T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 11-07-2011, n. 6115

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, in qualità di collaboratore di giustizia, in data l6.10.2008 è stato ammesso, insieme ai suoi congiunti, allo speciale programma di protezione previsto dalla legge 15 marzo 1991, n. 82. Da quel momento, i predetti sono stati condotti in località segrete ed adeguatamente protetti. Ciò che gli ha consentito al ricorrente di poter rendere alle indagini sulla criminalità organizzata un contributo che la Procura di Napoli – Direzione Distrettuale Antimafia, ha espressamente definito "straordinario" in una dettagliata relazione del 23.1.2009.

Tuttavia, lo stress cui va incontro un collaboratore di giustizia, proprio nella fase più delicata di costante e continuo supporto agli investigatori (e, quindi, di massima esposizione ai rischi connessi), ha dato luogo ad alcuni prevedibili comportamenti "di insofferenza" che, probabilmente male interpretati, hanno portato la Commissione Centrale a revocare il programma di protezione del ricorrente e dei suoi familiari, esponendo gli stessi ad un altissimo rischio per la loro incolumità.

Tale provvedimento, peraltro, è intervenuto nel momento topico della collaborazione, atteso che il predetto era stato citato, ai sensi dell’art. 210 c.p.p., dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, per essere ascoltato in tre procedimenti penali.

Ritenendo erroneo ed illegittimo il provvedimento indicato in epigrafe, l’interessato lo ha impugnato dinanzi al TAR del Lazio.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

Con decreto presidenziale n. 1506 del 2 aprile 2009 è stata respinta la domanda cautelare proposta dal ricorrente. Alla successiva udienza del 23 aprile 2009 l’esame della domanda cautelare è stato rinviato all’esame del merito della controversia.

All’udienza del 9 giugno 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorrente ha avanzato le censure di seguito esposte avverso il provvedimento impugnato:

a) violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 l.n. 241/90 e difetto di istruttoria: – al ricorrente non è stato comunicato l’avvio del procedimento e, conseguentemente, l’istruttoria ne è risultata pregiudicata perché la partecipazione dell’interessato avrebbe consentito di acquisire elementi di valutazione che avrebbero indotto l’Amministrazione a determinarsi diversamente rispetto a quanto ha fatto;

b) violazione degli artt. 12 e 13 quater della legge 15.3.1991, n. 82, eccesso di potere per travisamento, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, eccesso di potere per sviamento, dovuto ad errata comparazione degli interessi coinvolti: – la decisione di revocare il programma di protezione per il collaboratore di giustizia Giuseppe Misso e per il suo nucleo familiare, si pone come ultimo atto di un contrasto sorto, sin dai primi giorni della sottoposizione al programma di protezione, tra il Misso ed i rappresentanti del Servizio Centrale di Protezione; – il ricorrente non ha violato i precisi obblighi assunti (come erroneamente rappresentato nelle premesse del provvedimento contestato) perché la stessa Commissione centrale ha riconosciuto che il medesimo, pur avendo verbalmente minacciato di non prendere parte agli impegni processuali attesa l’esiguità delle risorse economiche messe a sua disposizione, in realtà ha presenziato "senza fare alcuna rimostranza" all’udienza del 24 ottobre 2008 dinanzi alla Corte di Assise di Napoli; a proposito dell’asserita evasione nella tarda serata del 1° ottobre 2008, non è stato avviato alcun procedimento penale nei confronti dell’interessato e la Corte di Appello di Napoli ha ritenuto esaustive le giustificazioni fornite dal Misso in relazione all’episodio; successivamente, a causa dell’arresto del Misso, la moglie tornava nella località di origine insieme ai figli minori dello stesso (di due e quattro anni) con gravissimi rischi; – è evidente che tali circostanze non avrebbero potuto comportare la revoca del programma speciale di protezione, non rientrando le causa di cui all’art. 13 quater della legge n. 82/1991 e, quindi, risulta erronea la determinazione assunta dalla Commissione centrale motivata dalla presunta "inidoneità" del ricorrente a rispettare le regole del sistema tutorio e dall’assunta "incompatibilità" rispetto a tale status, posto che la stessa DDA di Napoli ha qualificato le condotte tenute dal Misso quali meri comportamenti "di insofferenza" prevedibili in un momento di massima collaborazione giudiziaria del ricorrente ed ha confermato la perdurante situazione di pericolo in cui versa il ricorrente ed i propri famigliari.

2. L’Amministrazione resistente si è difesa in giudizio contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

3. E’ opportuno, prima di valutare le censure avanzate dalla parte ricorrente, esaminare il quadro normativo dettato in materia di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia.

La materia trova la sua disciplina primaria nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (recante Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 gennaio 1991, n. 12 e convertito in legge, con modificazioni, con L. 15 marzo 1991, n. 82 (in G.U. 16 marzo 1991, n. 64), come modificato dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45.

La disciplina dettata in materia, è completata dalla normativa di rango secondario contenuta nel D.M. 23 aprile 2004, n. 161 (recante il Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell’articolo 17bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’articolo 19 della L. 13 febbraio 2001, n. 45), emanato dal Ministero dell’Interno (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2004, n. 147).

Per quanto concerne la protezione dei Collaboratori di giustizia, il Capo II, del D.L. n. 8/1991, all’articolo 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione) stabilisce che alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 9, possono essere applicate speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.

Le speciali misure di protezione sono applicate: 1) quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza; 2) se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 del medesimo articolo 9 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all’articolo 51, comma 3bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600bis, 600ter, 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, e 600quinquies del codice penale.

Ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione, il terzo comma dell’articolo 9 precisa che assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, le quali devono avere carattere di intrinseca attendibilità; devono, altresì, avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristicoeversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi (art. 9, comma 6).

I contenuti delle speciali misure di protezione sono stabiliti dall’articolo 13 del D.L. n. 8/1991 e dall’art. 7 del D.M. n. 161/2004, mentre l’articolo 9, comma 4 del medesimo decreto legge prevede che se le speciali misure di protezione indicate nell’articolo 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell’articolo 13, comma 5 del medesimo decreto legge e nell’art. 8 del D.M. n. 161/2004, comprendendo, tra le altre, misure di assistenza personale ed economica (cfr. art. 13, commi 6 e ss., D.L. n. 8/1991).

Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 dell’articolo 9 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 del citato articolo 13 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.

L’ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono deliberati dalla Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del D.L. n. 8/1991, su proposta formulata dalla competente Autorità giudiziaria inquirente o dal Capo della PoliziaDirettore Generale della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 2 e ss., D.M. n. 161/2004), ai sensi dell’articolo 11 del citato decreto legge, il quale prevede i casi in cui è possibile chiedere un parere, rispettivamente, al Procuratore Nazionale Antimafia ed ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello interessati, o al competente Procuratore della Repubblica.

L’ammissione alle speciali misure di protezione avviene all’esito dell’istruttoria del caso concreto e previa assunzione da parte delle persone protette degli impegni di cui all’art. 12 del D.L. n. 8/1991, specificati nell’art. 9, del D.M. n. 161/2004.

L’art. 10, del D.M. n. 161/2004, disciplina la modifica e la verifica periodica delle speciali misure di protezione, precisando, tra l’altro, che: – la Commissione centrale può modificare le speciali misure di protezione ed il programma speciale di protezione attraverso l’introduzione, la modificazione, l’integrazione, l’abrogazione o la sospensione delle misure tutorie, di quelle assistenziali, nonché di quelle relative agli impegni previsti a carico degli interessati (comma 1); – le speciali misure di protezione e il programma speciale di protezione sono a termine (comma 7) ed il termine delle misure e dei programmi speciali di protezione – non inferiore a sei mesi e non superiore ai cinque anni – è fissato dalla Commissione centrale con lo stesso provvedimento con cui vengono adottati; in caso di mancata indicazione il termine è di un anno dalla data del provvedimento (comma 8).

Le speciali misure di protezione, oltre ad essere a termine, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del medesimo decreto legge, in relazione ai seguenti fatti o circostanze: – attualità del pericolo; – gravità del pericolo e idoneità delle misure adottate; – condotta delle persone interessate; – osservanza degli impegni assunti a norma di legge.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede ipotesi di revoca vincolata e ipotesi di revoca facoltativa.

In particolare, costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’articolo 12, comma 2, lettere b) ed e); 2) la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale.

Costituiscono, invece, fatti valutabili ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’articolo 12; 2) la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione; 3) la rinuncia espressa alle misure; 4) il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa; 5) il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti; 6) ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede che nella valutazione da eseguire ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione, specie quando non applicate mediante la definizione di uno speciale programma, si deve tenere particolare conto del tempo trascorso dall’inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo di cui al comma 6 dell’articolo 9 del medesimo decreto legge.

Riguardo alla cessazione delle misure di protezione, l’articolo 11 del D.M. n. 161 del 2004, precisa che le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge 15 marzo 1991, n. 82, sono revocate o non sono prorogate nei casi espressamente previsti dalla legge ovvero quando vengono meno l’attualità e la gravità del pericolo o appaiono idonee altre misure adottate. Le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13quater, commi 1 e 2, della legge 15 marzo 1991, n. 82 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.

A tal fine, il Prefetto e il Servizio centrale di protezione informano la Commissione centrale, l’Autorità proponente e il Procuratore nazionale antimafia o il Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di ogni comportamento o circostanza che possono integrare i presupposti per la revoca delle misure speciali di protezione.

La Commissione centrale, una volta ricevuta dal Servizio centrale di protezione o dal Prefetto la nota informativa di cui al comma 2 del citato articolo 11 del Regolamento, chiede all’Autorità proponente, al Procuratore nazionale antimafia o al Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di esprimere un parere in ordine alla modifica o alla revoca delle speciali misure di protezione, in conseguenza dei fatti segnalati. Qualora le predette Autorità non abbiano emesso il parere entro trenta giorni dalla richiesta della Commissione centrale, quest’ultima decide nel merito, ove non ritenga di prorogare ulteriormente il termine. In ogni caso, il comma 4 del medesimo articolo 11 precisa che il parere reso dall’Autorità proponente non è vincolante.

Con motivata richiesta l’Autorità proponente può indurre la Commissione a verificare la permanenza delle condizioni che hanno determinato l’applicazione delle speciali misure di protezione, provvedendo, se necessario, alla modifica o alla revoca delle medesime (cfr. art. 11, comma 5, D.M. n. 161/2004).

Le misure speciali di protezione possono essere modificate o revocate prima della scadenza, d’ufficio o su richiesta degli interessati, anche per avviare il reinserimento sociale e lavorativo delle persone protette, tenuto conto degli impegni processuali, della esposizione a pericolo, della compatibilità delle iniziative proposte con le esigenze di sicurezza, del tempo trascorso dall’adozione delle misure speciali di protezione (cfr. art. 11, comma 6, D.M. n. 161/2004). Anche in tal caso è richiesto il parere dell’Autorità proponente e di quelle preposte all’attuazione delle misure speciali di protezione, nonché quello del Procuratore nazionale antimafia o del Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato.

4. Ciò posto, le censure avanzate dalla parte ricorrente vanno considerate infondate per le ragioni di seguito indicate.

4.1. Per quanto concerne le doglianze sollevate dal ricorrente, aventi ad oggetto la violazione delle regole partecipative, va rilevato che la giurisprudenza, in tema di partecipazione ai procedimenti di cui al D.L. n. 8 del 1991, ha affermato che l’art. 10, comma 2ter, del citato decreto legge comporta l’esclusione dalla partecipazione al procedimento amministrativo, estrisencantesi nella cognizione di atti, degli accertamenti e verifiche poste in essere dall’Amministrazione o dei contributi di altri partecipanti e nella possibilità di interloquire in contraddittorio (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 7387 del 13122006). Più in particolare, è stato precisato che la conoscenza degli atti afferenti ai procedimenti di competenza della Commissione istituita dall’art. 10, L. n. 82 del 1991, salvo l’esternazione dei provvedimenti finali nei limiti consentiti dalla norma, resta limitata ai soli soggetti preposti alla trattazione e, ove sia stata apposta classifica di segretezza, in possesso di apposito nulla osta (n.o.s.), corrispondente al grado di classifica dell’atto, rilasciato dall’Autorità Nazionale di Sicurezza (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 7387 del 13122006). Del resto, l’articolo 13 della legge n. 241/1990 stabilisce chiaramente l’inapplicabilità degli artt. 7 e ss. della medesima legge ai procedimenti di cui al d.l. n. 8/1991.

4.2. Relativamente alle altre censure prospettate dal ricorrente, dall’esito dell’istruttoria condotta in relazione al caso di specie – per come emerge e risulta dal tenore del provvedimento impugnato e dallo stralcio del verbale della riunione della Commissione centrale (che recano l’indicazione di atti, fatti e circostanze, sostanzialmente, non contestati dalla parte ricorrente che, invece, ha contestato le valutazioni e le conseguenze che dagli stessi ha fatto scaturire l’Amministrazione procedente) – risulta che: – con nota del 30 ottobre 2000, il Servizio Centrale di Protezione ha comunicato che il collaboratore aveva dichiarato che, per protesta in ragione dell’esiguità delle risorse economiche, non avrebbe presenziato ai futuri impegni di giustizia; – con nota del 30 novembre 2008, il medesimo Servizio ha comunicato che il Misso ha partecipato all’udienza del 24 ottobre 2008 dinanzi alla Corte d’Assise di Napoli senza fare alcuna rimostranza, rappresentando, però, che il Collaboratore aveva presentato un certificato medico recante un impedimento a comparire a tale udienza e che noviziato che l’Autorità giudiziaria avrebbe disposto l’accompagnamento coattivo, aveva minacciato azioni violente sia contro la scorta che conto i sanitari; – con nota in data 4 novembre 2008, il Servizio Centrale di Protezione ha comunicato che il 4 ottobre 2008, il Misso, agli arresti domiciliari, era stato deferito alla Procura della Repubblica competente per evasione (in particolare, nella tarda sera del 1° ottobre 2008 il Collaboratore è stato sorpreso, durante un controllo di polizia, fuori dalla località protetta, in orario non consentito, alla guida dell’autovettura del padre ed in compagnia di un cittadino extracomunitario sprovvisto di permesso di soggiorno; in tale occasione, il Misso ha dichiarato che si stava recando in ospedale per un malessere di natura psichica); – il Tribunale di Sorveglianza con ordinanza del 29 gennaio 2009 ha revocato al Misso il beneficio della detenzione domiciliare; – in data 17 febraio 2009 il Servizio Centrale di Protezione ha trasmesso una dichiarazione del Miso recante frasi ingiuriose e offensive, lamentando l’arbitrario trasferimento da parte del Servizio della sua famiglia e asserite false comunicazioni all’Ufficio di Sorveglianza di Roma; – con nota del 23 febbraio 2009, il medesimo Servizio ha trasmesso l’istanza con la quale il Misso aveva chiesto di uscire in via definitiva dal programma speciale di protezione, manifestando disinteresse per l’attuazione di qualsiasi misura di protezione e minacciando che in caso di non accoglimento dell’istanza avrebbe diffuso la notizia mediante videoconferenza; – anche i familiari del Collaboratore si sono resi responsabili di comportamenti in contrasto con gli obblighi connessi ai loro status in quanto, secondo quanto contenuto nella nota del 22 ottobre 2008 del Servizio Centrale di Protezione, Esposito Gennaro (convivente di Misso Vienna, sorella del Collaboratore) rintracciato in località di origine, è stato tratto in arresto in esecuzione di una ordinanza di misura cautelare emessa in data 6 ottobre 2008 dal GIP di Napoli (a seguito di ciò, la Procura della Repubblica di Napoli, in data 3 gennaio 2009, ha richiesto la revoca delle misure di protezione adottate nei confronti di Esposito Gennaro e analogo parere è stato espresso con nota del 2 febbraio 2009 dalla Direzione Nazionale Antimafia); – il Servizio Centrale di Protezione ha anche stigmatizzato i comportamenti tenuti da Borrelli Concetta (fidanzata del Collaboratore) la quale ha manifestato più volte e, da ultimo, il 23 febbraio 2009, la volontà di rinunciare al programma speciale di protezione, anche per conto dei figli minori; – il Servizio Centrale di Protezione, con nota del 17 febbraio 2009, ha comunicato l’allontanamento dalla località protetta di Misso Vienna e del figlio Misso Antonio; – in data 11 febbraio 2009 anche Misso Gesù di Nazareth, si è autonomamente trasferito presso l’alloggio dal padre.

Dall’elenco delle circostanze di fatto descritte emerge chiaramente che, pur a voler condividere le valutazioni espresse da parte ricorrente in merito ad alcuni degli episodi indicati, è evidente che l’insieme delle condotte descritte hanno correttamente condotto la Commissione centrale a revocare lo speciale programma di protezione disposto in favore del ricorrente.

Con nota 23.1.2009 (diretta al Tribunale di Sorveglianza) la DDA di Napoli ha sminuito la rilevanza dei comportamenti del Misso ed, infatti, non risulta aver espresso parere in merito al provvedimento impugnato. Tuttavia, l’art. 11, comma 3, del DM n. 161/2004 consente alla Commissione ex art. 10 l.n. 82/1991 di adottare il provvedimento se le Autorità giudiziarie competenti non esprimono il parere entro 30 giorni.

Ciò posto e richiamata la disciplina applicabile alla fattispecie, sopra descritta al punto sub 3), va considerato che mentre il provvedimento di revoca del programma di protezione adottato nei confronti del soggetto "collaboratore di giustizia", di cui all’art. 13 quater, comma 2, prima parte del D.L. n.8/1991, si deve considerare vincolato, quello che si adotta in base a quanto dispone la seconda parte dello stesso articolo si configura adottabile in forma di atto sostanzialmente discrezionale, cioè avente aspetti propriamente valutativi; infatti, in tale ipotesi, si tratta di considerare l’insieme delle valutazioni operate tendenti ad accertare elementi, nella situazione di fatto, legittimanti la revoca stessa.

Ne consegue che non si può ritenere illegittimo il provvedimento di revoca del programma di protezione di cui alla L. n. 82/1991, in presenza della constatata inosservanza agli obblighi derivanti dal programma di protezione stesso, ma rappresenta diretta conseguenza dell’inosservanza all’impegno assunto dall’interessato sin dal momento della sua decisione di offrire il pratico apporto collaborativo alla giustizia e confermato dall’atto della sottoscrizione, prevista dall’art. 12, comma secondo, della L. n. 82/1991 (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 2541 del 24042009).

Infatti, la revoca e la modifica delle speciali misure di protezione e dello speciale programma di protezione disposti dalla Commissione Centrale e sottoscritti dall’interessato (art. 12 l. n. 82/1991 e succ. mod.) – e dunque costituenti oggetto di un vero e proprio contratto di natura pubblica, fonte di reciproci diritti ed obblighi – possono essere disposte o per la cessazione, o per la modifica, del presupposto essenziale delle misure, ossia del pericolo cui è esposto il collaboratore di giustizia in conseguenza dei suoi apporti alle indagini, oppure per i comportamenti inadempienti dello stesso collaboratore (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 1955 del 07042010, che conferma la sentenza del Tar Lazio – Roma, sez. I ter, n. 8197/2004).

La giurisprudenza ha affermato che i familiari del soggetto ammesso a protezione sono essi stessi destinatari del programma speciale, dovendosi adottare nei loro confronti la speciali misure di cui all’art. 9, comma 5, D.L.n. 8/1991, in funzione della relazione di convivenza o comunque della specificità del rapporto con il "titolare principale" delle misure: essi, infatti, sono esposti, in connessione a ciò, a gravi, attuali e concreti pericoli. E’ evidente, quindi, che una volta accertato, in base alla commissione di significativi delitti e della tenuta di specifici comportamenti, che, rispetto al collaboratore di giustiziatitolare del programma di protezione, sia venuta meno o comunque mutata la situazione di pericolo, al punto da essere incompatibile il mantenimento delle misure di protezione, tale venir meno del pericolo si estende in modo automatico anche agli altri soggetti indicati dal comma 5 dell’art. 9, ed anche qui nel senso della incompatibilità con il proseguire della protezione; con il che diventa legittima la revoca anche nei confronti di detti soggetti (Cons. Stato, Sez. VI, Sent. n. 243 del 29012008).

5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto, risultando corretto l’operato della Commissione centrale la quale ha motivato la revoca dello speciale programma di protezione relativo a M.G. sulla base delle reiterate condotte e delle violazioni (sopra descritte) al codice di comportamento da parte del Collaboratore e delle persone sottoposte a protezione.

6. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità delle vicenda e delle questioni trattate – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo respinge il ricorso;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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