta sintonia con la norma che si assume violata.

Analoga sorte investe anche il secondo profilo di censura.

Si è già chiarito in precedenza che l’amministrazione, una volta rimesso in libertà il dipendente, ha la facoltà (e non già il dovere) di revocare "ove le circostanze lo consiglino" la misura della sospensione cautelare dal servizio con effetto dal giorno successivo a quello in cui il dipendente ha riacquistato la libertà.

Dunque ove la p.a. non ritiene sussistenti le circostanze deponenti per una riammissione all’impiego del dipendente non ha, contrariamente a quanto sembra prospettarsi con la doglianza di cui trattasi, alcun obbligo di pronuncia ed esercita una facoltà di cui è, ex lege, titolare.

Un esplicito provvedimento si impone, invece, sia per l’eventuale riammissione in servizio che, ovviamente, per l’eventualità che il dipendente, una volta rimesso in libertà, chieda di essere reimpiegato (dovendo, in quest’ultimo caso, la p.a. rendere conto delle ragioni che "sconsiglino" l’accoglimento di tale istanza).

Ma entrambe tali evenienze sono estranee al caso di specie in cui, in particolare, l’interessato non ha provveduto a compulsare in tal senso l’amministrazione e dunque non può pretendere che essa autonomamente esterni le ragioni che ritiene contrarie alla sua riammissione all’impiego.

II)- Conclusivamente il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Le spese di lite, attesa la pronuncia cautelare assunta dalla Sezione, possono essere compensate tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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