Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-06-2011) 07-07-2011, n. 26639 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.V.N. ha avanzato "in executivis" richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione tra fatti separatamente giudicati, alcuni dei quali già distintamente ritenuti uniti dal detto vincolo nelle singole sentenze in esecuzione.

Trattasi precisamente:

A – di violazione della normativa sulle armi commessa il (OMISSIS) (sentenza 12.2.1991 della Corte d’Appello di Lecce);

B – di associazione mafiosa ed altra violazione della disciplina delle armi nel 1992 (sentenza della stessa Corte territoriale – Sezione di Taranto – irrevocabile il 1.2.1996);

C – di omicidio ed ulteriore violazione in materia di armi in data 22.8.1989 (sentenza 13.10.1999 della Corte d’Assise di Appello di Taranto).

Con separata istanza nell’interesse del D.V. il difensore ha formulato analoga richiesta, limitatamente ai fatti sub B e C. Con l’ordinanza in epigrafe il giudice dell’esecuzione ha dichiarato inammissibile quest’ultima istanza, siccome meramente ripetitiva di altre già motivatamente rigettate; ha respinto la domanda personale del condannato, osservando che non risultavano, nè erano stati dedotti, elementi indicativi di un’unica progettualità alla base delle distinte serie criminose, poste in essere nell’arco di cinque anni a notevole distanza temporale l’una dall’altra.

Ricorre per cassazione il difensore, censurando con un primo motivo la declaratoria di inammissibilità sul rilievo che al giudice dell’esecuzione erano stati prospettati "elementi nuovi non considerati nelle pregresse decisioni", senza indicarli. Altra doglianza investe l’erronea disapplicazione dell’art. 81 c.p. e correlativi vizi della motivazione; in particolare, non si era tenuto conto dell’assodato contesto in cui erano maturati i reati, costituito dalla lotta armata contrapposte bande criminali degenerata in sanguinose rappresaglie. In questa logica si inquadrava l’omicidio di C.C., figura apicale del gruppo rivale, già programmato e anticipatamente realizzato quale immediata risposta all’inopinata uccisione di Pa.D.V.. In sostanza, l’elemento unificante era costituito dal vincolo associativo perdurante nel tempo e dall’attuazione della deliberata strategia criminale; proprio per tale ragione il vincolo della continuazione era stato già riconosciuto all’interno delle singole sentenze e, più ampiamente, a vantaggio dei coimputati Ci.Gr. e D.O..

Il ricorso è manifestamente infondato. Va anzitutto ribadita l’ormai consolidata giurisprudenza secondo cui la continuazione presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo nella loro specificità, almeno a grandi linee, situazione ben diversa da una mera inclinazione a reiterare violazioni della stessa specie, anche se dovuta ad un bisogno persistente nel tempo, ad una scelta di vita o ad un programma generico di attività delittuosa da sviluppare in futuro secondo contingenti opportunità (cfr., per tutte, Cass., Sez. 2, 7/19.4.2004, Tuzzeo; Sez. 1 15.11.2000/31.1.2001, Barresi). La prova di detta congiunta previsione – ritenuta meritevole di più benevolo trattamento sanzionatorio attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anzichè di spinte criminose indipendenti e reiterate – investendo l’inesplorabile interiorità psichica del soggetto deve di regola essere ricavata da indici esteriori significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere. Tali indici, di cui la giurisprudenza ha fornito esemplificative elencazioni (fra gli altri, l’omogeneità delle condotte, il bene giuridico offeso, il contenuto intervallo temporale, la sistematicità e le abitudini programmate di vita), hanno normalmente un carattere sintomatico, e non direttamente dimostrativo; l’accertamento, pur officioso e non implicante oneri probatori, deve assumere il carattere di effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato a semplici congetture o presunzioni. A questo fine l’interessato – unico ad avere diretta conoscenza della fase ideativa – può fornire chiarimenti atti ad orientare l’indagine giudiziale, in mancanza dei quali si espone al rischio del rigetto della domanda, quando le circostanze sintomatiche esterne non risultino sufficientemente probanti (in tal senso è stato ravvisato un "onere di allegazione").

Tanto premesso, poichè il disegno criminoso in cui si sostanzia la continuazione è dato interno alla mente del singolo soggetto, ne discende che fra i correi di una medesima serie delittuosa è ben possibile che alcuni abbiano anticipatamente divisato tutti i reati poi realizzati, altri si siano invece determinati a commetterli in base ad impulsi diversi e successivi man mano maturati; il fatto che per alcuni concorrenti sia stata riconosciuta la continuazione non comporta quindi alcun effetto estensivo nei confronti degli altri.

Nè l’elemento unificante può essere ravvisato nell’adesione di tutti ad un medesimo sodalizio malavitoso ed al suo programma criminale; infatti, fra reato associativo e singoli reati fine non è ravvisabile un vincolo rilevante ai fini della continuazione, posto che, normalmente, al momento della costituzione dell’associazione (o della sopravvenuta adesione del singolo), i reati fine sono previsti solo in via generica e programmatica (e di essi, per generale opinione, nessuno può essere chiamato a rispondere per il solo fatto dell’affiliazione). La continuazione potrà quindi ravvisarsi nella sola ipotesi in cui già al momento dell’affiliazione siano stati concepiti in modo chiaro e definito i delitti fine (Cass., Sez. Un., 15.10/12.11.1997, Tagliamento e successive conformi, tra cui v. Sez. 1 21.1/25.2.2009, Vitale).

Ciò considerato, deve concludersi che le circostanze indicate dal ricorrente sono di neutro significato, nè è stato fornito alcun elemento idoneo ad orientare l’indagine verso un’originaria, congiunta ideazione di ogni specifico episodio criminoso, come correttamente rilevato dal giudice di merito. Sotto altro profilo, gli argomenti prospettati al giudice dell’esecuzione e qui riproposti con il ricorso non si discostano da quelli (vincolo associativo;

movente dell’omicidio; disparità di trattamento con i coimputati) già esaminati e disattesi da precedenti provvedimenti, sicchè il gravame è sostanzialmente rivolto a sollecitare una rivisitazione di decisioni definitive sulla base di un alternativo apprezzamento di circostanze di fatto, incorrendo nella duplice preclusione stabilita dall’art. 666 c.p.p., comma 2, e dall’art. 606 c.p.p., comma 3.

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile. Consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e – non emergendo ragioni di esonero – di una somma alla cassa delle ammende, congruamente determinata in 1000 Euro.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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